venerdì 31 dicembre 2010

Buon Anno!

Ho passato gli ultimi giorni a spremermi le meningi per farmi venire in mente una storia per uno special di capodanno, ma alla fine non sono riuscito a trovare nessun idea buona. Ho in mente diversi racconti per altri episodi speciali, ma nessuno che si sposi con la festività del capodanno. Inoltre in questi giorni c'è stato un notevole calo delle visite sul blog, quindi deduco che siate un po' tutti indaffarati tra panettoni e regali e probabilmente molti non avranno avuto il tempo di leggere neanche lo special di Natale, quindi alla fine ho preferito festeggiare la fine dell'anno scrivendo un nuovo capitolo del libro. Un capitolo abbastanza importante tra l'altro e con il quale abbiamo raggiunto quota 200 pagine!!! Come potevo festeggiare meglio la fine dell'anno?
Auguro a tutti un buon anno e una buona lettura!

Ci vediamo nel 2011 ;-)


La Missione

Il buio cupo della notte era addolcito da un leggero riverbero. In lontananza il crepitio delle fiamme. L'odore acre del fumo stava riempiendo la valle e rendendo l'aria irrespirabile. Peter continuò a correre a lungo. Sentiva il fumo penetrargli nelle narici e poi giù nei polmoni. Tratteneva la tosse con tutta la sua forza per evitare di segnalare la sua presenza, di indicare ai loro inseguitori dove si trovasse e come raggiungerlo. Gli occhi iniziarono a lacrimargli per lo sforzo e la testa iniziò a girargli. Il mondo si confuse tra nebbia e vertigini. I rami degli alberi sembravano danzare per lui in quella notte infernale. Ombre spettrali si agitavano ovunque.
I primi segni di sfinimento iniziarono a colpire le sue gambe. Dolore e stanchezza si impossessarono dei suoi muscoli. La vista sempre più appannata. Continuò a correre ancora e ancora e ancora. Non voleva fermarsi. Aveva paura. Paura di morire. Paura di aver causato la morte del suo professore. L'aveva abbandonato. Il professor Stevens l'aveva seguito solo per salvarlo e lui l'aveva lasciato in balia dei loro aggressori. Non si dava pace per questo.
All'inizio gli era parsa una buona idea. Dividersi per confondere il nemico poteva portare tutti alla salvezza, ma non aveva previsto di inciampare proprio in quel ragazzo. Aveva preso un piccolo sentiero per allontanarsi dal gruppo. Sentiva il sibilo delle frecce in lontananza e voleva cercare di aggirare l'arciere per aggredirlo alle spalle, ma all'improvviso si era trovato di fronte un secondo soldato. Se ne stava acquattato nell'ombra pronto ad attaccare di sorpresa. Peter gli era letteralmente crollato addosso e lo aveva schiacciato in terra. Avevano iniziato a lottare quando all'improvviso spuntò anche il professore. Era arrivato per aiutarlo. Era arrivato per salvarlo. E invece era finito a terra.
L'intento di Peter era quello di distrarre l'arciere per permettere agli altri di scappare, e tecnicamente ci era anche riuscito, infatti il soldato era arrivato in soccorso del suo collega e aveva colpito il professore. Una lunga freccia conficcata nel polpaccio. Doveva fare un male cane. Il coraggio del ragazzo si infranse in quel momento. Si rese conto del pericolo e della sua idiozia. Quello non era un gioco e quei soldati non erano certo lì per giocare a nascondino. Peter si sentì paralizzato dal terrore e non riuscì a muovere un dito. Anche quando l'arciere si allontanò e il professore riuscì ad atterrare l'altro soldato, Peter non si mosse. Si ripeteva che non voleva lasciare da solo il suo salvatore, ma la realtà è che era terrorizzato. Ci mise un po' a decidersi a scappare. Con le mani legate dietro la schiena e con il fumo negli occhi iniziò a correre come un pazzo. Tutta la sua tecnica di atleta sparì nei meandri della sua paura. Corse finché le gambe glielo permisero. Corse finché i polmoni non gli fecero male. Corse finché i suoi occhi riuscirono a vedere. Corse finché non inciampò nella radice di un albero rovinando bruscamente a terra. Tutto si fece scuro. Il silenzio calò.

La mente di Peter vagò per ore mentre era privo di conoscenza ai piedi di un albero. Aveva battuto la testa e probabilmente perdeva sangue, ma si sentiva tranquillo. Protetto. Lasciò che la paura scivolasse via dal suo corpo, che la fatica abbandonasse le sue membra, che il dolore sparisse tra i suoi ricordi. Sprofondò in un lungo sonno senza sogni. Era stanco e devastato da quella lunga giornata. Il freddo pungente del bosco smise di aggredirlo e una familiare sensazione di tepore lo avvolse. Il respiro divenne regolare. Dormì per ore come un bambino. Tossiva ogni tanto per cacciare via quel fumo che gli si era accumulato nel petto. Le larghe foglie cadute dagli alberi gli fecero da giaciglio.
Iniziò a riprendere coscienza di sé solo quando il cielo iniziò a schiarirsi. L'aurora arrivò a strappargli via brandelli di sonno dagli occhi riportandolo alla realtà. Sentiva ancora il crepitio del fuoco, ma più leggero, soave. L'odore pungente del fumo era sparito e al suo posto l'aria era invasa da un profumo ammaliante. Qualcosa che risvegliò i suoi sensi. Cibo. Si rese conto di avere fame come mai prima d'ora. Lo stomaco ruggiva come un leone nella savana e la bocca era impastata dalla troppa salivazione. Quel profumo sembrava meraviglioso e invitante. Si sforzò di aprire gli occhi. Doveva capire. Doveva mangiare.
Si rese conto di essere al caldo. Protetto da una pesante coperta di lana. Cercò di tirarsi su, ma i dolori assopiti durante la notte tornarono a fargli visita. Le ossa erano pesanti e anchilosate. I muscoli infiammati e irrigiditi. Provò a fare forza su un braccio per alzarsi ma ricadde sdraiato. Non aveva più i polsi legati. Al posto delle corde c'erano profondi solchi escoriati con piccoli grumi di sangue rappreso.
"Non ti sforzare, cerca di riposarti" disse una voce. Peter non se lo fece ripetere e sprofondò nuovamente nell'incoscienza. L'impellente bisogno di mangiare si affievolì un po' ma non si arrese del tutto rendendo il sonno del ragazzo agitato e scomposto.

Si svegliò quasi di soprassalto scattando a sedere come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa. Non aveva realizzato, non ci aveva neanche provato, ma adesso era chiaro come il sole. C'era qualcuno. Qualcuno che si era preso cura di lui e lo aveva protetto durante quella notte. Si guardò intorno ma gli occhi ancora non rispondevano bene. Annebbiati dal sonno e dalle lacrime. Vide la coperta che aveva addosso. Era lana buona e conservava ancora il suo tepore. Vide il fuocherello che scoppiettava allegro sopra dei rami secchi. Scaldava una grossa pentola di rame da dove fuoriusciva un profumo di fagioli e carne. Vide il ragazzo, il suo custode. Aveva un grosso mantello che lo avvolgeva completamente e un largo cappuccio che gli calava sul volto. Ricordava molto quello indossato da Kaila. Kaila. Come poteva averla dimenticata? Un fiume in piena di ricordi lo investì riportandogli alla mente tutti gli eventi del giorno precedente. Un groviglio di pensieri confusi e sconclusionati. Eventi strani e inspiegabili che potevano solo essere frutto di un sogno.
"Dove mi trovo? Cos'è successo? Dove sono i miei amici? Che fine anno fatto quei soldati?" Peter sentì le domande accavallarsi in fretta e furia sulla sua lingua come se sentissero il bisogno di fuggire e dovessero farlo nel più breve tempo possibile.
"Troppe domande amico mio, e non ho molto tempo per risponderti" la voce arrivò da sotto il cappuccio ma Peter non vide nessuna bocca muoversi. Aveva già visto una cosa simile. Quel ragazzo lo aveva già incontrato. Stava mescolando con un bastone il contenuto della pentola come se nulla fosse accaduto. Il profumo della carne stufata aggredì le narici di Peter e la fame ritornò più forte che mai. Aveva bisogno di mangiare. I suoi occhi si persero ad ammirare le volute di fumo che fuoriuscivano dal paiolo. La sua bocca era aperta e carica di saliva. Non avrebbe resistito oltre.
"Questa roba è tutta per te, stai tranquillo, ma adesso dobbiamo parlare" disse la voce sotto il mantello.
"Chi sei tu?" chiese Peter riscuotendosi dal richiamo ipnotico del cibo.
"Un amico" rispose l'altro.
"Non mi basta, voglio sapere chi sei! Sei lo stesso dell'altra sera, quello che mi ha indicato la via per la casa del professore?"
"Si, sono io, e per il momento dovrai accontentarti di questo. Non ho il tempo di darti altre spiegazione. Devo affidarti una missione."
"Una missione? Ma di che parli? Devo tornare dai miei amici, devo dirgli dove stanno portando Stevens. Dobbiamo andare a salvarlo."
"Non ti preoccupare dell'uomo. I tuoi amici sono al sicuro adesso e presto avranno modo di soccorrerlo, ma tu dovrai rinunciare a rivederli per un po'."
"Come fai a sapere che stanno bene?"
"Sono anni che proteggo Elliot. Di me puoi fidarti!"
Elliot. Conosceva il nome del suo migliore amico. Diceva di proteggerlo, ma non l'aveva mai visto prima di quegli eventi. Da anni poi, era impossibile. Però conosceva il suo nome. E conosceva anche quello di Stevens. Sapeva fin troppe cose e ne condivideva troppo poche. Peter iniziò a spazientirsi. Eppure sentiva che di quella persona poteva fidarsi. La stessa sensazione che aveva provato la sera del crollo della grotta, quando gli aveva indicato la strada per la casa del professore e poi era sparito. In quel momento non si era chiesto il perché di quell'aiuto o se potesse trattarsi di un inganno. Anche adesso lentamente si rendeva conto che di quella voce che si nascondeva sotto quel mantello aveva una fiducia cieca.

"Quale sarebbe la missione?" chiese con timidezza Peter. Fissava la coperta che ancora teneva sulle gambe indolenzite. Non voleva far vedere che si era arreso a quella fiducia incondizionata. Quella fiducia che progressivamente lo stava rasserenando. I suoi amici stavano bene e sarebbero andati a salvare il professore. Sarebbe voluto andare anche lui, aveva un debito di gratitudine con Stevens e voleva saldarlo. Si augurò con tutto se stesso che Elliot e Mallory riuscissero nell'impresa.
"Devi trovare un drago" esordì la voce quasi all'improvviso.
"Cosa? Un drago? Hai voglia di scherzare?" Peter si sentì spiazzato. Semplicemente pensò di aver capito male.
"Vedi Peter -si, so anche il tuo nome- l'altra sera voi tutti avete fatto un viaggio incredibile. Il luogo in cui ti trovi è lo stesso che conosci, ma al contempo è completamente diverso. Sei nel mondo della Magia adesso" spiegò il ragazzo.
"Mondo della Magia?" Peter era sempre più confuso. Si limitava a ripetere stupito le ultime parole che sentiva venire da sotto quel cappuccio.
"Beh, non è che abbia un nome vero e proprio, ma è sicuramente il modo migliore per spiegartelo. Riassumendo, tanto tempo fa Magia e Scienza convivevano in questo mondo. Una guerra enorme però rischiava di sterminare la vita sul pianeta, così fu imposto un sigillo che separò le due realtà creando due mondi paralleli che si sono evoluti indipendentemente. Tu vieni dal mondo della scienza e adesso sei finito in quello della magia. Tutto chiaro?"
"Cristallino" rispose ironico Peter. "Mi chiedo come abbia fatto a non capirlo subito!"
"Lo so che questa storia ti sembra incredibile, ma tutto ti diverrà chiaro con il tempo. Dopo che il sigillo fu imposto la guerra finì. Beh, non immediatamente, ci vollero anni, ma una profezia ne paventò il ritorno. La guerra avrebbe nuovamente imperversato su queste terre. E' per questo che ti sto affidando questa missione."
"In che modo un drago -ammesso che esista e che io lo trovi- potrebbe salvare il mondo dalla guerra di cui parli" chiese scettico Peter, ma il ragazzo che aveva di fronte si limitò a sollevare il capo nella sua direzione. Peter riuscì a vedere parte del suo volto. La sua bocca si era deformata in una specie di mezzo sorriso. "Lo capirai al momento giusto" si limitò a dire e Peter ebbe la conferma che il ragazzo non muovesse le labbra per parlare. Quella voce arrivava direttamente dentro la sua testa.
"Per me è ora tempo di andare, nella sacca al tuo fianco ci sono alcune cose: dei vestiti, un po' di cibo per il viaggio e anche qualche soldo -non è stato facile procurarmeli- troverai anche una cartina e una bussola. A due giorni di cammino in direzione nord troverai un villaggio di nome Tamal. Lì vive una donna di nome Ezra che saprà aiutarti. Dalle il ciondolo che trovi nella tasca anteriore della sacca e lei capirà."
"Tu non vieni con me?" chiese Peter preoccupato.
Il ragazzo si alzò in piedi e si voltò a guardare il lento incedere del sole nel cielo. Era ormai l'alba. Fissò la luce aumentare per qualche istante e poi si rivoltò verso Peter. "Vorrei, ma non mi è possibile, dovrai cavartela da solo. Ho piena fiducia in te" e con queste parole semplicemente scomparve. Si volatilizzò nel nulla. Sfumò nello sfondo come la nebbia che si dissolve sotto i caldi raggi del sole. Sparito.

Peter continuò a fissare per qualche minuto il punto dove il mantello era svanito nel nulla. Il sole gli ferì gli occhi e lo costrinse a distogliere lo sguardo. Si ricordò della pentola in cui bollivano fagioli e carne e la fame divampò di nuovo come un incendio. Si avventò sul contenuto e cercò di mangiarlo con il mestolo che il suo amico aveva usato per mescolare. Si ustionò la lingua, ma la cosa non lo fermò. Continuò a mangiare e a mangiare finché non fu sazio.
Con la pancia piena si distese nuovamente a terra a fissare le nuvole che correvano nel cielo tra le fronde degli alberi. Quei rami ormai quasi del tutto spogli che la sera prima lo avevano ghermito e spaventato. Il giorno maturava lentamente e la luce aumentava rendendo il bosco un posto meno spettrale. In lontananza vide alcuni solitari sbuffi di fumo alzarsi dal folto del bosco dove la sera prima era divampato l'incendio. Qualcuno era riuscito a domarlo e a spegnerlo.
Si prese il tempo di rischiararsi le idee e poi si rimise a sedere. Si guardò intorno per cercare la sacca di cui aveva parlato il ragazzo e la trovò appoggiata al tronco dell'albero che aveva accanto. Lo trasse a sé e ne ispezionò il contenuto. Era fatta in tela morbida ma resistente. Era molto grande, poteva essere tranquillamente uno zaino da campeggiatore. Si chiese come avrebbe fatto a portarlo in giro. Doveva essere molto pesante.
Prese gli abiti e li indossò. Dovette farlo sotto la calda coperta di lana perché fuori faceva troppo freddo. Un paio di pantaloni imbottiti di lana di pecora, una pesante casacca di stoffa e una giacca di fustagno. Vestito in quella maniera si sentiva ridicolo -non osava neanche immaginare come lo avrebbero preso in giro a scuola- ma dovette ammettere che non avrebbe più sofferto il freddo.
Ripose i suoi vecchi vestiti nella sacca e altrettanto fece con la coperta di lana. Prese la cartina e la bussola e si andò a sedere vicino al fuoco. Passò la mattinata mangiando ed esaminando la grande pergamena. La conformazione del luogo gli era familiare. Come aveva detto il ragazzo misterioso, quel posto era in tutto e per tutto uguale alla collina che conosceva. Aveva identificato la sua posizione e aveva trovato il villaggio Tamal che avrebbe dovuto raggiungere. Tracciò a mente il percorso per cercare di capire che strada avrebbe dovuto fare e si rese conto che la cartina era estremamente dettagliata. Sembrava fatta a mano da qualche scrivano. La carta era vergata con un leggerissimo e preciso solco di inchiostro scuro, ma non era meno precisa di quelle digitali di un navigatore satellitare. Cercò di esaminare il resto della zona per cercare di capire quanto fosse diversa, quando alla fine si accorse che ogni suo dubbio o perplessità sulla storia che gli era stata raccontata era completamente sparito. Ormai il fatto di essere in un mondo alieno impregnato di magia non gli sembrava più tanto strano. Anzi, sembra perfino la spiegazione più logica per gli eventi dei giorni passati. I fantasmi di nebbia, la luce nella grotta, i modi strani di Kaila. Tutto poteva essere spiegato con la storia dei due mondi.
Avrebbe cercato un drago. Anzi, avrebbe trovato un drago. Realizzò quanto fosse magnifica la cosa e si riempì di gioia. Era finito in un gioco di ruolo e lui ne era il protagonista. Si immaginò la faccia di Elliot quando lo avrebbe visto in sella ad un enorme e possente drago. Quella sì che sarebbe stata una bella soddisfazione. Chissà se Mallory avrebbe fatto ancora il prepotente una volta che Peter si fosse presentato col suo nuovo cucciolo. Avrebbe dovuto dargli un nome? Avrebbe potuto dialogarci? Peter era ansioso di gettarsi a capofitto in quel viaggio magico.
Finì in un sol boccone i pochi avanzi di carne e scattò in piedi. Prese in spalla lo zaino e si accorse che era estremamente leggero. Se lo tolse e lo guardò con attenzione. Lo lanciò in aria e lo riprese al volo. Pesava quanto un pallone da calcio. Non gli sembrava vero e non capiva come fosse possibile, ma dopotutto si trovava nel mondo della magia. Quante cose avrebbe visto che lo avrebbero lasciato senza parole. Quante persone avrebbe incontrato che lo avrebbero affascinato coi loro poteri. Era in un mondo nuovo e fantastico. Il paese delle meraviglie.
Spense il fuoco e si incamminò.


mercoledì 29 dicembre 2010

Tecnica di Scrittura Top-Down

Quello che vorrei fare in questo post è parlarvi di come mi approccio alla scrittura, del mio metodo e di come ci sono arrivato. Ovviamente ci tengo a sottolineare che questo è il mio metodo, quindi potrebbe non risultare adatto a tutti. Ognuno si rapporta alla scrittura nel modo in cui si sente più a suo agio. Resta il fatto che se qualcuno ancora non ha trovato il suo metodo o magari è solo curioso di conoscere il mio, potrebbe trovare interessante quanto ho da dire.

Chi mi segue fin dall'inizio saprà che di lavoro faccio il programmatore. In un certo qual modo anche lo sviluppo di software ha un ché di artistico, o per lo meno così è quando si ha una certa libertà di azione. Programmare stimola molto la creatività ed è una sorta di punto di incontro tra la risoluzione di problemi matematici e la scrittura creativa come quella che potete leggere in queste mie pagine. Allora la domanda vien da sé, come si legano le due cose?
Effettivamente il lavoro di sviluppo influenza molto il mio metodo di scrittura, tanto che potrei dire di approcciarmi alla stesura dei capitoli con la stessa tecnica con la quale programmo.

Facciamo un passo indietro. Una piccola dissertazione informatica necessaria ad introdurre l'argomento. Ancor prima di scrivere il codice che darà vita ai programmi che ogni giorno girano sui vostri computer, un programmatore deve affrontare una lunga fase di progettazione. In realtà questa fase è la parte più consistente del lavoro perché, una volta terminata, il software in pratica si scrive da sé. Non importa che linguaggio si decida di usare per lo sviluppo, durante la progettazione il software viene analizzato in ogni sua parte e viene organizzato il lavoro che dovrà essere fatto -non come dovrà essere fatto, verrà solo identificato quale è il lavoro da fare- quindi questa metodologia può essere applicata a qualsiasi campo, dalla scrittura creativa all'organizzazione di una cenetta a lume di candela alle vacanze estive con gli amici.

Nello specifico, esistono due metodi principali che vengono utilizzati per la progettazione del software: la Bottom-Up e la Top-Down. Come suggeriscono i nomi, quello che cambia è il senso in cui si decide di muoversi.
Nella programmazione Bottom-Up si parte da un livello di astrazione molto basso, ovvero più vicino al codice macchina e meno orientato alla fruizione, per poi procedere aggiungendo funzionalità che man mano rendano il software adatto all'utilizzo da parte dell'utente finale. Questo tipo di progettazione è utile quando si intende realizzare software di ampio respiro, con finalità generiche e molteplici applicazioni. Si prenda per esempio un sistema operativo come Windows o Linux, la progettazione parte necessariamente dal basso, ovvero dal kernel che è a tutti gli effetti il cuore del sistema operativo e che permette la comunicazione diretta del software con la macchina. Una volta realizzato il cuore, si passa ad aggiungere gli altri organi, i programmi che forniranno le varie funzionalità al sistema ed infine si realizzerà un'interfaccia grafica che permetterà all'utente di gestire il tutto.
Al contrario, la programmazione Top-Down è orientata a software più 'piccoli' di cui si conosce fin dall'inizio la finalità. In questo caso si parte da un'idea e si cerca di trasformarla in realtà procedendo per suddivisioni. Come quando in matematica si scompone un problema per ricondurlo ad operazioni basilari e quindi di semplice soluzione, anche in informatica si cerca di suddividere il software in blocchi sempre più piccoli definendone man mano le connessioni tra le varie parti e rendendo il processo di sviluppo facile e immediato. Questo è il tipo di approccio che utilizzo per scrivere e di cui voglio parlarvi.
Di seguito vi riporterò le varie fasi che partono dall'idea iniziale fino ad arrivare alla stesura del singolo capitolo utilizzando i passi della programmazione Top-Down.


Lo Scopo (Le Idee)

Per scopo in informatica si intende la finalità del software. Nel nostro caso, la finalità che vogliamo raggiungere è scrivere una storia, quindi come prima cosa dobbiamo avere delle idee ben chiare in mente. Non dobbiamo necessariamente conoscere ogni vicenda che porterà dal prologo all'epilogo, in questa fase non ci interessa neanche sapere chi sono i personaggi e cosa faranno. L'unica cosa sulla quale dobbiamo focalizzarci è l'idea.
Una storia nasce sempre da un'idea, che sia vaga o specifica non importa, l'unica cosa che conta è che sia nostra, che la sentiamo dentro e che sia per noi fonte di ispirazione.
Nel mio caso l'idea era quella di un mondo dove convivessero magia e tecnologia e che per una qualche ragione queste venissero separate in modo da non potersi più incontrare.
E' molto generica e a questo punto non si può ancora identificare un racconto, ma è la tela sulla quale dipingere la nostra storia.

Lo Scenario (L'Ambientazione)

Questa è la fase in cui la storia viene 'sbozzata'. L'idea viene applicata in maniera concreta e viene dipinta l'ambientazione del romanzo. In informatica, il significato del termine scenario è un po' diverso da quello che si intende comunemente. Ci si mette nei panni dell'utente e si definisce cosa ci si aspetta dal software. In un programma di video-scrittura, l'idea è di avere uno strumento che permetta di scrivere dei testi, lo scenario è l'interfaccia che ci permetterà di farlo. Ovviamente a questo punto l'interfaccia è solo ipotizzata, il più delle volte non assomiglia per nulla a quella finale che verrà proposta all'utente, ma serve da linea guida per ottenere il risultato.
Avendo a disposizione una bozza di interfaccia, si può immaginare quali azioni vorrà compiere l'utente e quindi iniziare a suddividere le varie funzionalità. Nel nostro caso questo aiuto ce lo fornisce l'ambientazione. Descrivere nella maniera più accurata possibile il mondo all'interno del quale si muoveranno i nostri personaggi ci aiuterà a dare forma alla storia. Badate bene che a questo punto non ho ancora definito cosa dovrà accadere nella storia, ma so in che modo potrà evolversi e posso quindi iniziare a delineare una serie di avvenimenti che potrebbero accadere e ho definito le regole alle quali dovranno sottostare i personaggi.
Ci sarebbe molto da parlare sulle regole, ma finirei per scrivere un altro libro. Diciamo che come nella vita di tutti i giorni, ci sono alcuni aspetti che sono indipendenti dalla nostra volontà e che dobbiamo semplicemente accettare. Ogni giorno il sole sorgerà e tramonterà, la forza di gravità sarà sempre uguale, l'arsenico è una sostanza tossica e l'ossigeno è una necessità per sopravvivere. Non dico che dovrete creare tante regole quante ne esistono nel mondo reale perché altrimenti impazzireste, ma vanno fissati alcuni punti sui quali bisogna essere rigidi e coerenti. Nella mia storia le persone che vengono dal mondo della tecnologia non possono fare uso di magia e viceversa (se a qualcuno è venuto in mente Elliot, vi rimando al capitolo delle eccezioni). Una volta create delle regole generali, si possono definire delle regole più piccole e soggette a restrizioni, come ad esempio nel caso di Kaila che, essendo una discendente degli Edori, ha il potere della preveggenza. In questa fase possiamo definire cosa esiste e cosa non esiste nel nostro mondo -elfi, nani, vampiri, licantropi, mutaforma, cervi con le ali, etc...-, cosa è possibile e cosa non lo è -volare, teletrasportarsi, saltare da una torre senza morire spiaccicati, viaggiare nel tempo e nello spazio in una cabina blu, etc...-
Una volta definite le regole si avranno a disposizione tutti gli strumenti per iniziare e delineare una storia vera e propria.

Casi d'Uso (La Storia)

I casi d'uso sono delle descrizioni sommarie di cosa gli utenti faranno con il software, di come si muoveranno all'interno dello scenario e di cosa ci si aspetta come risultato. Eccola qui la nostra storia. Ora che abbiamo delineato il mondo in cui questa si svolgerà, è giunto il momento di trasformare la nostra idea in qualcosa di più concreto. Ovviamente anche in questa fase non ci servono i dettagli degli avvenimenti, ci basta sapere in maniera per sommi capi cosa vogliamo raccontare e come vogliamo raccontarlo. Butteremo giù poche righe per descrivere la storia, una sorta di riassunto o sinossi che poi andremo man mano ad affinare.
In questa fase può anche avvenire una prima suddivisione. Per identificare i casi d'uso infatti si definisce cosa un utente potrà fare in una determinata schermata, ma non è detto che il lavoro completo potrà essere ricondotto all'interno dello stesso caso d'uso. In poche parole è questo il momento di definire come organizzare la storia in macro-sezioni, libri, saghe o quello che meglio si adatta al nostro genere. A questo punto sarà necessario scrivere accanto alla sinossi della storia completa anche le sinossi dei singoli libri o sezioni mantenendo ben presente la storia generale. In questo modo potremo concentrarci sulla prima parte della storia avendo però un riferimento a ciò che dovrà accadere sia in senso generico sia nello specifico nelle macro-sezioni successive (ad esempio potremo far accadere un evento nel primo libro e spiegarlo solo nel secondo, così si crea curiosità e aspettativa nel lettore). Personalmente cerco di non esagerare, perché ogni parte della storia avrà bisogno di un finale che lasci il lettore soddisfatto, altrimenti potrebbe decidere di non leggere il seguito.

Funzionalità (Gli Eventi)

Ogni caso d'uso dovrà fornire diverse opzioni all'utente fornendo così una prima suddivisione in funzionalità. In questa fase di scrittura, riconduciamo la storia ad una serie di eventi. Gli eventi non sono altro che momenti in cui accadono fatti che definiranno l'evolversi della storia. E' utile creare un vero e proprio diagramma di flusso in cui tutti gli eventi sono descritti brevemente e in ordine cronologico, così da avere una scaletta da seguire in fase di scrittura. Il concetto alla base della programmazione Top-Down è di avere un quadro generale ma di specializzarsi sui singoli oggetti di sviluppo. In pratica la cosa più importante è concentrarsi di volta in volta sul singolo evento. E' per questo che definendo una scaletta si dovranno descrivere tutti gli intrecci che avverranno nel libro, così quando si inizierà a scrivere la storia si avranno già a disposizione tutte le informazioni necessarie per poter accantonare temporaneamente il quadro generale.
Per facilità è bene scrivere per ogni evento una lista di avvenimenti che devono accadere fornendo un'ulteriore suddivisione del lavoro all'interno di ogni passo.

Gli Attori (I Personaggi)

In fase di progettazione per attori si intendono quei blocchi di programma che parteciperanno attivamente alla funzionalità in esame. Personalmente non ho ancora chiaro quanti e quali saranno i personaggi di tutto il libro/saga. Di volta in volta mi limito ad esaminare un evento particolare e cerco di immaginare chi vi prenderà parte. Ogni evento ha i suoi protagonisti che si alterneranno sulla scena, è quindi necessario in questa fase buttare giù due righe per dare una descrizione dei vari personaggi, sia fisicamente che psicologicamente, inoltre va descritto cosa faranno mentre saranno presenti in scena. In questa maniera sarà sempre possibile aggiungere nuovi personaggi e lo si potrà fare con metodo e senza troppe forzature. Tra l'altro questo sistema permette di dimenticarsi completamente dei personaggi già introdotti ma non presenti in scena, facendo in modo di rendere più semplice la stesura del testo. Qualora ci venga in mente qualche nuovo evento durante la stesura delle descrizioni (a me capita spesso di voler creare degli eventi che spieghino il cambiamento caratteriale di un personaggio in base a come l'ho descritto) potremo sempre tornare al passo precedente e aggiungerlo, non bisogna mai tenere nulla a mente, la memoria è molto labile e rischieremmo di perdere l'idea.

Gli Oggetti (I Capitoli)

Quando si parla di oggetti significa che si è in una fase intermedia in cui la progettazione si fonde con lo sviluppo reale. Gli oggetti sono le porzioni di codice che descrivono un attore e che eseguono le azioni. In questa fase quindi si prende in esame un attore alla volta e si definisce cosa può fare e come lo può fare, sempre ovviamente all'interno della funzionalità che si sta analizzando. Prendiamo quindi di volta in volta i nostri personaggi e raccontiamo la loro storia, li facciamo muovere all'interno dell'evento e ne descriviamo le varie interazioni con gli altri personaggi. A conti fatti stiamo stendendo una prima bozza di quello che sarà un capitolo del nostro libro e se le descrizioni dei personaggi, dello scenario e dell'evento sono state adeguatamente approfondite, la storia si scriverà da sola.
Ho scelto questa via perché mi permette di vedere una stessa scena attraverso gli occhi di diversi personaggi, sia buoni che cattivi, con l'intenzione di dare una maggiore tridimensionalità alla storia. In questa maniera nulla è lasciato al caso e si ha la possibilità di spiegare tutte le cause e gli effetti delle varie azioni.
Inoltre, scrivere ogni capitolo dal punto di vista di un personaggio diverso permette di approfondire la psicologia della persona e vivere più intensamente le relazioni che questa crea con gli altri attori.

Le Eccezioni

Quando si studiano i casi d'uso, vanno prese in considerazione anche le cosiddette eccezioni. Queste sono delle condizioni di errore gestite, nel senso che si prevede che possano accadere e quindi si studia il modo di reagire opportunamente. Nel caso della scrittura, è possibile prevedere che alcune regole possano essere aggirate o addirittura infrante, anzi, è importante che ogni tanto qualche regola venga infranta perché vi permetterà di descriverla nel dettaglio e fornire un maggiore spessore all'evento o al personaggio che ha infranto quella determinata regola.
*SPOILER* (Evidenziare per leggere ^_^)
Nel mio caso Elliot è in grado di utilizzare la magia nonostante sia nato nel mondo della tecnologia. Questo è un evento fondamentale che verrà spiegato più avanti e che determinerà in modo significativo le dinamiche della storia.

*SPOILER*


Il Linguaggio (Lo Stile)

Una volta definiti gli oggetti con le loro proprietà e le loro funzioni, passeremo alla scrittura vera e propria del codice. Per farlo è necessario scegliere un linguaggio appropriato -che può essere C, C++, Java, Assembly, etc...- e non deve essere necessariamente lo stesso per tutti gli oggetti. Non è impossibile trovare librerie all'interno dello stesso software scritte in linguaggi diversi. Anche se in informatica questa pratica è deprecata, in scrittura invece si rivela essere una pratica molto divertente. Permette all'autore di spaziare tra i vari stili e fornisce al personaggio descritto nel capitolo delle peculiarità uniche. Nel mio caso ad esempio ho scelto di narrare in prima persona i capitoli dedicati a Mallory. Questo ovviamente sta alla fantasia dello scrittore, purché poi si mantenga una certa coerenza all'interno del libro (Nel mio caso tutti i capitoli dedicati a Mallory saranno scritti in prima persona).


Conclusione

Spero che questo post possa essere utile a qualcuno, ma ci tengo a ribadire che non esiste un unico metodo e che quello qui descritto è solo quello che uso io e potrebbe anche non essere condiviso dai più. Buona scrittura!


lunedì 27 dicembre 2010

Inseguimento

Il paggio si stava lentamente avvicinando dal corridoio di nord-ovest. Statue e armature consunte si alternavano tra di loro. Le piccole fiammelle delle lanterne proiettavano le loro tremolanti luci sul pavimento creando strani giochi di ombre. L'ostentata opulenza di quella reggia stonava di fronte alla evidente decadenza della città-alveare. Da quando si erano trasferiti ad Elengar, Nikolas aveva iniziato a comportarsi come se fosse il re di quella città morente. Forte del suo sigillo imponeva il suo volere su una città pigra e senza forza di volontà.
Takalia odiava tutte quelle cerimonie. Stare lì immobile ad aspettare di essere ricevuta al cospetto di quell'uomo che fino a poco prima trattava come un fratello maggiore. Continuò a fissare il paggio avvicinarsi con calma senza muovere un muscolo. Era rosso in volto. Indossava diversi strati di merletti, tessuti vari ed infine un pesante mantello di broccato. Ci si sarebbe tranquillamente potuto ricoprire un intero accampamento militare con tutti quei tessuti che avvolgevano come un salame quel ragazzo. Avrà avuto più o meno 14 anni e probabilmente sarebbe morto soffocato sotto tutta quella stoffa prima di arrivare ai 15.
Arrivò tutto trafelato nonostante il lento incedere. Cercava di nascondere l'affanno respirando a fondo con il naso, ma in questo modo non era più in grado di parlare. Takalia continuò a fissarlo col suo sguardo penetrante senza dare segno di impazienza. Non aveva voglia di vedere Nikolas, quindi ogni scusa era buona per prolungare l'attesa. "Il Capitano Nikolas è disposto a ricevervi. Cortesemente potreste seguirmi?"
Takalia trovò molto buffa la scelta delle parole da parte del paggio. Era convinta che fosse stato Nikolas a farla chiamare, ora invece si dimostrava 'disposto' a riceverla. Il volto del ragazzo era completamente imperlato di sudore. Le guance erano due enormi chiazze rosse. Aveva i capelli incollati dal sudore. Dall'ampio bavero del mantello si alzava un pungente olezzo di rancido misto ad essenze di viole e di mughetto. Takalia dovette fare uno sforzo enorme per non dimostrare tutto il suo disgusto per quell'omuncolo unticcio.
Si incamminarono per i lunghi corridoi della reggia. Il paggio davanti a fare strada con la sua andatura pigra e Takalia subito dietro. Non vi fu scambio di parole tra i due per tutta la durata del viaggio. I corridoi si susseguirono lenti dietro di loro. Tante porte tutte uguali puntellavano le mura ad intervalli regolari. Dame e cortigiani chiacchieravano di futili faccende ad ogni angolo.

Arrivarono di fronte ad una enorme porta istoriata con sopra dei bassorilievi raffiguranti vari avvenimenti storici. Il paggio fece segno alla ragazza di attenderlo. Spinse con quel poco di forza che aveva nelle braccia sui possenti battenti aprendo la porta quel tanto che bastava da consentire il passaggio di un uomo. Una volta dentro il paggio si voltò indietro a fissare la porta riflettendo se fosse il caso di richiudersela alle spalle. L'etichetta avrebbe voluto così, ma poi avrebbe dovuto fare doppia fatica per cercare di riaprirla. Alla fine decise di lasciarla aperta e si diresse di corsa verso il centro della sala. Takalia dalla sua posizione non riusciva ad intravvedere il trono, era coperto da una figura esile dai capelli rossicci e arruffati che le dava le spalle. Teneva il peso appoggiato su un solo piede e aveva le braccia conserte dietro la schiena. Nikolas, oltre a lei, aveva convocato anche Pilsk. La faccenda iniziava a farsi sospetta.
Nei lunghi anni che aveva passato al servizio diretto del Maestro, Takalia aveva imparato a comprendere la gravità delle situazioni con velocità sorprendente. Nel mestiere della spia bisognava essere sempre pronti al peggio. Il più delle volte ci si doveva introdurre in luoghi molto ben sorvegliati senza poter fare conto su armi di qualunque genere. Il silenzio ed il buio erano gli unici compagni delle sue missioni. Takalia aveva imparato a riconoscere ogni rumore, ogni respiro, ogni spostamento d'aria. Ricostruiva nella sua mente il mondo circostante con precisione infinitesimale. Spesso il Maestro l'aveva paragonata ad un pipistrello per quella sua peculiarità. In meno di un battito di ciglia era in grado di interpretare i movimenti che la circondavano definendo le dinamiche di ogni situazione. Poteva prevedere ogni singolo cambiamento e agire di conseguenza.
Adesso la situazione non era del tutto diversa. I segnali erano chiari. Nikolas non voleva uno dei suoi soliti rapporti sull'andamento dell'addestramento del nuovo esercito o sullo stato di attività delle pattuglie. No, voleva affidarle una missione. La presenza di Pilsk indicava anche un certo grado di difficoltà del compito che stava per ricevere. Le spie di solito lavorano da sole, essere affiancati da un armato significa la possibilità di dover ingaggiare battaglia. Nikolas non era uno sprovveduto ed evidentemente aveva valutato i rischi e i benefici che sarebbero scaturiti dall'affiancare i due.
Tutto sommato l'idea le piacque. Erano ormai settimane che controllava le ronde sulle mura di cinta o che teneva lezioni di tattica al rinnovato esercito di Elengar. In tutta la sua vita non si era mai annoiata tanto e l'idea di un po' di movimento le stuzzicava la mente. Il paggio tornò indietro facendole segno di seguirla. Finalmente avrebbe avuto qualche informazione precisa.

Takalia appoggio delicatamente la mano sulla grande porta istoriata e con una leggera pressione la spalancò. Il paggio la guardò interdetto e un po' stupito. La ragazza era molto forte e adorava vedere lo sguardo di stupore che ogni volta si dipingeva sul volto di chi puntualmente finiva per sottovalutarla. Da tempo immemore ormai si addestrava per nascondere la sua femminilità. Si allenava duramente per rendere il suo corpo forte e tonico. Niente in lei, tranne forse il solo sguardo, faceva trasparire il suo essere donna. Quel poco seno che avevo lo teneva costantemente costretto all'interno di una fascia elastica. A vederla da lontano si sarebbe pensato ad un paio di pettorali molto ben allenati, non certo alle morbide forme di una ragazza.
Al suo ingresso Pilsk si girò a guardarla. Appena la vide sorrise e le fece cenno con la mano. Quel ragazzo era sempre allegro e spensierato, anche nei momenti più duri trovava il modo di sdrammatizzare con una battuta, il ché spesso faceva saltare i nervi a Nikolas. Takalia gli si fece vicino e ricambiò il sorriso. Pilsk le si avvicinò e le sussurrò nell'orecchio "Finalmente un po' di movimento". La ragazza aveva visto giusto, Nikolas voleva affidare loro una missione.
"Come sapete siamo venuti qui per via di un semplice furto. Qualcuno è riuscito ad introdursi in questa reggia più di due lune fa" iniziò Nikolas. Se ne stava seduto sul trono a consultare una mappa. Non aveva neanche alzato gli occhi dal foglio per guardare i due. Accanto al trono stava in piedi tronfio e sudato il paggio di corte. La stanza era enorme e completamente vuota. Il trono stava su un piccolo podio con tre gradini a separarlo dal pavimento. Dai lati partiva una fila di colonne che seguiva tutto il perimetro di quella stanza quadrata e sorreggeva l'enorme volta affrescata con al centro un sontuoso lucernario. Aldilà delle colonne si formava una specie di corridoio adombrato che sembrava voler nascondere alla vista le porte che davano accesso alle stanze regali.
"Credevo che il ladro fosse morto suicida" disse Pilsk. Nikolas alzò lo sguardo e sul suo volto si dipinse un sorriso a mezza bocca. "Ho ragione di credere che non sia morto".
"Ma ci sono dei testimoni" protestò Takalia con la sua voce mascolina.
"Certo, due armigeri che si sono fatti scappare il ladro sotto il naso. La loro testimonianza non è molto affidabile" sottolineò Nikolas "inoltre il cadavere non è mai stato trovato."
"Se ci hai chiamato qui immagino che tu voglia che scopriamo chi è il ladro" fece Pilsk.
"No, non credo ce ne sia bisogno. Oggi ho avuto uno scambio di parole con quello che ritengo sia il principale sospettato. Un ragazzo di nome Felz. Ha in programma un viaggio lontano da Elengar dove probabilmente cercherà di smerciare la refurtiva."
"E questo glielo avrebbe detto lui? Non mi sembra una mossa tanto intelligente, persino per un bifolco" sentenziò Takalia. Sapeva chi fosse quel Felz, aveva una birreria in città nella quale Nikolas passava quasi tutte le serate. Il sospetto che la missione avesse un secondo fine di natura personale iniziò a farsi strada nella mente della ragazza. Il Capitano aveva completamente perso la testa per la sorella di quel birraio, aveva perso di lucidità e di razionalità. Era diventato irascibile e lunatico. Non era più il valoroso condottiero che li aveva guidati in dozzine di campagne militari. Si era progressivamente trasformato in un annoiato monarca con una stupida infatuazione per una semplice plebea. Finché però la cosa riguardava solo Nikolas per Takalia non c'erano problemi, ma adesso voleva mobilitare anche i suoi uomini per il suo fine.
"Ovviamente ha accampato una scusa sciocca, ma è evidente che sta cercando di fuggire da qualcosa. Vorrei che lo seguiste e controllaste i suoi movimenti. Avremo bisogno di prove per inchiodarlo".
Pilsk e Takalia si guardarono sbigottiti. Erano increduli di fronte all'inutilità e alla superficialità di quella missione, per di più non erano affatto d'accordo con il loro Capitano e disapprovavano i suoi nuovi metodi. Pilsk provò a lanciare una protesta, ma fu subito zittito da Nikolas "Non vorrete certo mettere in discussione i miei ordini, vero? Lo seguirete e mi informerete di ogni cosa insolita che noterete. Qualora riusciate a coglierlo in flagranza di reato lo arresterete e lo scorterete qui a palazzo dove verrà interrogato."

I due soldati si congedarono dal loro Capitano e tornarono nei rispettivi alloggi per prepararsi alla partenza. Takalia era sconcertata dal comportamento di Nikolas. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non ne aveva l'autorità. Il Capitano aveva la piena fiducia del Maestro e quindi aveva diritto alla sua più completa obbedienza.
Partirono immediatamente. Nelle stalle trovarono due stalloni neri sellati e pronti per essere cavalcati. Due bestie imponenti e veloci che macinarono la strada che separava la città di Elengar dalla vallata sottostante in poco tempo. Corsero a tappe serrate per recuperare il vantaggio che Felz aveva su di loro e prima di sera arrivarono in vista del carro che Nikolas gli aveva descritto. Si tennero ad una certa distanza per non essere visti. I cavalli al trotto e i mantelli a coprire il volto. Con il calare della notte si fecero completamente invisibili.
Il carro si fermò presso un piccolo villaggio, probabilmente per passare la notte. La strada era circondata da campi a maggese. Non un albero né una roccia a fornire riparo ai due soldati. Takalia decise di smontare da cavallo a circa un miglio dal villaggio e di proseguire a piedi. Il carro era lento, il giorno dopo avrebbero avuto tutto il tempo di tornare a riprendere i cavalli e gettarsi nuovamente all'inseguimento. Intanto era importante trovare il modo di controllare cosa trasportasse. Prima avessero verificato l'infondatezza dei sospetti di Nikolas, prima se ne sarebbero potuti tornare a casa.
Si avvicinarono di soppiatto alla stalla nella quale avevano visto entrare il carro. Con il favore della notte avrebbero potuto intrufolarvisi. Appena furono abbastanza vicini da poter osservare l'interno del capanno notarono che Felz non era da solo, ma con la sorella, inoltre avevano organizzato una specie di festa che andò avanti fin quasi all'alba. Takalia rimase di guardia tutta la notte, mentre Pilsk a tratti si addormentava appoggiato al suo arco. I due se ne stavano a poca distanza dalla strada, sdraiati per terra per non essere visti. "Certo non sarebbe male partecipare. Guarda quanta birra che hanno!" Pilsk aveva uno sguardo sognante e in più di un'occasione fu tentato di alzarsi. In un momento di distrazione, il ragazzo riuscì a sottrarsi al controllo di Takalia e ad avvicinarsi alla stalla. "Dove diavolo vai?" chiese la ragazza.
"Sono tutti sbronzi persi, potrei mettermi a camminare sulle mani in mezzo a loro e non si accorgerebbero della mia presenza".
"Torna subito qui".
"Vado solo a fregare un pezzo di pane e una birra! Ho fame e sono stufo dei tuoi fichi secchi".
Takalia si avventò sul compagno e lo costrinse nuovamente pancia a terra. Quando alzò la testa il suo sguardo incrociò quello della sorella di Felz. "Cavolo, ci ha visti!"
"Chi?" chiese Pilsk.
"La ragazza, quella Kaila!" spiegò Takalia.
Pilsk sforzò gli occhi per cercare di vedere meglio "Ma che dici? Guardala, è completamente addormentata, probabilmente se la sta russando alla grande".

La festa finì, ma la notte non era più così oscura. Un leggero bagliore ad est indicava l'imminente sorgere del sole. Forse avrebbero avuto ancora una o due ore di tenebre. Alcuni fattori stavano entrando nella stalla per sbrigare il loro lavoro. Probabilmente a breve avrebbero iniziato a mungere le mucche e il carro non sarebbe più rimasto solo. Decisero di ritornare ai cavalli e rimandare il controllo.
Quando il sole fu alto e il carro lontano da loro, Pilsk si diresse al villaggio per ottenere informazioni. Non era certo al livello di Takalia, ma se la cavava coi travestimenti. Posò arco e frecce ed indossò una casacca di tela marrone. In testa aveva un cappello da pescatore e in spalla una sacca da viaggio che aveva riempito con la sua divisa e altre cianfrusaglie che aveva preso dalle bisacce del suo cavallo. Non era perfetto, ma sembrava un normalissimo viandante squattrinato.
Takalia rimase ad aspettare al margine della strada per circa un'ora quando finalmente Pilsk fece ritorno. "Simpatici questi bifolchi. Mi hanno anche regalato una pagnotta appena sfornata." disse il ragazzo lanciando un involto che Takalia prese al volo. "Allora? Che notizie porti?"
"Come sei formale... comunque niente di ché, erano tutti coi postumi di una sbornia colossale. Mi sa che oggi si lavorerà poco in quel villaggio."
"Possibile che tu non abbia scoperto nulla?" chiese Takalia spazientita.
"Un attimo, ci stavo arrivando" disse il ragazzo mentre si cambiava d'abito e indossava nuovamente la divisa. Takalia cercò di guardare altrove mascherando l'imbarazzo per le nudità del compagno. "Hanno detto che stavano andando a Salingar a vendere la birra, che poi è quello che hanno detto anche a Nikolas. Mah, da quel che mi hanno raccontato sembravano persone tranquille, di certo non dei ladri professionisti. Secondo me quelli non sanno neanche cosa sia un grimaldello, figuriamoci se si intrufolano in una reggia" concluse Pilsk risalendo a cavallo e rimettendosi in spalla il suo arco. "Ah, mi hanno detto che faranno tappa ad Hangwick, pare sia una cittadina a poche leghe da qui".

L'inseguimento proseguì lento. Takalia decise di non rischiare più avvicinandosi al carro. Continuarono a tenersi a debita distanza senza però perderli di vista. Ci vollero un paio di giorni per raggiungere la città di Hangwick. Per tutto il percorso Pilsk cercò di intavolare due chiacchiere con la ragazza. Parlò del tempo, del viaggio, della sua opinione su Nikolas e della sua stupida cotta. Niente. Takalia mantenne il più completo riserbo e non diede modo al compagno di iniziare una discussione, tanto che alla fine Pilsk si mise a cantare per impegnare il tempo. "Conosci qualche vecchia canzone marinara? Mio padre viveva per mare. Non ho mai passato molto tempo con lui, ma quelle poche volte che tornava da mia madre mi cantava un sacco di canzoni". E così il sottofondo musicale andò avanti per tutto il viaggio.
Arrivarono in vista di Hangwick che era già notte. Per le strade del borgo non c'era un anima e il silenzio era inquietante. Solo l'ululato di un lupo in lontananza. "Voglio avvicinarmi al carro. Questa potrebbe essere la nostra occasione migliore per dare un'occhiata" disse Takalia, ma Pilsk le fece notare che Felz e Kaila lo avevano appena chiuso in una specie di rimessa coperta. "Sono piuttosto bravo ad introdurmi nei luoghi chiusi, vedrai che non sarà un problema!" sottolineò la ragazza.
Mentre Pilsk si prendeva cura dei cavalli, Takalia aggirò il capanno per esaminarlo. Era in solida pietra e non c'erano finestre. Il tetto spiovente però doveva avere qualche apertura per permettere alla luce di entrare, quindi la ragazza decise di arrampicarsi.
Takalia non aveva mai visto tanta cura nella costruzione di un muro. Di solito erano sbozzati, con sporgenze di ogni tipo o con crepe tra i mattoni. Questo sembrava perfettamente liscio e solido. Non c'erano appigli per arrampicarsi se non una canalina di scolo per le acque piovane. Ci volle parecchio per riuscire a salire sul tetto, ma alla fine ce la fece. Nel momento in cui i suoi piedi furono saldamente al sicuro sul cornicione del tetto, una luce accecante le ferì gli occhi. Un lampo intenso si era propagato dal bosco sulla collina accanto al borgo e per poco non le faceva perdere l'equilibrio. Quando fu passato alzò lo sguardo e lo lasciò vagare alla ricerca della fonte di quella luce. Mille puntini luminosi affollavano il suo campo visivo, come se un esercito di formiche fatte coi pezzi di un arcobaleno infranto le camminassero dentro gli occhi. Cercò di strizzare le pupille per mettere a fuoco meglio e a quel punto se ne accorse. Alle sue spalle, dietro il vetro di una finestra, una ragazza la stava fissando. Per la seconda volta gli sguardi di Takalia e Kaila si incrociarono.

Takalia si gettò sulla canalina di scolo per scendere a terra. Corse con tutto il fiato che aveva in gola verso il suo compagno "Maledizione, mi ha visto di nuovo".
"Chi?" interrogò Pilsk.
"Chi secondo te? Kaila! Quella mocciosa!"
Pilsk si sforzò di guardare nella direzione della locanda che Takalia gli stava indicando ma non vide nessuno dietro le finestre.
"Sei sicura? A proposito, hai visto quel lampo di poco fa?" chiese il ragazzo.
"Certo che l'ho visto, è per quello che mi ha beccato! Avevo la vista annebbiata dalla luce e mi sono distratto a cercare di capire da dove veniva ! Non ci posso credere, mi ha visto per ben due volte! Nessuno era mai riuscito a vedermi, tutta questa inattività mi sta facendo perdere colpi!"
"Maddai, come ce l'avevi tu, anche lei avrà avuto la vista annebbiata, non si sarà accorta di te!" cercò di confortarla Pilsk.
"Non capisci! Sono più di dodici anni che faccio la spia! Mi sono introdotto in luoghi che tu neanche immagini, e alla fine mi sono fatto beccare da una stupida ragazzina! Per ben due volte!"
"Non farla così tragica Tak, a tutti capita una giornata storta"
"Sono due mesi che non facciamo nulla, che non ci alleniamo. Non svolgiamo un incarico da più di quattro lune. E' inevitabile ridursi in queste condizioni. Probabilmente neanche tu avrai più i riflessi di un tempo con l'arco."
"Ehi, non scherzare, io la mira ce l'ho nel sangue" esclamò il soldato.
"Si certo, come no! Senza allenamento tutti perdono l'abilità, e se non fosse per quell'idiota di Nikolas adesso saremmo in giro per il continente a portare a termine qualche incarico importante."
"E adesso Nikolas che c'entra?"
"Oh andiamo, come fai ad essere così stupido! Dovevamo arrivare ad Elengar, dare un'occhiata in giro e strigliare un po' il capo della guardia. In meno di un mese saremmo dovuti tornare dal Maestro a fare rapporto." Takalia era su tutte le furie e cominciò a riversare su Pilsk tutta la sua frustrazione "E invece guardaci, facciamo da balia ad un esercito pigro e teniamo d'occhio la ragazza di cui il nostro Capitano si è infatuato!"
"Beh, effettivamente Nikolas è cambiato parecchio" confermò Pilsk.
"Si è fatto corrompere dal potere e dalla ricchezza. E' diventato un inetto ipocrita e opportunista. Ormai non lo riconosco più. Se solo il Maestro sapesse, sono sicura che prenderebbe provvedimenti!" concluse la ragazza.
"Problemi di identità?" chiese Pilsk.
"Cosa?" disse perplessa Takalia.
"Hai detto 'sono sicurA'. Non suona molto virile" apostrofò il ragazzo.
"Avrai sentito male" glissò la ragazza.
"Sarà! Comunque è ora di nascondersi, quel Felz sta uscendo dalla locanda" concluse Pilsk.

I due uscirono fuori dalle mura della città e raggiunsero la biforcazione della strada che portava a Salingar in attesa del passaggio del carro. Trovarono riparo dietro una piccola macchia di arbusti. Felz e Kaila non si fecero attendere a lungo. Il rumore degli zoccoli dei cavalli riecheggiò nel silenzio dell'alba. Sempre più vicino. Takalia si sporse per osservare la scena e vide un'ombra scendere dal pianale del carro e schizzare in direzione della collina.
"Seguiamo la ragazza" sussurrò Takalia.
"Perché? Nikolas ci ha chiesto di seguire Felz e il suo carro" protestò Pilsk.
"Già, ma da quel carro è appena scesa una ragazza con un enorme cappuccio calato sul volto e con una sacca sulle spalle. Non ti viene qualche sospetto?" spiegò Takalia ma Pilsk continuava a sembrare perplesso. "Oh, andiamo, come arciere sarai bravo, ma come investigatore non vali un soldo di cacio. Probabilmente la refurtiva ce l'ha la ragazza e adesso dobbiamo scoprire dove la sta portando".
"Ma non eri tu quello che diceva che Nikolas si era inventato tutto e la storia del furto era solo una scusa per ottenere informazioni su quella ragazza?" osservò Pilsk.
Takalia non rispose. La questione era spinosa. Forse Nikolas non era impazzito. Aveva sicuramente subito il fascino del potere e della ricchezza, ma forse aveva visto giusto sul furto. Forse non si era infatuato di quella ragazza, ma aveva veramente avuto fin dall'inizio dei sospetti su quella coppia. Per un attimo sentì il peso delle sue accuse e si pentì di averle mosse. Avrebbe almeno dovuto concedere il beneficio del dubbio al suo Capitano.
I due si incamminarono cercando di seguire l'ombra della ragazza che correva tra i tronchi di quelle enormi querce. Il pendio della collina era abbastanza dolce, ma non c'era un sentiero preciso da seguire, quindi Pilsk propose di aspettare il sorgere del sole per poter seguire le tracce della ragazza senza rischiare di perdersi all'interno di quel bosco così intricato. Il soldato si rivelò essere un perfetto segugio. Con il favore della luce identificò ogni passo della ragazza e ne ricostruì il percorso. Prima del calare del sole riuscirono a raggiungerla, ma rimasero spiazzati da ciò che trovarono. Kaila non era sola. Un gruppo di ragazzi e un uomo di mezza età bivaccavano insieme a lei in una radura intorno ad un piccolo fuoco. Takalia si avvicinò per cercare di osservare meglio. Notò che c'era un'altra ragazza distesa su una lettiga in evidente stato confusionale, aveva una gamba fasciata e steccata. Tutti i nuovi arrivati avevano abiti strani. Sembravano usciti da un circo.
"Non sembra un esercito. In realtà hanno l'aria di essere fenomeni da baraccone, ma non sembrano pericolosi" spiegò Takalia a Pilsk.
"Hai visto la refurtiva? Magari la ragazza la sta vendendo" si informò il ragazzo.
"No, non l'ho vista, ma la sacca di Kaila ora e vuota. Inoltre hanno un ferito. Forse sono delle spie" ipotizzò Takalia.
"Beh, allora che aspettiamo, andiamo a catturarli" Pilsk sembrava emozionato e felice, come se non aspettasse altro.
"Sono in tanti, non sarà facile" obiettò Takalia.
"Ho un idea. In questi casi non serve catturare tutti, l'importante è cercare di prendere uno del gruppo per interrogarlo, poi magari cerchiamo anche di prendere Kaila, così Nikolas è contento".
"E l'idea dove sarebbe?" chiese Takalia ironica.
"Spaventiamoli. Se non sono organizzati probabilmente si sparpaglieranno e sarà più facile seguirne uno e catturarlo. Io inizio a perseguitarli con le mie frecce e tu li catturi. "

Pilsk si allontanò silenziosamente. Takalia sentì il sibilo sordo di una freccia provenire dal folto del bosco e poi tante voci concitate che si sovrapponevano. Decisamente non erano organizzati. La luce del fuoco si spense e il rumore pesante dei passi si sparse tra gli alberi. Pilsk riusciva a dirigere il gruppo in fuga nella direzione che voleva lanciando frecce sui lati del percorso. Takalia si mise in moto e cercò di raggiungere il gruppo mantenendosi nell'ombra quando improvvisamente da un cespuglio saltò fuori un ragazzo. Era strano, era difficile distinguerlo nel buio e riuscì a coglierla impreparata. Il ragazzo le si avventò addosso e la gettò in terra. Takalia fece per rialzarsi ma l'uomo che aveva visto nell'accampamento uscì da dietro un albero e le bloccò i movimenti. "Chi diavolo sei e cosa vuoi da noi?" Chiese il ragazzo mentre Takalia cercava di divincolarsi dalla presa salda dell'uomo. La teneva stretta da dietro con le braccia intorno al petto, mentre con un ginocchio le teneva le gambe bloccate contro il tronco di un albero. Takalia non rispose e continuò ad agitarsi. Non era abituata a farsi prendere di sorpresa e aveva perso la lucidità che di solito l'accompagnava. Non riusciva a concentrarsi e si era fatta prendere dal panico. Fece un respiro profondo e cercò di calmarsi per trovare il modo di contrastare l'uomo, ma non ce ne fu bisogno. Un urlo di dolore arrivò dalle sue spalle e la presa si allentò, Takalia si girò di scatto e di fronte a sé vide Pilsk con l'arco puntato e con una freccia incoccata. "Tranquillo, come vedi non ho perso la mira, l'ho solo colpito alla gamba" disse rivolto alla ragazza, dopodiché si voltò verso il suo assalitore e tese la corda dell'arco "Ora se volete farci il favore di stare buoni eviteremo inutili spargimenti di sangue".
Takalia si mise alle spalle di Pilsk mentre il ragazzo corse verso l'uomo ferito per cercare di soccorrerlo "Prof, come stai, va tutto bene?" chiese il giovane.
"Non preoccuparti, sto bene" cercò di mentire l'uomo.
Pilsk passò il suo stiletto e una corda a Takalia "Io vado a cercare Kaila, tu cerca di calmarti e lega questi due. Cura la ferita di quel tizio, altrimenti non ci arriva vivo ad Elengar." Detto questo sparì tra gli arbusti lasciando Takalia da sola.
Le tremava ancora la mano e si sentiva stupida. Si ricordò del suo primo incarico quando per poco non si fece catturare. Il Maestro la trasse in salvo uccidendo con una strana arma i tre armigeri che aveva alle costole. Anni e anni di allenamenti si erano annullati con pochi mesi di ozio. Si ripromise di ricominciare da zero l'addestramento una volta tornata a palazzo.
Legò i polsi dei due prigionieri e tolse la freccia dal polpaccio dell'uomo. L'urlo di dolore fece scappare alcune civette appostate sull'albero. Mentre fasciava la ferita si accorse che la luminosità era aumentata, si voltò verso la cima della collina e vide delle fiamme altissime che stavano divampando tra le fronde degli alberi ormai quasi del tutto spogli. Sentì il calore delle fiamme da quella distanza e poi fu solo dolore. "Scappa!" urlò l'uomo che con un calcio aveva atterrato Takalia. "Ma lei..." provò a dire il ragazzo ma l'altro lo interruppe "Pensa solo a scappare, io me la caverò".
Takalia cercò di voltarsi verso il ragazzo ma aveva ancora le idee confuse. Sentì solo il rumore dei passi veloci che si allontanavano e l'odore acre del sangue che le colava dal labbro. Il fumo riempì l'aria e il rumore del crepitio del fuoco si fece più forte. "Che diavolo è successo qui?" Pilsk era tornato col fiatone.
"Il ragazzo è scappato!" spiegò Takalia con lo sguardo basso.
"Non fa niente, dobbiamo scappare. Prendo io il tipo". Afferrò l'uomo per un lembo di quella strana veste e lo tirò in piedi. Di nuovo un urlo di dolore. "Non fare la femminuccia, appoggiati a me e non cercare di scappare altrimenti stavolta ti ammazzo" minacciò Pilsk incamminandosi.
"Ma da dove viene quel fuoco?" chiese Takalia.
"Non è di quello che devi preoccuparti. Siamo inseguiti dai lupi e a quanto pare il fuoco non li spaventa" urlò Pilsk mentre accelerava il passo verso valle.
Avrebbero avuto fin troppe cose da spiegare a Nikolas al loro ritorno.


sabato 25 dicembre 2010

Christmas Special

Questo è il mio personale regalo di Natale per tutti quelli che finora mi hanno seguito e mi hanno sostenuto. Con questo capitolo vorrei inaugurare una serie di storie slegate dalla trama principale e che narrano vicende secondarie o comunque incentrate su personaggi minori. Prendendo spunto dagli speciali del Doctor Who spero di riuscire a regalarvi un capitolo speciale per ogni ricorrenza. Di volta in volta cercherò di trovare le storie che meglio si adattano alla festività di turno. Ovviamente questi capitoli non verranno inseriti nell'indice dei libri che man mano si alterneranno, però sono sicuro che troverete queste storie farcite di piccoli rimandi che di volta in volta approfondiranno alcuni aspetti del romanzo che stiamo leggendo. Per questo primo speciale ho scelto di dedicarlo ad uno dei personaggi più importanti della mia storia che però per forza di cose è ben lungi da essere un protagonista: Jonah!

Detto questo vi lascio alla lettura e vi auguro un Buon Natale. Non posso promettere nulla, ma se ce la faccio avrò modo di farvi anche gli auguri di Buon Anno ;-)


Un Regalo Inaspettato

La bufera imperversava e si insinuava in ogni crepa della porta di legno. I cardini erano allentati, quindi ogni raffica di vento la faceva sbattere come se qualcuno stesse cercando di buttarla giù con violenza. La fiamma nel focolare si faceva via via più debole e non c'erano più ciocchi per sfamare quel che rimaneva del fuoco. Jonah strinse a sé la pesante coperta di lana e si fece più vicino al camino. Se ne stava rannicchiato per terra a giocherellare con un pezzettino di carbone ormai privo di calore. Il freddo gli faceva battere i denti e stridere le ossa, sentiva il gelo intorpidirgli l'anima. Accanto a lui l'ultimo barattolo di ciliege sotto zucchero. Una ciliegia solitaria galleggiava in poche dita di sciroppo.
Jonah si era da poco trasferito ad Hangwick, la città dei maghi, dove tutti i novizi dovevano terminare il loro addestramento sul campo. Era appena uscito dalla scuola di magia, non con il massimo dei voti, ma se l'era cavata. La sua massima aspirazione era quella di passare le sue giornate a prendersi cura dei libri della biblioteca di Elengar, ma le sue capacità non arrivavano a quel livello. Il suo maestro e mentore l'aveva fatto entrare nel programma di addestramento per i maghi cerusici. Se tutto fosse andato per il meglio sarebbe finito in uno dei tanti fronti di quella guerra secolare a curare ferite e a rinsaldare ossa rotte.
Era arrivato nella città dei lupi sul finire dell'estate, mentre i corsi sarebbero iniziati con l'autunno. La casa in cui viveva era poco più di una topaia ed era appartenuta ad un ramo della sua famiglia che non aveva mai conosciuto. Era stato affidato ad una zia della cugina di terzo grado del nipote della sorella di sua madre. Una vecchina silenziosa e pigra che passava le sue giornate stravaccata sulla sedia a dondolo a dormire russando o, in rari casi, a dormire senza russare. Ad ogni fragile respiro della donna, la sedia emetteva un leggero cigolio e ondeggiava lenta sul pavimento. Quel rumore ritmico e sgraziato era una tortura per il povero apprendista che non ricordava più cosa si provasse a svegliarsi dopo un'intera notte di riposo.

Il freddo era arrivato di soppiatto. Si era intrufolato progressivamente da ogni porta della città e aveva agitato il vento per quelle strade senza alberi e senza ripari. Jonah pensava che, sopravvissuto ai gelidi inverni di Elengar, non avrebbe mai più affrontato la sensazione tremenda di quando il sangue non raggiunge più le estremità. Come se un centinaio di formiche carnivore della Valle di Assua avessero iniziato a banchettare sui palmi delle sue mani. Era contento di essere fuggito dalla vetta di quella montagna altissima con le sue ancor più alte torri, ma non poteva immaginare che, tutto sommato, potesse esserci di peggio.
Il peggio era il vento. Le alte mura di Elengar erano uno scudo efficientissimo contro le intemperie. Hangwick aveva delle basse mura, ma soprattutto si trovava al centro di una delle valli più ventose della regione, con solo una piccola collina ad est a proteggerli dalle correnti. E il vento spegne i focolari, frusta le case strappandogli via brandelli di tepore, neanche il sole riusciva a infrangere quella cortina di gelo che ammantava la città.
Il peggio era il ghiaccio. I pesanti stalattiti che trasformavano l'umidità e le intemperie in spade di ghiaccio minacciose. Le lisce e scivolose lastre che ricoprivano le strade ampie rendendole teatri di buffe cadute e goffi giochi di equilibrio. Jonah aveva ancora i postumi del suo ultimo che lo aveva visto scivolare davanti alla bottega del panettiere e arrivare dolorante fino alla piazzetta del fontanile che ovviamente era completamente ghiacciata e piena di gente pronta ad irriderlo.

Il freddo non era solo nell'aria, ma anche negli animi della gente. Jonah non poteva certo dire di essere stato accolto in pompa magna, anzi, difficilmente qualcuno si era accorto del suo arrivo. Era solo un'altra tunica col cappuccio calato fin davanti alla bocca che ogni giorno prendeva parte alle esercitazioni nel bosco. Nessuno si rivolgeva a lui. Nessuno si voleva esercitare con lui. Nessuno voleva avere a che fare con lui.
Un giorno di fine novembre, come tutte le mattine, si recò nella piazzetta del fontanile al centro della città. Di solito si riunivano lì tutti i novizi per poi raggiungere i campi di addestramento nel bosco sulla collina. Tutti stavano fermi e in silenzio, in piedi in file ordinate in attesa del Capo Mastro, ma non quella mattina. Gruppetti disordinati parlottavano agli angoli della piazza. Discutevano di tattiche e strategie, ridevano e scherzavano e, all'occasione, guardavano storto il povero Jonah. Ormai c'era abituato a quel tipo di accoglienza, quello a cui invece non sapeva dare una spiegazione era quell'insolito 'disordine'.
Il Capo Mastro arrivò con un discreto ritardo e portò con sé un cesto pieno di pacchetti. Salì lentamente sul podio posto di fronte alla piazza e iniziò a squadrare tutti i ragazzi presenti. Come per magia tutti i ranghi si serrarono nuovamente. Le file ordinate a cui Jonah era abituato si ricomposero. Il silenzio scese grave sulla piazza.
Qualche colpo di tosse sporadico rompeva lievemente la stasi di quel momento in cui il Capo Mastro continuava a fissare i suoi allievi. "Oggi, come ogni anno, si terrà la Corsa di Fine Autunno" disse l'uomo. "Formerete delle coppie, ognuna delle quali riceverà uno di questi pacchetti. All'interno c'è un bastoncino. Ogni coppia sarà legata tramite un sigillo al bastone. Se un membro della coppia si allontana per più di dieci passi dal compagno, il bastone si spezzerà. Se un membro della coppia cadrà a terra, il bastone si spezzerà. Se un membro della coppia urlerà, il bastone si spezzerà. La prima coppia che raggiungerà l'altro lato della collina con il bastone ancora intatto avrà vinto."
Il Capo Mastro aspettò qualche secondo prima di ricominciare a parlare. Fissò uno ad uno tutti i ragazzi soffermandosi con sguardo severo su quelli che ghignavano silenziosamente. Solo Jonah sembrava turbato dall'evento. Il numero di novizi era dispari, quindi lui sarebbe stato escluso, o peggio ancora avrebbe dovuto fare coppia con il Capo Mastro. La voce tonante riprese il suo discorso dal podio. "Quest'anno come premio per i vincitori ci sarà una sorpresa. Qualcosa che sono sicuro non vi aspettereste mai. Per tutti gli altri invece ci sarà una settimana di lavori forzati alla miniera di Shurbi."
Jonah era disperato. Odiava i lavori manuali, ma ancora di più odiava correre. Era goffo e impacciato nei movimenti. Difficilmente sarebbe arrivato sano al momento della punizione. Inoltre avrebbe dovuto affrontare il tutto da solo. "Ora formate le coppie, ognuno scelga il proprio compagno". Di male in peggio, oltre al danno anche la beffa e l'umiliazione di rimanere da solo senza un compagno. Nessuno lo avrebbe scelto. Jonah non osò alzare la testa, quando all'improvviso la sua perfetta visuale del pavimento lastricato della piazza fu coperta dal grigio rossastro di un'altra tunica. Due piedi esili spuntavano da sotto il mantello. Chiunque fosse se ne stava proprio piantato di fronte a lui. Alzò lentamente lo sguardo fino ad incontrare quello di una ragazza dagli occhi ambrati e i capelli lisci e chiarissimi, quasi dorati, che morbidamente le si adagiavano sulle spalle. "Mi chiamo Neja" disse la ragazza. "Ti andrebbe di fare coppia con me?" concluse la frase con un sorriso dolcissimo. Jonah ci mise un po' a riscuotersi. Continuò a perdersi in quegli occhi del colore del miele senza riuscire a proferire verbo. Muoveva la bocca come per articolare qualche suono ma nessuna parola ne veniva fuori. "Sono l'unica ragazza del gruppo, nessuno mi sceglierà perché mi considerano un peso. A quanto pare anche tu sembri essere lasciato in disparte, quindi perché non fare coppia?". Jonah rimase imbambolato per qualche secondo e alla fine riuscì a pronunciare un flebile ed incerto "V-va bene".

A turno le coppie passarono davanti al podio dove il Capo Mastro consegnò loro uno dei pacchetti sul quale impose il sigillo. Neja spiegò a Jonah che quella gara serviva a rinforzare il legame tra i maghi. Per natura gli stregoni sono schivi e solitari, ma in guerra devono sapersi amalgamare con l'esercito. La corsa aiuta a sviluppare la fiducia nel prossimo e lo spirito di squadra.
Quando fu la loro volta di ricevere il pacchetto, il Capo Mastro li squadrò per un attimo e poi sorrise scuotendo la testa. Non erano di certo la coppia meglio assortita, ma lo scopo del gioco non era vincere, bensì unire i maghi. Tutte le coppie con relativo pacchetto si ridisposero sulla piazza in file ordinate. Indossarono i cappucci per coprire i loro sguardi tesi. Jonah aveva in custodia il bastone e Neja stava in piedi al suo fianco. Il ragazzo fissava la scatolina con ansia pensando alla sua nuova amica. Ora si sentiva responsabile anche per lei. Frustrato. Sapeva perfettamente di non essere in grado di correre. Figuriamoci battere gli altri in una gara di velocità. Avrebbe condannato la sua compagna ad una settimana di lavori forzati. Si fermò un attimo a riflettere sul fatto che tutto sommato non sarebbe stato male rimanere da solo.
"Al suono delle campane la gara avrà inizio" tuonò il Capo Mastro che con un sorriso aggiunse "Vi auguro buona fortuna. Che vincano i migliori".

I rintocchi del campanile arrivarono puntuali e strazianti e tutti insieme scattarono verso le porte della città. Già dai primi passi, Neja e Jonah si ritrovarono in coda. Neja era agile abbastanza da tenere il passo con gli altri, ma Jonah era appesantito da qualche chilo di troppo e penalizzato dai lunghi anni di pigrizia e di poco movimento. Arrivati al cancello Jonah aveva già il fiato corto e la fronte imperlata di sudore.
La corsa si rivelò ad ogni passo più ostica. Ormai avevano imparato a conoscere i sentieri di quella collina, ma la distrazione e il manto di foglie dei colori dell'autunno che ricoprivano e nascondevano le radici degli alberi, rendevano la salita assai complicata. Jonah rischiò di cadere diverse volte, ma Neja si rivelò molto paziente e abile nel sorreggerlo.
Le difficoltà aumentarono quando il bosco si riempì di incantesimi che volavano da una parte all'altra. Tutti i partecipanti cercavano di far cadere gli avversari. Effettivamente l'uso della magia non era stato vietato dal Capo Mastro, ma Jonah non aveva neanche il fiato per pronunciare una qualsiasi formula. Neja aveva imposto uno scudo discretamente potente su di loro che li metteva al riparo da palle di fuoco e sferzate di vento. In breve tempo però non ci fu più nessuna magia dalla quale difendersi visto che tutti gli altri avevano letteralmente seminato i due.
"Non ti arrendere!" disse la ragazza. "Ce la puoi fare. Devi credere di più nella tua forza". La voce di Neja aveva il potere di scaldare l'anima di Jonah. Assunse uno sguardo deciso e risoluto. I due si fissarono e Neja gli sorrise di nuovo. Ce la poteva fare. Diede a Neja la scatola e prese un pezzo di carta dal suo tascapane. Lo tagliò in due e con una piuma d'oca riempì le due metà con una scrittura minuta e fitta. Come inchiostro aveva usato il suo stesso sangue. Quando ebbe finito piegò a metà i fogli e pronunciò alcune parole sottovoce. I fogli si illuminarono e divennero di colore rosso scuro.
"Cosa stai facendo?" chiese Neja.
"Non sono un bravo mago, ma se c'è una cosa sulla quale sono infallibile sono i sigilli" disse Jonah porgendo a Neja uno dei due foglietti. "Questo piccolo sigillo cancellerà ogni segno di fatica e ci darà un equilibrio degno di un funambolo. Purtroppo durerà solo qualche ora, ma dovrebbe essere sufficiente per farci vincere la gara". Per la prima volta Jonah si sentì all'altezza della situazione e sorrise orgoglioso di fronte al suo sigillo. Neja prese il pezzo di carta e lo ripose nel tascapane insieme alla scatola col bastone. Una sensazione di tepore inebriò i loro corpi come una calda coperta. Ogni dolore dovuto alla stanchezza sparì all'istante. Erano pronti a combattere. Erano pronti a vincere.

Forti del sigillo, Jonah e Neja corsero come il vento tra i tronchi quasi spogli delle possenti querce. In breve raggiunsero il resto del gruppo. Scartavano velocemente tra radici e incantesimi come se fosse la cosa più banale del mondo. Ridevano di cuore divertiti da quella loro potenza. Imprecazioni si alzavano al loro passaggio e riempivano di orgoglio i due campioni.
Arrivarono in cima alla collina in un baleno. Si presero anche il tempo di rinfrescarsi in una piccola polla d'acqua nascosta in una radura. Erano pronti per rigettarsi nella gara. La discesa rendeva i loro passi più veloci ma non meno sicuri. Sentivano la vittoria tra le mani. Il vento aveva tolto loro il cappuccio e i capelli di Neja brillarono nell'ultimo sole autunnale. Jonah si sentiva felice e parte di qualcosa. Forse quel periodo buio della sua vita era finalmente finito. Il pensiero lo accompagnò per quasi tutto il percorso, finché un dolore lancinante al ginocchio gli mozzò il fiato in gola. L'odore di carne bruciata gli riempì le narici. Il rumore dell'esplosione che lo aveva colpito gli rimbombò nelle orecchie. Il suo sguardo terrorizzato incontrò quello preoccupato della ragazza. Un istante lungo un'eternità in cui Jonah vide lentamente il terreno venirgli incontro. Il dolore fu dappertutto. Intenso e insopportabile. Piccoli sassi si conficcarono nelle braccia raschiando via la pelle. Jonah scivolò a testa in giù con il volto coperto dalle braccia insanguinate per diversi metri. Il silenzio calò sui due interrotto solo dal rumore secco del legno che si spezzava. Avevano perso.
Due ragazzi li superarono ridendo tra di loro. Uno dei due si girò verso Jonah mimando una voce femminile "Ohh, scuuusa!" Scoppiarono a ridere e si inabissarono nel folto del bosco. Jonah cercò di alzarsi da terra ma le braccia facevano ancora troppo male. Neja si avvicinò per dargli supporto. Era arrabbiata. Furiosa. Fissava con astio il punto dove i due ragazzi erano spariti, poi si voltò verso Jonah e si sforzò di recuperare il sorriso "Non ti preoccupare, non è colpa tua! Siamo stati una coppia formidabile". Quello sguardo intenso lasciò di nuovo Jonah senza parole. Era sincera. Ci credeva davvero.
Altre coppie li raggiunsero e li superarono mentre Jonah cercava di rialzarsi. Tutti ridevano vedendoli in terra. Jonah infine riuscì a rimettersi in piedi, si scrollò la terra dalla tunica e iniziò a zoppicare lentamente verso valle. "Avresti dovuto scegliere qualcun altro".
"Scherzi? Non mi sono mai divertita tanto come oggi. E ormai sono tre anni che vivo qui ad Hangwick."
"Ma adesso ti toccano i lavori forzati."
"Beh, ne è valsa la pena. Ho finalmente trovato qualcuno come me in questo posto di opportunisti e ipocriti."
Erano passate diverse settimane da quel giorno. Durante tutto il periodo dei lavori forzati, Jonah non era riuscito ad incontrare Neja neanche una volta.
Dopo quella vicenda non solo veniva evitato dagli altri, ma anche deriso e vessato. Più di una volta si ritrovò a fissare in ginocchio il terreno con le lacrime agli occhi e un forte dolore allo stomaco. Tutti a turno lo avevano picchiato solo per il gusto di farlo. La gara aveva raggiunto il suo scopo. I novizi non erano mai stati tanto uniti come nelle occasioni in cui se la prendevano con Jonah. Infine venne la bufera che rapì la città ricoprendola sotto una pesante coltre di neve.
Erano giorni che non riusciva neanche ad uscire di casa e il vento tormentava le sue notti. Tutto sommato preferiva quella vacanza forzata al costante senso di inadeguatezza che lo tormentava durante gli allenamenti.
Cercò di raggranellare quanta più forza aveva nelle gambe e si alzò col suo pezzettino di carbone stretto nel pugno. Andò alla porta e tracciò con esso pochi segni. Pronunciò una formula magica e d'improvviso il rumore del vento cessò. Il freddo allentò la sua morsa e Jonah fu persino in grado di lasciar cadere la coperta in terra. Sua zia era ancora profondamente addormentata sulla sua sedia a dondolo. Forse era il caso di portarla a letto. Non fece in tempo a fare due passi nella sua direzione che sentì bussare. Il sigillo che aveva appena imposto doveva bloccare il vento, quindi c'era davvero qualcuno davanti alla sua porta. Corse ad aprirla per mettere al riparo il povero avventore che aveva osato sfidare quella bufera, ma davanti all'uscio non trovò nessuno.
Jonah si affrettò a richiudere la porta, ma nel farlo abbassò lo sguardo e notò qualcosa adagiato sulla neve. Un pacchetto. Lo raccolse e guardò intorno per cercare di individuare chi lo aveva lasciato, ma non vide nessuno. Richiuse la porta e si avvicinò al camino. Perplesso aprì il piccolo pacchetto e dentro vi trovò un bastoncino spezzato in due parti con uno spago a tenere insieme le due metà. Oltre a quello, solo un biglietto con tre semplici parole: "Non ti arrendere".
Jonah sorrise. Non si sarebbe arreso.