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domenica 10 luglio 2011

La Via di Fuga

Holtz era da sempre considerato una giovane promessa, padroneggiò la tecnica di trasformazione ancora prima che qualcuno avesse il tempo di insegnargliela, primeggiava in ogni disciplina ed era il migliore del suo corso in accademia. Entrato nell' esercito, impiego pochi anni per diventare capo squadriglia, prendendo il posto di suo fratello maggiore Karl al comando del suo branco. Tutti si aspettavano grandi cose da lui e sapevano che prima o poi (più prima che poi) sarebbe persino entrato nel Consiglio Supremo.
Eppure c'era qualcosa in lui che non andava, sentiva di essere fuori luogo di vivere una vita che non gli calzava. Fuori dai confini di Hangwick c'era un mondo intero da vedere e da scoprire pieno di meraviglie e di magie che lui poteva solo immaginare. La mattina di fronte allo specchio, fissando la sua folta barba fulva, simbolo di maturità e di rispetto, pensava a come era la sua vita e a come sarebbe dovuta essere. Fantasticava sul mondo in superfice e viaggiamo con la mente verso paesi lontani e meravigliosi. La realtà però era diversa e quando alla fine si decideva a tornare coi piedi per terra, la sua barba era ancora lì a ricordargli chi era e cosa rappresentava per la gente che lo stimava e lo rispettava.
Lui faceva parte della guardia del Consiglio e il suo compito era di proteggerne i membri, da cosa di preciso non lo sapeva, visto che in 27 anni, il massimo dell'azione era stato scacciare via una mandria di bufali pontifici che avevano deciso di costruire il loro villaggio proprio davanti l'ingresso della grotta che conduceva alla città dei Nani.

Solo in un'altra occasione si rese utile alla sua gente. Dovette fare da scorta ad una delegazione del Consiglio in visita ad Asper, un viaggio breve, giusto un paio di giorni in superficie prima di raggiungere un'altra città sotterranea, ma per Holtz fu un esperienza unica, per la prima volta aveva abbandonato i morbidi pendii di Hangwick e aveva camminato su quelle strade baciate dal sole, un sole vero, non un cristallo appesa in cima ad una grotta. I raggi di luce caldi gli attraversavano la pelle e gli scaldavano il cuore. Profumi e colori mai visti lo inebriarono e lo fecero sentire come un bambino.
Al suo ritorno ad Hangwick era carico di emozioni e di sensazioni, ma ben presto tutto affogò nella routine quotidiana lasciandolo di nuovo solo e svuotato. Ogni mattina vide riflessi nello specchio i suoi occhi che si spegnevano lentamente lasciando il posto ad uno sguardo vitreo ed inespressivo. Quella mattina in particolare notò che dalla sua lunga chioma faceva capolino un capello bianco. Lungo e rigido si faceva strada tra la moltitudine di ricci bruni. Holtz cercò di isolarlo dagli altri prendendolo in mano e avvicinandolo allo specchio. Cercò di immaginarsi completamente canuto come il fratello e l'immagine lo terrorizzò. Si vide vecchio e scavato nel volte come se il suo corpo si fosse rassegnato e vivere per sempre e morire in quella grotta sconosciuta al mondo in superficie.
La rabbia gli montò dentro, afferrò l'intera ciocca di capelli e se la strappò via con forza. Sentì dolore alla cute ma la ignorò, continuò a fissare quella manciata di capelli che gli erano rimasti in mano. Alzò di nuovo lo sguardo quasi trionfante per quel gesto così rivoluzionario, ma un altro capello bianco saltò agli occhi, e un altro, e un altro ancora. Più scavava nella sua chioma, più capelli bianchi trovava. Il peso della sua morte interiore lo stava annientando e il suo corpo si era indebolito. Non aveva perso la forza, ma la voglia di vivere.
Con le lacrime agli occhi Holtz diede un pugno allo specchio rompendolo. La sua immagine spezzata continuò a fissarlo con cento occhi tutti uguali e tutti vuoti. Un rigolo di sangue scese lentamente dal suo pugno lungo le incrinature del vetro fino a gocciare nel lavandino sottostante. Portò la mano al petto quasi di istinto, fissò la ferita per qualche istante, poi quella iniziò a richiudersi lentamente lasciando una nuova cicatrice candida sul dorso della sua mano.

Holtz continuò a coccolare quasi meccanicamente il punto dove la ferita si era appena richiusa e sentiva che quel processo di rigenerazione aveva riportato a galla un po' del suo vero io. Quella strisca candida di pelle nuova era giovane e piena di vita. Per un attimo si chiese se scorticandosi completamente la pelle sarebbe stato ingrado di ritrovare se stesso, ma fortunatamente gli rimaneva ancora un barlume di ragione per impedirgli di fare una tale stupidagine. No, la sua doveva essere una metamorfosi simbolica che gli avrebbe dovuto restituire la luce negli occhi, la giovinezza sul volto, quindi prese il coltello che aveva attaccato alla cintola e, afferrando grosse ciocche di capelli se li tagliò corti. Non era un taglio preciso, ma avendo i capelli ricci non si notava molto la differenza, si sentiva come una pecora appena tosata.
Poi fu la volta della barba, questa volta si inumidì la pelle con degli oli da bagno per permettere alla lama di scorrere a filo sulla sua pelle e lentamente ridiede ossigeno al suo volto. Ad ogni passata della lama una nuova cicacrite veniva scoperta e un ricordo di vita vissuta gli tornava alla mente. Con calma minuziosa tagliò via ogni pelo ispido dal suo volto, ogni tanto si portava via per errore anche un po' di pelle, ma il suo volto si rigenerava in fretta. Alla fine si guardò di nuovo nello specchio e vide un centinaio di riflessi diversi nel vetro infranto, ma avavano tutti l'aria di essere dei ragazzi giovani e pieni di vita. Holtz sorrise finalmente di gusto e con una mano si accarezzò il volto liscio e rinato.

I dormitori della GradiaHangwick in poco tempo. Inoltre era situato sull'unico rialzamento presente all'interno della grotta, così da permettere una visuale dall'alto delle case sottostanti. I dormitori si estendevano in circolo intorno ad una seppur misera reggia che fungeva da sede del Consiglio.
Le stanze erano tutte uguali, composte da una sola stanza e da un piccolo tinello, tutte davano su lunghi corridoi che correvano all'interno della circonferenza e che davano sui giardini della reggia. Lì ogni mattina alle 5 in punto avvenivano le esercitazioni, alle 7 veniva servita la colazione nella mensa e poi si iniziava la giornata lavorativa dell'armigero medio. L'esercito, essendo in tempo di pace, si occupava principalmente della vicilanza della città, ma occasionalmente svolgeva lavori di manutenzione e di rinnovamento delle strutture interne alla grotta.
Avevano il compito di estinguere gli incendi e svolgere opera di assistenza presso l'ospedale locale. Insomma, erano un po' i tuttofare del regno.
Come ogni mattina, all'interno dei dormitori veniva suonata la sveglia e puntualmente tutti si presentavano sull'attenti di fronte al proprio alloggio avendo cura di aver rassettato la stanza e rifatto il letto. I capi squadriglia facevano l'appello e ispezionavano le dimore per accertarsi che tutto sia stato fatto secondo il regolamento. Come se tutta quella disciplina servisse davvero a qualcosa.
Quella fatidica mattina la sveglia suonò, tutti si presentarono all'appello, ma i commilitoni di Holtz si trovarono in una situazione quantomai imbazzante. Già, perché in passato era capitato che qualche soldato non si fosse presentato all'appello o si fosse presentato in “disordine”, il povero figliolo veniva punito con 10 frustate (pena simbolica per un Nano Lupo, visto che hanno una naturale resistenza al dolore e una grandissima capacità rigenerativa) e la cosa finiva lì, ma mai nella storia di Hangwick era successo che fosse proprio il capo squadriglia a non presentarsi.
Tutti rimasero lì immobili ad aspettare, ogni tanto osarono anche scambiarsi sguardi imbarazzati e perplessi, ma nessuno emise il benché minimo suono. Ogni tanto tutti, a turno, facevano cadere l'occhio sulla porta della stanza di Holtz chiedendosi cosa stesse accadendo. Una musica, forse una nenia, insomma, qualcosa di strano veniva da dentro quella stanza; ammettendo che una cosa tanto assurda fosse possibile, sembrava quasi che Holtz stesse canticchiando un motivetto allegro.

Dopo diversi minuti la porta dell'appartamento si spalancò e ne usci... beh, ne uscì un ragazzo che nessuno conosceva e nessuno aveva mai visto. Da bravi soldati, la squadriglia di Holtz saltò addosso al ragazzo e lo immobilizzò. Senza accorgersene si erano tutti trasformati in lupi e rischiavano di sbranarlo se non fosse per l'urlo che terrorizzò tutto l'esercito.
“FERMI!” urlò Karl, aggiustandosi la divisa prese un paio di lupi dal mucchio, li sollevò di peso e li scaraventò in giardino. “Non vedete che questo è il nostro comandante? E' Holtz!”
Poi rivolgendosi con sguardo severo al fratello intimò sotto voce “Che diamine ti sei messo in tenta brutto deficente!”
“Buongiorno anche a te Karl, ho pensato di curare un po' il mio aspetto fisico, come mi trovi?” disse Holtz.
“Oh benissimo, sembri un principino” rispose Karl con aria canzonatoria e poi aggiunse “Ti sei bevuto il cervello? Rischiavi di farti ammazzare da questi deficenti che non sanno ancora usare l'olfatto”. Non credo ci sia bisogno di precisarlo, ma queste ultime parole non furono pronunciate in tono particolarmente amichevole.
“Stai tranquillo fratello, so difendermi, ma ti ringrazio per essere intervenuto” riprese Holtz con il sorriso sulle labbra.
“Hai deciso di farti cacciare? Sai che la barba e i capelli lunghi sono un simbolo di potere all'interno dell'esercito?”
“Certo che lo so, ma lo sapevano anche pulci e zecche che non la finivano più di tormentarmi. Adesso mi sento molto più leggero.”
I due si guardano intensamente per alcuni minuti. Karl era visibilmente arrabbiato, mentre Holtz era visibilmente divertito. Alla fine Karl decise di rompere il silenzio sbuffando e allontanandosi: “Fai come ti pare, se ti cacciano tanto meglio per me”.

Il nuovo taglio di Holtz fu l'argomento principale di conversazione della colazione e ben presto la voce arrivò anche alle orecchie di Aperon, Capitano della Guardia nonché mentore di Holtz.
Al termine della colazione il Capitano si avvicinò ad Holtz e lo trasse in disparte: “Cos'è questa buffonata? Ti sei forse bevuto il cervello?” gli ringhiò contro, ma Holtz non si scompose e replicò sempre col sorriso sulle labbra: “L'ultima volta che ho letto il regolamento della caserma non mi sembrava di averci trovato nulla contro i capelli corti e la barba rasata.”
“Sai benissimo che le usanze sono importanti più dei regolamenti” replicò acido Aperon.
Holtz iniziava ad annoiarsi di tutte quelle critiche inutili. Stava vivendo un chiaro e semplice rifiuto dell'autorità, delle regole e delle abitudine. Una sorta di neo-adolescenza. Sostenne lo sguardo del Capitano e semplicemente rispose facendo spallucce.
Il sangue iniziò ad irrorare di furia gli occhi del Capitano che si limitò ad alzare lo sguardo e a voltarsi, mentre si allontanva aggiunse: “Oggi ci sono le fogne dell'ospedale da pulire, pare che quella Mya le abbia intasate con i rami del bosco. Te ne occuperai tu, tuo fratello Karl amministrerà la tua squadriglia in tua assenza”.
Holtz non poteva vederlo dalla sua posizione, ma era abbastanza sicuro che il Capitano stesse ghignando, al che si limitò a mettersi sugli attenti e, sempre con il sorriso sulle labbra e con un tono canzonatorio che non sapeva di saper usare rispose: “Agli ordini mio capitano!”
Aperon non si voltò, ma il suo ringhio sordo riecheggiò in tutta la mensa e Holtz poté andarsene con aria di trionfo nonostante fosse appena stato punito e degradato.

***

Il pomeriggio proseguì lento. Il lavoro era pesante perché nessuno era accorso ad aiutarlo e la piccola Mya si era data molto da fare per mettere su una splendida e resistentissima diga. Holtz non poté fare a meno di apprezzare il talento della cucciola, un po' perché la diga era costruita molto bene, con ottimi materiali reperiti chissà dove e persino in una posizione strategica molto efficace che rendeva quasi impossibile rimuoverla senza dover nuotare nel letame.
Si trovava da diverse ore nella galleria di scarico al di sotto dell'ospedale, ma era soltanto ruscito a rimuovere un quarto di tutti i rami. Mya continuava a trotterellargli intorno guardandosi bene dal non cadere nell'acqua fetida e sghignazzando alle spalle del povero Holtz. Ogni tanto, quando il soldato riusciva a buttare giù qualche ramo particolarmente grosso, la ragazzina scappava guaendo e, una volta giunta ad una abbondante distanza di sicurezza, iniziava ad abbaiara all'indirizzo di Holtz.
I due continuarono così fino a sera, quando Mya sparì per quasi un'ora. Holtz era esausto e puzzava di vomito e letame fin dentro alle ossa, non era sicuro che sarebbe mai riuscito a recuperare il suo odore, ma alla fine era contento di essersi allontanato dalla vita militare anche solo per un giorno e anche solo per un lavoro tanto schifoso.
Mya tornò che la luce del cristallo si era quasi del tutto affievolita. Stringeva in bocca un cestino con del pane, un po' di frutta e una bottiglia piena di acqua fresca e pulita. Holtz cercò di abbracciarla per ringraziarla ma lei si ritirò schifata e si mise in un angolo a lisciarsi il pelo. In questi casi sembrava quasi più un felino che un mezzo lupo, ciononostante Holtz le fu molto grato e mangiò con gusto quella cena improvvisata.
“Sai piccola Mya” disse ad un certo punto. “Sono giunto alla conclusione che questo non è il posto per me, è ora di andarsene” Mya scattò sull'attenti e imitando quello che sembrava un sorriso abbaiò soddisfatta. “Anche tu te ne vuoi andare, vero?” Mya non rispose, beh, non sapeva parlare, quindi per lei era difficile rispondere, ma il suo sguardo si velò di malinconia e iniziò a fissare l'uscita della galleria. “Sai cosa ti dico? Appena riuscirò ad andarmene, ti verrò a prendere e ti porterò via con me”. Mya iniziò a saltare sul posto agitata, sorrideva a si rotolava e alla fine saltò in braccio ad Holtz e iniziò a leccargli la faccia “Buona buona che sono tutto sporco” provò ad obiettare, ma con scarso successo. “Sai cosa ti dico? Per oggi abbiamo lavorato abbastanza e ho decisamente bisogno di un bagno, alla prossima piccola Mya” e dicendo ciò si alzò e iniziò ad incamminarsi verso casa. Mya continuò a trotterellargli dietro per un po' ma poi iniziò a ringhiare contro il nulla “Cosa ti succede?” provò a chiedere Holtz, ma prima che potesse accorgersene, Mya era già scomparsa tra i vicoli della città.

Era ancora sotto la doccia quando per l'intera grotta si spanse l'allarme. Contemporaneamente suonarono le sirene anti intruso e anti incendio. Doveva essere qualcosa di grosso e finalmente ci sarebbe stato un po' di movimento, indossò i primi stracci che trovò e iniziò a correre verso la grotta di ingresso. Senza quasi rendersene conto aveva assunto l'aspetto di un lupo, si chiese se il fatto di essersi tagliato barba e capelli si sarebbe riflesso nel suo manto e si preoccupò di avere da qualche parte delle chiazze vuote sul pelo.
La corsa era inebriante, sentiva tutti i muscoli tonici e guizzanti che scattavano al suo comando. L'aria passava attraverso il suo manto accarezzandolo. Si sentiva rinascere e non vedeva l'ora di catapultarsi in un'avventura.
Durante il tragitto incontrò altri soldati che lo informarono dell'accaduto. Pareva che la collina di Hangwick fosse stata aggredita e che un gruppo di ragazzi erano sulle tracce della città. Probabilmente era una bravata di un gruppo di maghi novizi, ma sempre meglio controllare. Mentre correva nel bosco l'odore acre del fumo quasi lo stordì e gli fece perdere i sensi, cambiò sentiero per evitare le fiamme ed arrivò nella radura dove suo fratello Karl con la sua squadriglia stavano braccando un gruppetto di ragazzi umani. Una di loro era su una barella in chiaro stato di incoscienza e gli altri sembravano terrorizzati, gli occhi di Holtz però si posarono sul volto di una splendida fanciulla dai capelli corvini, stringeva in mano un ciondolo a forma di chiave che brillava al buio.

Nell'addestramento militare, una delle prime cose che ti vengono insegnate è l'individuare le vie di fuga. Ora, sia ben chiaro che Holtz stava ragionando in maniera puramente filosofica, ma aveva trovato finalmente la sua via di fuga. Per qualche ragione sapeva che quella ragazza sarebbe stata il suo lasciapassare per il mondo esterno.
Una ragazza con un medaglione a forma di chiave splendente accompagnata da dei ragazzi con abiti surreali, proprio come nella Leggenda, quella con la 'L' maiuscola che i cantastorie narravano ad ogni festa tra i saltimbanco e le bancarelle. La conosceva a memoria da quando era un cucciolo e sognava ogni notte di poter combattere al fianco della principessa perduta e trasformare in realtà la Leggenda di Andalia.
Holtz si convinse che quella ragazza era la prescelta ancora prima di aver riportato alla memoria tutta la Leggenda e decise che l'avrebbe salvata. Per farlo non esitò ad avventarsi contro il fratello che le stava per saltare al collo e in poco tempo iniziò una scazzottata con ne faceva da anni. Il gusto del combattimento quasi gli fece dimenticare che stava affrontando suo fratello, sangue del suo sangue, ci volle l'intervento dei suoi uomini per riportare sia lui che Karl alla ragione, ma almeno aveva raggiunto il suo scopo, si era posto a difesa della fragile principessa e l'aveva salvata, ora non gli restava che trovare il modo di aiutarla a scappare e a farle da scorta.

Kaila, così si chiamava, e non era propriamente una principessa, ma faceva la birraia. Niente da ridire della birra e, se non aveva capito male, la birra prodotta dalla sua famiglia era famosa in tutte le terre di Hoen, ma questo non la rendeva più regale di lui. Però c'era il ciondolo, e c'erano i ragazzi strani al suo seguito, e definirli strani era decisamente riduttivo. Ingegnosi per essere degli umani, avevano costruito una perfetta lettiga e avevano curato la gamba rotta di una loro amica senza dover ricorrere alla magia. Piuttosto insolito per dei ragazzi, in special modo della loro razza, ma anche questo faceva parte della Leggenda. Pare infatti che anche gli uomini un tempo sapessero usare la tecnica e la meccanica prima di friggersi il cervello a causa di un mago visionario.
Si, dovevano essere loro i ragazzi di cui narravano le antiche scritture e avrebbe convinto l'intero Consiglio della sua idea, dopodiché si sarebbe fatto affidare la missione di proteggerli... Una perfetta via di fuga.


venerdì 21 gennaio 2011

La Bimba Perduta

 Il suono del mondo aveva perso i suoi contorni sfumando nell'eco. I rumori attutiti rimbombavano con violenza nella mente di Lara. Immagini distorte e confuse correvano veloci davanti ai suoi occhi. Era consapevole della sua condizione. Sapeva di stare male. Malissimo. Non riusciva ad opporre resistenza a quella debolezza che progressivamente fiaccava i suoi arti. Il suo respiro morbido e flebile perdeva di intensità col passare dei minuti, o forse delle ore. Aveva completamente perso il senso del tempo. Chiudeva gli occhi per quelli che credeva fossero pochi istanti e li riapriva di fronte a scenari completamente diversi. La notte era stato sostituita dal giorno e il giorno aveva ceduto il passo alla notte.
 Quello che Lara trovava più fastidioso non era tanto lo stare male in sé, bensì il non essere in grado di comunicare con gli altri. Sapeva di avere una gamba rotta, ma il dolore era completamente annullato dalla febbre. Aveva freddo. Un freddo intenso che veniva da dentro. Aveva sete. La gola secca e riarsa come se le avessero fatto ingoiare la sabbia. Avrebbe voluto chiedere aiuto e spiegare di cosa aveva bisogno, ma non ci riusciva. Eppure nel momento in cui pensò che il freddo l'avrebbe uccisa, qualcosa la scaldò. Una giacca forse, un fuocherello in lontananza, un abbraccio caldo e avvolgente. Nel momento in cui sentì la gola sgretolarsi per la sete, qualcuno le diede da bere dell'acqua fresca e meravigliosa. Non riusciva a distinguere le forme e i colori, ma capiva che c'era un angelo che vegliava su di lei. Quelle parole, quelle semplici parole, le riecheggiavano nella testa "Ce la farai! Resisti ancora e ce la farai!".
 Agitazione. Una sensazione ricorrente in quei momenti così offuscati. Lara si sentiva come trascinata da un fiume impetuoso. La confusione era ovunque, persone, parole, urla e rumori. Tutto era in agitazione intorno a lei. Immagini sparse si delineavano. Fuoco, tanto fuoco, e poi mostri con zanne fameliche che urlavano alla luna. C'era la luna, quello lo ricordava. Una luce fissa e dolce che la cullava in ogni momento. L'unico punto fisso in un mondo ingarbugliato.
 La luna sparì e lasciò il posto ad una luce ambrata e diffusa. Poi anche quella sparì e la confusione riprese. Persone che si affaccendavano su di lei, che parlavano intorno al suo letto. Era su un letto, anche se non riusciva a dire se era comodo o meno. Un letto è sempre un letto, ed era una bella evoluzione dalla lettiga dove giaceva. I ricordi si facevano sempre più confusi, ma la sensazione di freddo si allentò fino a sparire e un dolce torpore la invase conducendola in un sonno profondo e riposante dove tutto annegò.

 La consapevolezza di sé arrivò con calma, senza troppa fretta. Lara si accorse quasi per sbaglio di aver riaperto gli occhi. Stava fissando un soffitto strano, fatto a volta. Non ricordava di averlo mai visto prima, un soffitto sconosciuto. Se ne stava lì fermo a fare il soffitto senza disturbare troppo, ma era evidente che Lara lo incuriosiva molto. Ci pensò un po' e alla fine si rese conto che stava dando una personalità ad un soffitto, a breve si sarebbe anche presentata e probabilmente non si sarebbe neanche spaventata qualora il soffitto le avesse risposto. Ciò non avvenne, ma qualcosa si mosse stra quegli archi che componevano la volta. Un'ombra. L'ombra di qualcosa, più probabilmente di qualcuno che si stagliava sul marmo levigato sopra di lei. Lara ne seguì la scia di oscurità e per farlo provò a mettersi sul fianco destro. Mai idea fu più malsana. Un dolore intenso partì dalla gamba sinistra e si propagò a tutto il corpo. Le scappò un gemito, uno soltanto e neanche troppo forte, ma tanto bastò per mettere in fuga l'ombra. Lara fece giusto in tempo a vedere una grande coda argentea come quella di un lupo sgattaiolare fuori dalla finestra.
 Lara si rimise sdraiata a fissare l'ormai vuoto soffitto e sospirò. Domande su domande si affollarono tra i suoi pensieri. Voleva sapere dove si trovava e cosa era successo, ma in quel momento si sentiva sola e abbandonata. Un fruscio attirò la sua attenzione di nuovo verso la finestra. Questa volta girò soltanto la testa e con quel flebile filo di voce che le era rimasto chiese "Chi è la?". Di nuovo un rumore in allontanamento. Di nuovo in fuga.
 Fuori dalla finestra c'era solo un grande albero con delle strane foglie rosse. Una lieve luce dorata illuminava la pianta che sembrava capitata lì per sbaglio. Sola e sperduta come lei. Lentamente il fruscio si fece di nuovo vicino, senza troppo entusiasmo. Un passetto alla volta con la massima cautela. Quando alla fine si fermò, Lara vide lentamente spuntare dal davanzale un paio di orecchie pelose e a punta. Sembravano quelle di un lupo, il che faceva il paio con la coda che all'inizio aveva visto scappare. Piano pianino le orecchie salirono e alla fine spuntarono dei capelli, e questo non si sposava molto né con la coda né con le orecchie. Sembravano capelli umani, come del resto la fronte che lentamente stava comparendo. Il castano e l'argento si mischiavano in mille sfumature su quelle ciocche lunghe che pian piano trovavano il coraggio di farsi vedere.
 Dopo la fronte fu la volta degli occhi. Grandi e castani. Lucidi e bellissimi come quelli di una bambina. Certo, una bambina con le orecchie e la coda da lupo, ma pur sempre una bambina. Quando quegli occhi incrociarono quelli di Lara, per un attimo si nascose di nuovo dietro al davanzale facendo ondeggiare il ramo dell'albero sul quale era appoggiata. Lentamente si rialzò fino a fare capolino con i suoi occhi curiosi. Lara le sorrise e lo sguardo della bimba si ingentilì rilassandosi. Con un balzo che fece tremare tutto l'albero, la piccola si andò a piazzare accucciata sul davanzale.

 Era molto piccola e indossava un vestitino di tela marrone. Aveva una grande coda argentata che teneva avvolta intorno alle gambe accovacciate. Con le braccia si stringeva forte sulle ginocchia. Aveva dei buffi ciuffi di pelo che le spuntavano dai gomiti, ma non era certo quella la cosa più strana di quella bimba. Il naso era piccolo e schiacciato, con due piccole fessure al posto delle narici, che si andava ad unire al labbro superiore dandole l'aspetto di un buffo musetto da cagnolino. Le guance rosse incorniciavano il suo sguardo innocente e da cucciolo. Era strana ma bellissima e sorrideva piegando la testa verso destra.
 "Come ti chiami?" le chiese Lara, ma la bimba non rispose, articolò una specie di mugolio e poi scese coi piedi sul pavimento. Poggiava il peso su braccia e gambe come un quadrupede. Si avvicinò lentamente verso il letto. Lara fece uscire una mano da sotto le coperte e cercò di avvicinarla al musino della bambina che in tutta risposta la annusò e, dopo averci pensato un po', iniziò a leccarla con gli occhi colmi di felicità.
 Un rumore di passi nel corridoio mise la bimba in allerta. Con difficoltà cercò di alzarsi in piedi tenendo le mani ferme davanti al petto e le ginocchia piegate a metà. Quando la porta della stanza iniziò ad aprirsi, la piccola era di nuovo fuori dalla finestra. Scappata di nuovo. "Aspetta, non scappare!" provò a dire inutilmente Lara, ma la ragazzina era già lontana.
 Una signora molto piccola e corpulenta entrò nella stanza. Indossava una tunica di un azzurro molto chiaro, quasi sfumato e portava con sé un vassoio dal quale si alzavano nuvole di vapore. "Vedo che ti sei svegliata finalmente". Aveva i capelli raccolti dietro la nuca in una specie di cipolla e con i suoi piccoli occhi scrutava la ragazza. "Dove mi trovo?" provò a chiedere Lara nella speranza di avere un po' di chiarezza.
 "Ti trovi nell'ospedale di Hangwick. I tuoi amici ti anno portata qui ieri sera con una gamba rotta e la febbre alta. Ti abbiamo rimessa in sesto e ingessato la gamba. Adesso dovresti stare meglio"
 I suoi amici. Certo. Lara ricordò di Mallory e di Elliot. Ricordò la loro piccola avventura e all'improvviso le immagini confuse nella sua mente ripresero forma. Rivide Elliot che la abbracciava per tenerle caldo, che le dava la sua giacca, che le portava l'acqua fresca e che la proteggeva dai lupi. Elliot. Il ragazzo che aveva sempre odiato le aveva salvato la vita. Si accorse che senza volerlo aveva iniziato a sorridere. L'infermiera lo notò "Si vede che i tuoi amici ti vogliono bene. Quello con gli occhiali l'abbiamo dovuto cacciare via a forza dalla tua stanza. Ma vedrai che appena farà di nuovo giorno tornerà a farti visita."
 "Elliot!" esclamò Lara.
 "Si, mi pare si chiamasse così!"

 Lara ripensò a tutto quello che c'era stato tra loro e si chiese perché quel citrullo l'avesse presa tanto a cuore, ciononostante l'idea la rese felice. Si appoggiò la mano destra sulla bocca per evitare di rendere troppo evidente il suo sorrise e si accorse che era umida. La bambina gliel'aveva leccata tutta. "C'era una bimba, aveva la coda e le orecchie a punta, è entrata dalla finestra". L'infermiera continuò ad armeggiare con il vassoio dandole le spalle. "E' Mya. Una bimba perduta che vive nell'orfanotrofio dell'ospedale" disse girandosi e porgendo alla ragazza il vassoio. "Adesso tirati un po' su, devi mangiare qualcosa".
 Lara si sollevò a sedere spingendosi con le braccia e appoggiando la schiena al muro dietro il letto. "Bimba perduta?" chiese.
 "E' così che chiamiamo i bambini come lei. Vedi, noi di Hangwick siamo tutti mutaforma. Non sai cos'è un mutaforma? Beh, siamo noi, esseri che possono cambiare aspetto e assumere le sembianze di altri animali. Questa capacità è innata, ma si stabilizza dopo i 14 anni, è per questo che abbiamo delle regole ferree che impediscono ai nostri ragazzi di cambiare forma prima dei 16 anni. Mya è sempre stata una testa calda, fin da bambina. All'età di 8 anni provò a trasformarsi ma la cosa non le riuscì e rimase bloccata a metà tra le sembianze del nano e del lupo."
 Lara non aveva capito granché di tutto quel discorso, c'erano troppi concetti strani che sembravano più tipici di un romanzo che di una persona reale, ma effettivamente la bimba aveva diversi tratti somatici tipici dei lupi. Quando capì che cosa era successo alla piccola, Lara fu aggredita da una profonda tristezza. "Non devi preoccuparti, non può parlare, ma sa come farsi capire. E' più libera di quanto noi potremo mai essere e si diverte davvero con poco. Vive in un mondo tutto suo ma è felice. Una bambina innocua, soltanto molto curiosa, però se ti da fastidio chiamaci così te la togliamo di torno."
 "Non ce ne sarà bisogno" sorrise Lara pensando a quanto le sarebbe piaciuto rivedere Mya. Si mise a mangiare o, per essere più precisi, a bere il brodo caldo e gustoso che le aveva servito l'infermiera. Era buono e pieno di strane verdure. Funghi probabilmente. Lo ingollò tutto d'un fiato. Lo stomaco le si aprì come una voragine, la fame le attanagliava le viscere come mai prima d'ora. Fortunatamente il brodo era tanto e riuscì a placarle la fame, inoltre le diede una leggera euforia e la fece cadere nuovamente addormentata.

 Lara dormì per quasi tutto il giorno. Il suo corpo aveva bisogno di riposo per riprendersi dall'incidente, ma anche la sua mente necessitava di staccarsi un po' dalla realtà per rimettere ordine alle idee. Si trovava a disagio a pensare ad Elliot nelle vesti del suo salvatore, eppure l'idea non le dispiaceva. Si chiese se il professor Stevens le avesse fatto visita durante quel giorno, ma si accorse che la cosa non le interessava più di tanto. Mya era il punto interrogativo sul quale si soffermava di più. Era una bimba così misteriosa e adorabile ma al contempo la sua storia le sembrava così triste che voleva ad ogni costo approfondirne la conoscenza.
 La tenue luce dorata che penetrava dalla finestra si fece via via più intensa con il passare delle ore fintanto che Lara non riuscì più ad ignorarla e progressivamente iniziò a ridestarsi. Si era quasi del tutto svegliata quando sentì bussare alla porta. Doveva essere tardo pomeriggio e fuori dalla finestra le foglie dell'albero esplodevano di colori. Immobili riflettevano la luce esterna e disegnavano giochi di colori sul soffitto a volta. Elliot entrò lentamente nella stanza.
 Il ragazzo sembrava imbarazzato ma felice. Inciampò in una sedia e per poco non crollò sul letto. Si sistemò i capelli e gli occhiali e si mise a sedere sulla sgabello accanto a Lara. "Come stai?" chiese alla fine.
 "Ho avuto giorni migliori" Lara provò a nascondere il suo imbarazzo con l'indifferenza.
 "Ti volevo salutare" provò a dire Elliot.
 "Bene, ciao" esclamò perentoria Lara.
 "Ok, beh, allora vado" il ragazzo abbozzò un sorriso forzato e si alzò. Sistemò con cura lo sgabello sul quale era seduto e si avviò verso la porta.
 "Aspetta!" lo fermò Lara "Non andare!" la voce le si era ingentilita più del dovuto ma stavolta non cercò di nasconderlo. "Perché ti sei preso tanta cura di me?" Lara notò la faccia sorpresa di Elliot che si interrogava su come lei facesse a saperlo e aggiunse "Ho dei ricordi. Dei ricordi sbiaditi in cui ci sei sempre tu. Tu che mi scaldi, che mi dai da bere, che mi proteggi. Perché lo hai fatto? Credevo che mi odiassi" concluse la ragazza abbassando lo sguardo.
 "Io non ti odio!" quasi urlò Elliot. Sul suo volto impressa la preoccupazione che diceva 'come hai potuto anche solo pensarlo?'
 "Neanche io ti odio" disse lei infine sorridendo. Lara allungò la mano e spostò lo sgabello facendo segno ad Elliot di accomodarsi. Il ragazzo divenne il ritratto della gioia e ubbidientemente si rimise a sedere. I due parlarono per ore. Elliot le raccontò gli eventi del giorno prima, di come Peter e il professor Stevens si erano sacrificati per dar loro modo di fuggire. Le parlò dei Nani-Lupo e della loro incredibile città. Le raccontò di Kaila e di come li aveva aiutati a salvarsi ma non accennò nulla su quell'incendio che Lara aveva ben stampato nei ricordi. La luce esterna andava gentilmente scemando verso una leggera penombra.

 "Questa sera c'è una specie di riunione. Il Nano di nome Holtz dice che ci organizzeremo per andare a salvare Peter e il Prof" disse infine.
 "Voglio venire anche io" disse Lara.
 "Il dottore dice che ti rimetterai presto, ma ti ci vorrà comunque qualche settimana. Noi dobbiamo partire subito se vogliamo salvar loro la vita" cercò di dissuaderla Elliot, ma Lara abbassò lo sguardo e i suoi occhi si velarono di preoccupazione "Stai tranquilla. Torneremo sani e salvi. Ti riporterò indietro il tuo adorato professore". Elliot aveva un sorriso dolcissimo e le teneva la mano. Lara avrebbe solo voluto urlargli che era uno stupido perché non gliene fregava nulla del professore, voleva solo che lui non si facesse male. Cercò le parole per dirglielo ma alla fine cedette e si limitò a sorridere. Un sorriso tirato. Troppo forzato per passare inosservato. "Ehi, cos'è quella faccia?" chiese Elliot.
 "Ho paura per voi" rispose Lara con la voce rotta dal pianto. Elliot non rispose. Le sorrise e si alzò. Girò intorno al letto fino a raggiungere un mobile accanto alla finestra sul quale era appoggiata una lampada ad olio. La prese e la appoggiò accanto al letto in modo che Lara potesse vederla per bene. La ragazza si tirò a sedere sul letto senza capire cosa Elliot intendesse fare. Il ragazzo la fissò negli occhi, le sorrise e avvicinò una mano alla lampada. Dallo stoppino iniziò a guizzare una fiammella azzurra che prese rapidamente di intensità. Era una luce splendida e calda. Lara rimase stupefatta, ma poi capì. L'incendio della sera prima era divampato per mano di Elliot. Il ragazzo che aveva di fronte non era più il secchione con cui competeva in continuazione per i voti più alti. Era un'altra persona, qualcuno di cui potersi fidare. Lara sorrise e si tranquillizzò. I due si fissarono a lungo al chiarore della lampada, poi Elliot se ne andò "In bocca al lupo" le disse Lara mentre varcava la porta. "Basta lupi, ne ho visti anche troppi finora!" sorrise Elliot "ci vediamo al nostro ritorno, riguardati!" Lara fece cenno di sì con la testa ed Elliot uscì dalla stanza.

 Lara rimase per un po' di tempo a fissare la luce della lampada ad olio. Sembrava così bella. Cambiava colore in continuazione, dal rosso al verde all'azzurro. Quella fiammella danzante aveva letteralmente ipnotizzato la ragazza, tanto che non si accorse di avere visite. Un leggero fruscio attirò la sua attenzione e finalmente notò che c'era Mya seduta sul davanzale della finestra. Era tornata a trovarla. Teneva in bocca qualcosa, un bracciale fatto con dei sassetti bianchi. Si avvicinò al letto e appoggiò il dono sulle coperte. Vista la titubanza di Lara, Mya spinse col nasino il bracciale sulle coperte. Un paio di spinte e poi lo sguardo da cucciolo con le orecchie abbassate. Lara prese il bracciale e lo mise al polso destro. Mya saltò letteralmente di gioia e atterrò sulle coperte. Lara fece appena in tempo a spostare la gamba ingessata per evitare il peggio, ma comunque accusò il colpo.
 Mya si allungò con braccia e gambe al fianco di Lara e quando ritenne di aver occupato abbastanza spazio, iniziò a gattonare in cerchio per cercare una posizione comoda, infine si adagiò acciambellata sul materasso. Si addormentò quasi istantaneamente, o per lo meno fece finta solo per non essere scacciata, ma Lara non aveva alcuna intenzione di scacciarla. Prese le coperte e gliele adagiò sopra in modo da riscaldare entrambe. Mya emise un gemito di approvazione e si sistemò col musetto sulla spalla di Lara. Quell'immagine così familiare e serena fece tranquillizzare la ragazza che si lasciò cullare dal lento e ritmico movimento del respiro della bimba. Le due ragazze si addormentarono insieme. Lara aveva trovato una nuova amica.


mercoledì 12 gennaio 2011

L'Ospedale

 La notte era trascorsa veloce e tranquilla. La stanchezza e l'agitazione degli ultimi giorni avevano fatto sprofondare Kaila in un lungo sonno ristoratore. Aveva dormito come una bambina lasciando un'abbondante chiazza di bava sul suo cuscino nuovo. Non ricordava di aver fatto sogni particolari, non come quelli che l'avevano perseguitata nelle ultime settimane. L'unica cosa che le era rimasta in mente era l'immagine di un volo. Aveva questa immagine sbiadita in mente di lei che volava come mai aveva fatto prima d'ora e, diciamocelo, Kaila di voli ne aveva fatti fin troppi. Questa volta era diverso. Vedeva delle grandi e possenti ali. Niente ansia ne paura, solo la splendida sensazione del vento tra i capelli, del vuoto che ti avvolge, della libertà che ti culla.
 La felicità di quel sogno l'aveva fatta svegliare di buon umore. Tutti le preoccupazioni erano quasi accantonate. Felz in pericolo? Ci avrebbero pensato i Nani. Lara ferita? Ci avrebbero pensato i Nani! Nikolas alle calcagna? Ci avrebbero pensato i Nani!! L'atmosfera che respirava era come quella che precedeva i giorni di festa, quando l'unica preoccupazione era scegliere il vestito più adatto per uscire -anche qui, Kaila di vestiti ne aveva fin troppi- Il suo preferito glielo aveva regalato il padre per il suo quattordicesimo compleanno. Uno splendido vestito bianco panna con un corpetto verde e la gonna lunghissima che quasi le faceva da strascico. Lo indossava solo in occasioni speciali e le sarebbe piaciuto moltissimo averlo lì con se in quel momento. Roth, il figlio del panettiere, non ne era molto entusiasta e questo gli aveva fatto perdere parecchi punti agli occhi di Kaila. La ragazza si sorprese a chiedersi se a Mallory sarebbe piaciuto e l'idea la fece arrossire.

 Cercò di guardare la sua immagine riflessa nel vetro della finestra. La cosa risultò più complessa del previsto, un po' perché la camera non era abbastanza illuminata, un po' perché la finestra non aveva vetri. Alla fine riempì d'acqua una bacinella dal fondo scuro che le avevano lasciato in camera e finalmente riuscì a specchiarsi. Le increspature dell'acqua deformavano il suo volto, ma anche così i segni della stanchezza erano più che evidenti. Profonde occhiaie solcavano il suo viso e le sue iridi erano irrorate di sangue. Si fissò per qualche minuto tirandosi le guance fino a farsi venire gli occhi a mandorla, la cosa la fece sorridere e così iniziò a giocare con la sua espressione modellando con le mani il suo volto fino a formare delle facce buffe. Non le importava se il suo aspetto non era perfetto, si sentiva comunque carina e la cosa la faceva sentire bene.
 Sul comodino accanto al letto aveva trovato degli abiti puliti. Un vestito marrone con dei laccetti sul corpetto per regolarne la larghezza. Aveva una gonna lunga, o per lo meno lunga per un Nano, e quindi a Kaila cadeva poco sotto il ginocchio. C'erano anche dei calzari, erano fatti con dei lacci di cuoio larghi un pollice che si intrecciavano sul piede fino ad arrivare a metà polpaccio. Kaila non aveva mai visto delle scarpe così, ma le trovò decisamente comode e fresche, forse solo un po' strette. Si sciacquò la faccia immergendola completamente nella bacinella. Assaporò il freddo intenso dell'acqua che le bagnava i capelli. Agitò la testa per riscuotersi e cancellare ogni traccia di sonno residuo. Indossò con cura il vestito che le avevano donato e si sistemò i suoi corti e umidi capelli ricci legandoli dietro la nuca con un fermaglio in legno che aveva nella sua sacca.

 In quella città era tutt'altro che semplice determinare l'ora del giorno. Kaila aveva capito che la luce emessa dalla grossa gemma ambrata che troneggiava al centro della cupola mutava di intensità col passare del tempo. Non si spegneva mai, quindi non c'era un momento in cui il buio regnava sovrano, un qualcosa che potesse essere chiamato Notte, però notò che in quel momento lo splendore del cristallo era molto più vivo rispetto a quando erano arrivati la sera prima. Di sicuro la luce non era accecante come quella del sole di mezzogiorno, ma consentiva una buona visibilità.
 Kaila iniziò a passeggiare per le vie della città con la meraviglia dipinta sul volto, ogni cosa che vedeva le sembrava magica e stupenda. Le case erano del tutto simili a quelle di Hangwick, quella di fuori, perché anche la città dei Nani si chiamava Hangwick. Le vie però erano più strette, vuoi perché lo spazio era limitato, vuoi perché non erano pensate per gli esseri umani. Probabilmente Kaila era la prima esponente della razza degli Uomini che calcava quelle vie. La cosa suscitava un certo interesse nei passanti che la incrociavano e subito abbassavano lo sguardo -non che Kaila sarebbe riuscita a fissarli negli occhi se avessero continuato a guardare diritto-.

 La ragazza era come un gigante in mezzo a quella gente e, doveva proprio ammetterlo, la sensazione le piaceva. Si diresse verso il mercato che ormai era nel pieno delle attività quotidiane. Voci e rumori rimbombavano tra i chioschi. Profumi nuovi e inconsueti riempivano l'aria. Stoffe e oggetti strani coloravano il paesaggio. Kaila avrebbe voluto comprare tutto, ma per fortuna non aveva soldi con se, o per lo meno, con somma gioia del suo borsello, non ne aveva di un conio accettato da quelle parti.
 Una bambina le si fece vicina e allungò un braccio per tirarle la gonna e attirare la sua attenzione. Aveva in mano una ciotolina da cui si alzava un buon odore di verdure e cipolle. "Colazione?" le chiese dolcemente contraendo le sue paffute guanciotte in un sorriso dolcissimo. "Grazie!" sorrise Kaila. Si inginocchiò per prendere l'offerta dalle mani della bimba la quale si riempì di felicità  e scappò via correndo e chiamando la madre. Una donna poco più alta di un metro e qualche spanna prese in braccio la bambina e le sorrise, poi si voltò verso Kaila e fece cenno di saluto con la mano. Kaila si alzò in piedi e fece un inchino per ringraziare, poi si voltò e riprese a camminare.
 Il contenuto di quel piatto era ancora caldo e fumante. Sotto uno strato di verdure grigliate giaceva un letto di un qualche cereale sconosciuto dai grani molto piccoli. Era molto speziato ed aveva un sapore quasi dolciastro e un po' piccante. Kaila mangiò di gusto con le mani, assaporò ogni granello e ogni verdura leccandosi anche le dita. Aveva fame, questo è vero, ma quel cibo così curioso era davvero buono.
 Continuò a vagare per un po' tra le bancarelle fermandosi di tanto in tanto ad ammirare i manufatti così particolari di quel popolo così sconosciuto. Kaila sapeva la storia dei Nani, come sapeva quella degli Elfi e della altre creature magiche. Le aveva imparate tramite i racconti dei cantastorie e le favole che il padre le narrava prima di metterla a dormire. La sua idea di quella gente si perdeva al confine tra il fantastico e il concreto. Eppure lì era tutto così reale e al contempo magico. Si sentiva come in un sogno, uno di quelli che non hanno per forza un significato. Un sogno come non ne faceva da molto tempo. Un sogno e basta. Nulla da capire, nulla da interpretare. Niente di spaventoso o di inquietante. Solo un sogno.

 A metà mattina -o almeno quella che sarebbe dovuta essere metà mattina, ancora non si regolava bene coi tempi- decise di lasciare il mercato e di esplorare il resto del borgo. Kaila era affascinata da quelle architetture così precise e armoniose. Non assomigliavano affatto a quel cumulo aggrovigliato di case che spuntavano sulle strade di Elengar. Una cosa che notò subito erano le mura delle abitazioni. Lisce. Non avrebbe saputo come altro definirle. Sembravano dei fogli di carta, di quella buona tra l'altro. Kaila non riusciva a distinguere un mattone dall'altro. Erano tutti così ordinati e ben amalgamati che sembravano un unico blocco compatto. Si chiese come fosse possibile una cosa del genere e si ritrovò più volte ad accarezzare stupita quelle superfici così levigate.
 Continuò ad aggirarsi per le vie ammirando ogni elemento architettonico e profondendosi in centinaia di inchini per salutare di volta in volta i paesani che incontrava. Alla fine arrivò in un grande piazzale -si parla sempre in proporzione, non sarà stato più grande della cantina di Ivan- che stava ai piedi di un grande edificio dal quale andavano e venivano molte persone. "Cos'è quello?" chiese ad uno dei passanti indicando il palazzo. "E l'ospedale... un posto dove curiamo la gente" rispose quello parlando al rallentatore, come se non fosse sicuro che la ragazza fosse in grado di capire. Kaila sapeva cosa fosse un ospedale, ma mai ne aveva visto uno. Pensò che probabilmente era lì che avevano portato Lara e decise di farle una visita.

 Lara era una figura astratta nella mente di Kaila. L'aveva sempre avuta al fianco, si era preoccupata per lei, ma non aveva mai neanche sentito la sua voce. Non conosceva il colore dei suoi occhi, ne sapeva cosa le fosse capitato, sapeva solo che i suoi amici avevano rischiato la vita pur di proteggerla e questo le dava la misura di quanto fosse importante. Kaila si sentiva un po' un estranea quando si trovava in compagnia di Elliot e Mallory e in un certo senso era curiosa di scoprire cosa legasse quello strano gruppo di ragazzi. 
 Varcato l'ingresso dell'ospedale, Kaila si ritrovò in una grande sala dove decine e decine di piccoli scranni erano disposti in file ordinate. Persone di ogni età se ne stavano sedute qua e la. Ognuno cercava di tenersi occupato in qualche maniera e di tanto in tanto un Nano con una lunga tunica chiara si avvicinava a qualcuno. I due scambiavano poche parole dopodiché uscivano insieme dalla sala.
 C'era solo una grande porta che dava verso l'interno. Da lì passavano tutti. Accanto alla porta c'era un grosso tavolo con un paio di persone sedute dietro intente a scrivere su dei grandi libri. Kaila si avvicinò circospetta senza sapere bene cosa doveva fare. Arrivò davanti ad uno dei due Nani seduti dietro il tavolo e la sua ombra coprì il libro vergato da una fine scrittura. Il Nano, un po' infastidito dall'improvvisa mancanza di luce, alzò lo sguardo verso la ragazza "Nome?" Kaila rimase un po' spiazzata da quella domanda, tutto si sarebbe aspettato tranne che le chiedessero il nome, e poi così a bruciapelo. "K-Kaila" rispose timidamente. "Motivo della visita?" inquisì l'altro. Aveva uno sguardo arcigno e sembrava anche un po' seccato. Sul libro aveva appena scritto il suo nome, o meglio, aveva scritto 'K-Kaila', che non era esattamente il suo nome, ma era l'unica cosa che era riuscita a farfugliare.

 "Dovrei vedere una mia... beh, è alta... cioè, insomma..." Kaila si sentiva profondamente in imbarazzo e non riusciva a mettere insieme una frase di senso compiuto. "Si si, ho capito, non capita spesso di avere pazienti della vostra... statura" disse il Nano squadrando Kaila dal basso verso l'alto. "Terzo piano, Corridoio 'A', quinta stanza a destra" disse infine indicando la porta che aveva alle spalle e abbassando nuovamente lo sguardo sul libro.
 Kaila si allontanò lentamente e si diresse verso la porta. Non aveva maniglia e non riusciva a capire come andasse aperta, poi all'improvviso quella si spalancò e due tizi ne uscirono accompagnando un terzo che camminava poggiando il peso su due bastoni di legno. Kaila colse al volo l'occasione e inforcò la porta prima che questa potesse richiudersi. L'ultima cosa che riuscì a sentire fu la voce del Nano che dal suo tavolo le urlava che bastava spingere per aprire la porta, poi fu il caos più totale.
 Persone che correvano da una parte all'altra, urla di dolore, pianti e un vociare incessante. Kaila non aveva mai visto tanta agitazione e non sapeva come muoversi. Intimorita cercò delle scale e iniziò a salire di corsa. Un paio di Nani in camice le urlarono di non correre, ma lei non li ascoltò finché non raggiunse il terzo piano. Lì la situazione era più tranquilla. Due corridoi partivano dal pianerottolo e correvano nelle due opposte direzioni, accanto a quello di sinistra c'era un cartello di legno con sopra impressa la lettera 'A', Kaila iniziò a percorrerlo con cautela.

 La quinta stanza a destra del corridoio 'A' del terzo piano aveva la porta spalancata. Al suo interno c'era solo un letto ed una cassapanca. Un vaso di fiori era appoggiato sul davanzale della finestra aperta che dava su un cortile interno. Si riuscivano a intravvedere degli strani alberi dalle foglie rosse e dai rami tozzi che lambivano immobili l'edificio. Kaila non aveva ancora incontrato della piante in quella città, ed effettivamente era impensabile che qualcosa potesse crescere lì sotto in assenza della luce del sole. Quelle dovevano essere piante particolari, forse magiche.
 Lara era sdraiata sul letto. Sembrava profondamente addormentata. Dalla coperta sporgeva la sua gamba sinistra. Era completamente avvolta in un bendaggio spesso e apparentemente rigido. Sicuramente una soluzione molto più complessa delle stecche utilizzate da Mallory, ma altrettanto più efficace. Kaila rimase impalata sull'uscio della stanza. Non voleva svegliare Lara e anche se lo avesse fatto non avrebbe saputo cosa dirle. Si rese conto che probabilmente Lara non sapeva neanche chi fosse. Rifletté a lungo e alla fine concluse che non aveva senso rimanere lì, era meglio andarsene e lasciare la ragazza al suo meritato riposo. Si soffermò a guardarla, aveva un aspetto così sereno che la fece sorridere. L'avevano salvata, avevano penato tanto ma alla fine l'avevano salvata. Kaila era felice. 

 "Perché non entri?" La voce arrivò da dietro e fece sussultare Kaila. Si voltò a cercarne la fonte e si ritrovò di fronte ad Holtz "Scusami, non volevo spaventarti, sei qui per Lara?".
 "No, cioè, sì, ero passata a vedere come stava. Sembra stia bene, quindi ora vado." rispose la ragazza.
 "Non scappare, ti stavo cercando" disse Holtz.
 "Oh, beh, mi hai trovata" Kaila cercò di tagliare corto e fece come per incamminarsi verso le scale ma Holtz la fermò.
 "La tua amica è stata fortunata, aveva la febbre alta, ma i nostri sciamani sono riusciti a curarla."
 "Beh, non siamo proprio amiche. In realtà credo che neanche sappia chi io sia."
 "Avremo cura di farle sapere che è merito tuo se si è salvata."
 "In realtà sono stati Mallory ed Elliot, io non ho fatto nulla" precisò Kaila abbassando lo sguardo imbarazzata.
 "Capisco, beh, adesso è al sicuro. Venendo a noi, ho notizie di tuo fratello."
 L'interesse di Kaila si accese improvvisamente. Sgranò gli occhi in un'espressione di assoluta preoccupazione, come se tutta la tranquillità che aveva avuto al mattino fosse svanita nel nulla in un solo istante.
 "Non ti preoccupare, sta bene. L'abbiamo raggiunto a Salingar. Ti manda a dire che è al sicuro e che andrà insieme ai nostri a prelevare tuo padre per condurlo a Fernorz, una delle nostre comunità a sud del paese. Quando vorrai potrai raggiungerlo."
 Il sorriso di Kaila si accese e fu quasi sul punto di abbracciare Holtz, quando dal nulla uno strano animale spuntò di corsa passando in mezzo ai due e speronandoli. Kaila riuscì a notare soltanto una lunga coda argentea che spuntava da sotto una leggera veste bianca. "Fermati, dove corri!" Una donna  con una tunica chiara cercava di inseguire -arrancando- il fuggiasco e quando fu davanti ai due si fermò un attimo a riprendere fiato. "Vi chiedo scusa, la nostra piccola Mya è scappata e non riusciamo più ad acchiapparla" senza attendere risposta si rimise a correre svoltando in uno dei corridoi laterali.
 Holtz seguì la scena con lo sguardo divertito e poi si rivolse di nuovo a Kaila "Tutto bene?"
 "S-si, mi ha presa di sorpresa."
 "Quella piccola peste farà impazzire le infermiere di questo posto."

 Kaila fece finta di sorridere ma non aveva ancora ben chiaro cosa fosse accaduto. "Stasera è stata convocata una riunione" riprese Holtz "Tu ed i tuoi amici dovrete presenziare. Vi passerò a prendere intorno alle 17". Si incamminò verso le scale ma questa volta fu Kaila a fermarlo.
 "Ehm..."
 "Qualche problema?" chiese il Nano.
 "Come si fa a capire quando sono le 17?" chiese Kaila imbarazzata. Holtz sorrise e tornò indietro verso la ragazza. Infilò una mano in tasca e ne estrasse un oggetto argenteo. Era sottile e circolare con un perno al quale era legata una catenella. Holtz premette sul perno e una specie di coperchio scattò rivelando una calotta di vetro con sotto un quadrante. 
 "E' un orologio!" esclamò Kaila meravigliata.
 "Si" confermò Holtz sorpreso da tanta eccitazione.
 "Scusa è che non ne avevo mai visto uno così piccolo. Addirittura lo si può mettere in tasca"
 "Già, voi Umani non ve la cavate molto bene con le cose tecnologiche, comunque suppongo tu sappia come funzioni."
 Kaila prese l'orologio e lo squadrò da ogni angolazione. Era bellissimo. Era grande esattamente quanto il palmo della sua mano e aveva degli splendidi decori sulla scocca metallica.
 "Beh, la lancetta corta indica le ore, mentre quella lunga i minuti" disse infine. Holtz le sorrise e la salutò lasciandola sola col suo nuovo oggetto delle meraviglie.
 La ragazza impiegò alcuni minuti prima di accorgersi di essere nuovamente sola. Era troppo presa dall'orologio. Quando si riscosse realizzò anche ciò che Holtz le aveva detto. Lei e gli altri avrebbero dovuto presenziare ad una qualche riunione. Improvvisamente ricordò tutto. La sera prima, quando aveva incontrato per la prima volta Holtz e suo fratello Karl, i due avevano parlato di una profezia che la riguardava. Un'altra. Come se il diario di sua madre non fosse sufficiente. Diario che si trovava di nuovo lontano, di nuovo in pericolo. Kaila pregò che il fratello si ricordasse di prenderlo uno volta a casa.


venerdì 7 gennaio 2011

Poteri

 La piccola stanza era quasi completamente buia. Una flebile luce ambrata filtrava dalle imposte chiuse rendendo a malapena distinguibile il mobilio presente. Una cassapanca chiusa se ne stava appoggiata ai piedi del letto situato sulla parete opposta alla finestra. Un piccolo tavolino era disposto accanto alla porta con un vaso in terracotta appoggiato sopra. Al suo interno una silenziosa calendula se ne stava a bagno in poche dita di acqua. Elliot se ne stava seduto su quel materasso troppo piccolo per la sua statura. Con le spalle appoggiate alla parete, teneva le ginocchia vicino al petto e continuava a fissarsi i palmi delle mani. Aspettava come se da un momento all'altro quelle potessero parlargli, raccontargli, spiegargli ciò che gli stava accadendo, ma le sue mani continuarono a rimanere silenti, e così il resto della camera. Un lieve spiffero dalla finestra. Lo zampettio di un qualche insetto solitario. Per il resto solo silenzio. Il silenzio è il rumore dei pensieri che si affollano. I dubbi che cercano una risposta. Il cuore che cerca di rasserenarsi. Una sensazione di malessere allo stomaco lo stava facendo impazzire. Non era dolore fisico, semplicemente un accumulo di sentimenti repressi che gli stavano agitando i succhi gastrici. 
 L'arrivo ad Hangwick era stato quasi un evento sensazionale. Erano stati accolti come degli eroi, anche se in realtà non avevano fatto un bel niente. Anzi, avevano dato fuoco al bosco e per poco non si facevano ammazzare. Cosa ci fosse di così sensazionale in quegli eventi ad Elliot non era ancora chiaro. Avevano dato loro degli alloggi e degli abiti puliti. Peccato che in quel mondo sotterraneo tutto fosse troppo piccolo per loro. I letti troppo corti, le sedie troppo basse, gli abiti troppo risicati. In un mondo di Nani loro erano come giganti fuori luogo. Tutto sommato la cosa non gli aveva creato problemi, Elliot era solo felice che finalmente qualcuno potesse prendersi cura di Lara. Lara. Era passato solo un giorno da quando erano partiti per la loro avventura. Ventiquattro ore o poco più. Eppure gli sembrava così lontano il tempo in cui la odiava. Si era preso cura di lei come non aveva mai fatto con nessun altro. Anche quando Peter era partito per la sua folle missione suicida, l'unico pensiero di Elliot era di tenere al sicuro Lara quasi dimenticando le sorti del suo migliore amico.
 Adesso Lara era al sicuro e tutto ciò che aveva forzatamente ignorato fino a quel momento era tornato a far visita alla sua anima. Peter si era sacrificato per la loro salvezza e lui non poteva fare nulla per aiutarlo. Il non sapere che fine avessero fatto il suo amico e il professore lo stava uccidendo. Sperava che un miracolo facesse apparire tra le sue mani un'immagine dei due al sicuro da qualche parte. Al riparo dai soldati e da chissà quali altri pericoli. Aveva visto una magia del genere in qualche film e si chiedeva se in quel mondo una cosa del genere fosse possibile. In due diverse occasioni aveva dimostrato di essere in grado di usare degli strani poteri, ma lui non ne aveva memoria. Era stato Mallory che glielo aveva raccontato. Gli aveva detto che sembrava posseduto, come uno zombie. L'ombra di se stesso. Più si sforzava di ricordare, più il mal di testa aumentava.
 Elliot aveva la sensazione di avere una zona della sua mente completamente offuscata dalla nebbia. Cominciava ormai a credere all'ipotesi di essere posseduto. Qualcuno o qualcosa si era stabilito dentro di lui e guidava i suoi movimenti, modificava la sua sorte. Si sentiva impotente di fronte a quell'idea. L'idea di non essere più padrone di se stesso. Aveva provato a replicare il miracolo, a fare qualche magia, ma non ci era riuscito. Avrebbe voluto usare quei poteri per curare Lara e per salvare Peter, ma non c'era stato verso.
 Forse quell'energia che aveva dimostrato di possedere era in realtà il frutto del sortilegio di qualcun altro. Forse lui non aveva alcun potere. Forse era solo Elliot Summer, lo sfigato cervellone di una scuola che in quel mondo neanche esisteva. Forse i poteri appartenevano a quello spirito che albergava tra le nebbie della sua mente e della sua anima. Se fosse riuscito a controllare la magia avrebbe avuto la prova di non essere posseduto da una qualche entità misteriosa, ma non ebbe successo.

 Continuava a fissare intensamente le sue mani nella speranza di vedere i palmi illuminarsi come aveva detto Mallory. Si sforzava di concentrarsi, di imprimere la sua forza in unico punto come se stesse cercando di rompere una noce a mani nude, ma senza stringere il pugno. Niente. Le mani erano solo mani e lui era solo un ragazzo qualsiasi. Elliot non voleva necessariamente avere dei poteri, ma voleva a tutti i costi trovare un senso a quelle ultime ore. Voleva capire cosa si agitava dentro di lui, perché fossero arrivati in quel posto e soprattutto perché proprio lui. Che cosa aveva di diverso rispetto a tutti quegli idioti che ogni anno ad Halloween cercavano di intrufolarsi a Casa Madison? Era quasi un'usanza, ma nessun ragazzo era mai sparito sul serio. Elliot ricordò i fantasmi di nebbia. Non era mai stato così spaventato in vita sua, eppure anche quello adesso sembrava un ricordo lontano, appartenente ad un'altra vita.
 Un leggero scricchiolio ritmico proveniva dal corridoio fuori dalla sua porta. Si faceva sempre più forte come se qualcuno stesse camminando su quel pavimento di legno. Passi. Passi lenti e cauti che si avvicinavano alla sua stanza. Elliot intravvide un ombra dalla fessura sotto la porta. I secondi passarono e l'ombra rimase immobile.
 All'improvviso sembrò voler proseguire oltre. Alcuni passi scricchiolarono nuovamente sul legno, poi tornò indietro e di nuovo l'ombra si parò davanti alla sua porta. Altri secondi di silenzio passarono in cui Elliot si mise seduto con i piedi poggiati in terra. Le gambe del letto erano sensibilmente basse, tanto che ebbe la chiara sensazione di essere seduto sul pavimento. Due colpi secchi rimbombarono nella stanza. La porta aveva vibrato debolmente e poi di nuovo era sceso il silenzio. Un lungo silenzio di attesa. Elliot non aveva voglia di vedere nessuno e aspettò immobile nella speranza che chiunque fosse venuto davanti alla sua porta decidesse di andarsene senza poi ripensarci per tornare indietro.
 "Elliot, ci sei?" sussurrò la voce di Mallory. Elliot c'era, ma non voleva essere disturbato, soprattutto non da Mallory. Il bulletto. Quello che gli aveva dannato l'anima, che se non fosse per lui adesso se ne starebbe comodamente sdraiato sul letto di casa sua a preoccuparsi dell'interrogazione di storia. Invece era lì su quel materasso troppo piccolo in quella stanza opprimente a schiumare di rabbia per colpa di quel deficiente.
 La maniglia della porta si abbassò lentamente producendo un leggero cigolio. Mallory sembrava esitare ed Elliot era tentato di andargli a sbattere la porta in faccia. Aprì quasi con circospezione, senza esagerare, come una persona che lentamente si avvicina ad una belva feroce con l'inspiegabile istinto di volerla accarezzare. La luce del corridoio riempì progressivamente la camera infastidendo gli occhi ormai abituati al buio di Elliot. Ci vollero alcuni minuti perché i suoi occhi riuscissero a mettere a fuoco la figura del ragazzo che stava in piedi davanti l'uscio.

 I due si fissarono per qualche istante ed Elliot ebbe il tempo di riflettere su come anche i sentimenti per Mallory fossero cambiati in quelle poche ore. I due si odiavano, questo era un dato di fatto, eppure all'inizio di quell'incredibile avventura Elliot più di una volta era stato contento di avere Mallory al suo fianco. Aveva quel senso pratico che a lui mancava e si era reso indispensabile alla loro sopravvivenza. Era persino riuscito a farsi voler bene. Elliot pensava a come sarebbe stata dura quella giornata senza Mallory, poi però realizzò che quella giornata non sarebbe proprio esistita se il bulletto non si fosse intestardito a voler andare a Casa Madison. La risposta che cercava non era arrivata dai palmi delle sue mani, ma dalla vista del ragazzo che se ne stava in piedi su quel corridoio. Elliot forse non aveva bisogno di una spiegazione, ma solo di qualcuno a cui addossare tutte le colpe, e Mallory interpretava il ruolo del colpevole alla perfezione.
 "Che vuoi?" chiese asciutto il ragazzo seduto cercando di proteggersi gli occhi dalla luce troppo forte.
 "Alcuni tizi con la tunica e non so che strani oggetti si stanno prendendo cura di Lara. Dicono che se la caverà" rispose Mallory con lo sguardo che vagava all'interno della stanza.
 "Bene, grazie." rispose brusco Elliot alzandosi in piedi e avviandosi a chiudere la porta.
 "Aspetta, volevo chiederti come stavi tu". Elliot non riusciva a credere alle sue orecchie. A quel tipo non gliene era mai fregato nulla di come stava, anzi, ogni volta che stava male era sempre per colpa sua e dei suoi scagnozzi. E ora era lì a preoccuparsi per lui. Un fugace riso di scherno si dipinse sul suo volto, abbassò lo sguardo e scosse la testa mentre con la mano cercava di chiudere la porta.
 "Ehi, che problema hai?" chiese Mallory bloccando la porta con una mano.
 Elliot alzò lo sguardo e fissò gli occhi dell'altro con uno sguardo a metà tra l'incredulo e il furibondo "Che problema ho mi chiedi?" la sua voce era decisamente alterata. "Il mio problema sei tu! Tu e le tue bravate! Tu e il tuo orgoglio ferito! Se non ti fosse venuto in mente di fare quell'allegra scampagnata adesso non ci troveremmo qui, Lara starebbe bene e Peter sarebbe al sicuro".
 "Cosa? E sarebbe colpa mia? Chi è che ci ha fatto arrivare... qui!" Mallory sottolineò le ultime parole guardandosi intorno e indicando con entrambe le braccia la stanza.
 "Tu stesso hai detto che sembravo posseduto. Magari uno di quei fantasmi mi ha usato per chissà quale scopo. Se tu non ci avessi portati lì non sarebbe successo nulla"
 "Non c'entrano i fantasmi, quando eravamo nel bosco e hai appiccato l'incendio non c'erano strani banchi di nebbia in giro -sai, ho controllato-" sottolineò ironico Mallory.
 "E allora come lo spieghi quello che è successo? Come spieghi questo posto?"
 "Non lo so, so solo che siamo tutti nella stessa barca e l'ultima cosa che dobbiamo fare è metterci l'uno contro l'altro."
 "Strano, pensavo fosse il tuo passatempo preferito quello di accanirti contro di me" Elliot sentiva la rabbia montargli dentro come un fuoco appiccato su una catasta di fascine secche. "Hai passato gli ultimi anni a rovinarmi la vita. Mi hai fatto diventare lo zimbello della scuola. Mi hai persino usato come spazzolone del cesso, e adesso questo, siamo in pericolo in un mondo sconosciuto ed è tutta colpa tua... e io dovrei stare calmo?"
 "Si, dovresti decisamente, stai bruciando!" disse Mallory un po' spaventato.
 "Certo, sono arrabbiato. Arrabbiato come non lo sono mai stato e sono stufo di dovermi nascondere da te, di..."
 "No, no! Non mi hai capito! Stai bruciando davvero, guarda la tua mano!"

 Elliot per un attimo smise di inveire e notò che la stanza era più illuminata e quella strana sensazione che aveva alle viscere era più forte che mai. Guardò la mano sinistra, quella che Mallory stava fissando spaventato. Il palmo era completamente ricoperto di fuoco, una fiamma di un intenso color rosso come non ne aveva mai viste. Tutta la mano era avvolta dalle fiamme ma non scottava, certo, sentiva un leggero calore, ma in quelle condizioni doveva aver già le dita carbonizzata. Era quasi ipnotizzato da quel fuoco, mentre lo fissava sentiva la mente più leggera. Tutto il peso delle sue preoccupazioni si era fatto più lieve. A stento sentì la voce di Mallory che gli stava urlando "Metti la mano nel vaso" Elliot si riscosse e semplicemente scrollò il braccio per cercare di spegnere il fuoco, ma la fiamma mutò colore diventando di un blu intenso e si staccò dalla sua mano. Schizzò via nella direzione in cui aveva agitato la mano lasciandosi dietro un sibilo ovattato. Andò ad infrangersi contro il vaso in terracotta facendolo esplodere in mille pezzi.
 Piccole lingue di fuoco si sparsero sul tavolino sottostante che prese subito a bruciare. Mallory entrò nella stanza con prepotenza scansando l'altro, si tolse la giacca e la sbatté con violenza sul legno infuocato per impedirgli di trasformarsi in un incendio. Elliot continuò ad indietreggiare incredulo finché le sue spalle non urtarono contro il muro. Fissò la mano che conservava ancora un briciolo di tepore mentre lentamente scivolava con la schiena lungo la parete fino a toccare terra. Era seduto sul pavimento, o forse sul letto, non avrebbe saputo distinguerlo, intanto Mallory continuava la sua opera di spegnimento del fuoco.
 Il rumore ritmico della giacca che colpiva il tavolino sembrava lontano anni luce. Elliot era di nuovo seduto con le gambe vicino al petto a fissarsi i palmi delle mani. Era spaventato. "Che mi sta succedendo?" riuscì a singhiozzare trattenendo a stento le lacrime. Mallory tirò un sospiro di sollievo quando finalmente l'ultima fiammella si spense. Del fumo si alzò dal legno bruciato. Alcune gocce della poca acqua contenuta nel vaso caddero dal tavolino. Pezzi di terracotta erano sparsi in tutta la stanza. Alcuni petali volteggiarono lenti fino a terra andandosi ad adagiare a pochi passi da Elliot.
 "Non lo so, davvero! Ma questa volta è stato diverso" Mallory si era avvicinato e con le spalle alla parete era scivolato a terra seduto vicino ad Elliot "Questa volta non sembravi un morto vivente".

 I due rimasero seduti a terra uno accanto all'altro a fissare il vuoto. L'odore di bruciato aveva lasciato la sua impronte aromatica nell'aria ed era lentamente svanito. "Che intendi?" Elliot ruppe il silenzio come se si fosse ricordato in quel momento che Mallory gli aveva rivolto la parola.
 "Le altre volte avevi lo sguardo perso nel vuoto, mentre questa volta sembravi lucido. Eri incavolato di brutto" sorrise il ragazzo.
 "E quindi?" la voce di Elliot sembrava distante, il ragazzo era ancora perso nel vuoto della stanza a fissare il punto dove il vaso era esploso.
 "E quindi questa volta sembravi tutt'altro che controllato da qualcuno." Elliot si riscosse e si girò verso Mallory. Il ragazzo era decisamente più alto di lui perché anche da seduti la sua testa raggiungeva a malapena le spalle dell'altro. "Ma com'è possibile?" Chiese quasi supplicando una risposta chiara.
"Non lo so, mi spiace. Però quei poteri sono tuoi, non di chissà quale fantasma. Forse non è neanche vero che qualcuno ti controlli. Magari semplicemente ti si attiva una specie di modalità di sicurezza quando sei in pericolo. Cosa ricordi di quei momenti?" Elliot abbassò di nuovo la testa sprofondando nello sconforto. Ci pensò un attimo e poi confermò che no, non si ricordava nulla.
 "Un momento!" un'idea balenò nella sua mente e la attraversò come un fulmine a ciel sereno "Avevo paura!" disse.
 "Beh, resti tra noi, ma anche io me la stavo facendo sotto, non per questo ho dato fuoco alla foresta!" scherzò Mallory.
 "No, no, non intendo questo! Ricordo distintamente che in entrambe le occasioni ho pensato di non potermi più muovere dal terrore! Non ero semplicemente spaventato, ma completamente terrorizzato come non lo ero mai stato in tutta la mia vita. Esattamente un attimo prima di perdere conoscenza ricordo di aver supplicato aiuto nella mia mente, e poi tutto è diventato buio".
 Mallory rifletté per qualche istante su quelle parole e alla fine concluse che dopotutto non era così impossibile la storia della modalità di sicurezza. "Quando il panico ha superato un certo limite è partito il 'programma di difesa' e tu sei diventato una specie di supereroe zombie."
 "Si ma questo come spiega l'esplosione del vaso? Di sicuro non ero spaventato in quel momento."
 "Beh, forse ha qualcosa a che fare con i tuoi stati d'animo. Magari c'è un modo per controllarli questi poteri. Prova a ripensare a come ti sentivi in quel momento."
 "Lo so benissimo come mi sentivo. Ero arrabbiato con te, e se devo dirla tutta non mi è ancora passata."
 "Devi cercare di rivivere quel momento, quelle sensazioni" insistette Mallory.
 "Certo, come se fosse facile! Ti credi che sia una cosa divertente? Beh, vuoi sapere la novità? E' spaventosa e sta capitando a me! Tu ci scherzi come fosse un gioco, sei solo un idiota!" I nervi di Elliot erano di nuovo tesi e la rabbia nei confronti di Mallory stava divampando di nuovo. Si sentiva frustrato da quella sensazione e l'ultima cosa che voleva era scherzarci sopra.
 "Bravo, continua così" esclamò il ragazzo evidentemente divertito. Elliot aveva raggiunto il limite di sopportazione. Sentiva avvampare la rabbia nel petto "Senti tu! Credi forse che sia..." ma Mallory lo interruppe di nuovo col sorriso sulle labbra e con la voce più calma che Elliot gli avesse mai sentito "Guardati il palmo della mano".

 Elliot voltò di nuovo lo sguardo e nella sua mano trovò un piccolo globo di fuoco non più grande di una pallina da tennis. Era caldo e la sua fiamma saliva leggera di un paio di spanne. Illuminava la stanza con la sua luce tenue e morbida. Elliot rimase a fissarla incredulo per un po' ammirandone ogni movimento e ogni evoluzione. Di nuovo la sua mente si schiarì e il senso di pesantezza allo stomaco svanì. "La puoi controllare Elliot, e io ti aiuterò a farlo."
 "Da quando in qua sei un esperto di magia?" Chiese Elliot senza distogliere lo sguardo dalla fiamma.
 "Non lo sono, ma sono bravissimo a far arrabbiare la gente." Provò a sorridere Mallory, ma l'altro rimase impassibile "Mi dispiace per come mi sono comportato con te in passato. Sono uno stupido, su questo avevi ragione. Ero solo invidioso della tua tranquillità". Allo sguardo perplesso di Elliot, Mallory abbassò la testa e poi continuò "Lascia stare, ma ti prometto che ti aiuterò. Andremo a salvare gli altri e troveremo il modo di tornare a casa!" I due si fissarono per qualche istante e alla fine Elliot sorrise all'amico.
 La fiamma si spense. La rabbia era svanita.


giovedì 6 gennaio 2011

Nuovi Personaggi Crescono...

Ora che la storia del primo libro è ben definita e già orientata ad una conclusione (ovviamente nella mia mente, ma ormai credo che vi sia abbastanza chiaro il significato del titolo del libro :D) sto iniziando a buttare giù qualche idea sul secondo libro.
Avendo definito l'idea alla base di questo secondo capitolo delle avventure di Elliot e Kaila, ho potuto dargli un titolo (che magari vi rivelerò prossimamente). Ho già iniziato a tratteggiare le storie che ne faranno parte e vi ho già lanciato qualche indizio in questi ultimi post che ho scritto.
Ovviamente la storia sarà molto articolata, il gruppo si separerà più volte dando origine a più storie parallele che condurranno ad un finale comune.
Per fare questo verranno creati nuovi personaggi che si affiancheranno a quelli che già conoscete, ed è proprio uno di questi il soggetto del mio post.
Ho avuto una di quelle idee strane e bislacche di cui vi parlavo nel prologo del blog: invece di descriverlo e di tratteggiarne i dettagli comportamentali, ho preferito creare un piccolo background che permetta di legarlo alla storia e poi lasciare il compito di caratterizzarlo ad Elisa Moriconi. Chi la conosce sa che è una fantastica illustratrice che già ci ha regalato una splendida pin-up di Kaila. La sua missione (qualora decida di accettarla XD) sarà di realizzare una pin-up del personaggio e poi tanti sketch che lo ritraggano in scene di vita quotidiana o in atteggiamenti particolari che ne definiscano il carattere. Non le ho dato molte linee guida, ho preferito lasciare il tutto alla sua fantasia, poi sarà compito mio creare un background e/o una spiegazione per ognuno dei suoi disegni. Ovviamente non le ho dato un limite sul numero di sketch; più ne farà, più il personaggio ne risulterà "definito". Penso che mi divertirò molto ad inventarmi le storie nascoste dietro le tavole che Elisa ci presenterà e se la cosa avrà successo potrebbero esserci altri personaggi creati con questo sistema.

Il personaggio in questione si chiamerà Mya (come il mio cane :D) e sarà una bambina di 12 anni della tribù di Hangwick. Quattro anni prima degli eventi che stiamo narrando cercò di tentare la trasformazione in lupo, purtroppo però era troppo piccola per riuscire nell'intento (questa cosa la spiegherò meglio nel libro) e pertanto rimase "bloccata" in una condizione a metà via tra il Nano e il Lupo. Questo è tutto il background che ho dato ad Elisa, mi sembra di averle lasciato ampio respiro :D
Per quanto riguarda il carattere, la sua parte umana sarà rimasta molto infantile, mentre la sua parte lupesca si sarà sviluppata parecchio (in quattro anni i lupi diventano adulti), quindi Mya avrà un forte istinto di autoconservazione, sarà molto agile, con un udito impeccabile e una buona vista notturna. Altro piccolo particolare: la ragazza non sarà in grado di parlare e quindi dovrà fare molta fatica per farsi capire dai suoi nuovi amici.
Con gli anni Mya è diventata un po' la mascotte del villaggio, ma al contempo viene considerata dagli abitanti di Hangwick come una bambina avventata e, diciamocelo, un po' stupida, pertanto nessuno vorrà darle ascolto quando avrà qualcosa di importante da comunicare... è proprio una fortuna che nel villaggio siano arrivati dei forestieri che di lei non sanno nulla ;)

Restiamo in attesa dei disegni della nostra illustratrice preferita e non disperate, dalla prossima settimana, digeriti dolcetti e panettoni, il ritmo degli episodi riprenderà regolarmente.


lunedì 27 dicembre 2010

Inseguimento

Il paggio si stava lentamente avvicinando dal corridoio di nord-ovest. Statue e armature consunte si alternavano tra di loro. Le piccole fiammelle delle lanterne proiettavano le loro tremolanti luci sul pavimento creando strani giochi di ombre. L'ostentata opulenza di quella reggia stonava di fronte alla evidente decadenza della città-alveare. Da quando si erano trasferiti ad Elengar, Nikolas aveva iniziato a comportarsi come se fosse il re di quella città morente. Forte del suo sigillo imponeva il suo volere su una città pigra e senza forza di volontà.
Takalia odiava tutte quelle cerimonie. Stare lì immobile ad aspettare di essere ricevuta al cospetto di quell'uomo che fino a poco prima trattava come un fratello maggiore. Continuò a fissare il paggio avvicinarsi con calma senza muovere un muscolo. Era rosso in volto. Indossava diversi strati di merletti, tessuti vari ed infine un pesante mantello di broccato. Ci si sarebbe tranquillamente potuto ricoprire un intero accampamento militare con tutti quei tessuti che avvolgevano come un salame quel ragazzo. Avrà avuto più o meno 14 anni e probabilmente sarebbe morto soffocato sotto tutta quella stoffa prima di arrivare ai 15.
Arrivò tutto trafelato nonostante il lento incedere. Cercava di nascondere l'affanno respirando a fondo con il naso, ma in questo modo non era più in grado di parlare. Takalia continuò a fissarlo col suo sguardo penetrante senza dare segno di impazienza. Non aveva voglia di vedere Nikolas, quindi ogni scusa era buona per prolungare l'attesa. "Il Capitano Nikolas è disposto a ricevervi. Cortesemente potreste seguirmi?"
Takalia trovò molto buffa la scelta delle parole da parte del paggio. Era convinta che fosse stato Nikolas a farla chiamare, ora invece si dimostrava 'disposto' a riceverla. Il volto del ragazzo era completamente imperlato di sudore. Le guance erano due enormi chiazze rosse. Aveva i capelli incollati dal sudore. Dall'ampio bavero del mantello si alzava un pungente olezzo di rancido misto ad essenze di viole e di mughetto. Takalia dovette fare uno sforzo enorme per non dimostrare tutto il suo disgusto per quell'omuncolo unticcio.
Si incamminarono per i lunghi corridoi della reggia. Il paggio davanti a fare strada con la sua andatura pigra e Takalia subito dietro. Non vi fu scambio di parole tra i due per tutta la durata del viaggio. I corridoi si susseguirono lenti dietro di loro. Tante porte tutte uguali puntellavano le mura ad intervalli regolari. Dame e cortigiani chiacchieravano di futili faccende ad ogni angolo.

Arrivarono di fronte ad una enorme porta istoriata con sopra dei bassorilievi raffiguranti vari avvenimenti storici. Il paggio fece segno alla ragazza di attenderlo. Spinse con quel poco di forza che aveva nelle braccia sui possenti battenti aprendo la porta quel tanto che bastava da consentire il passaggio di un uomo. Una volta dentro il paggio si voltò indietro a fissare la porta riflettendo se fosse il caso di richiudersela alle spalle. L'etichetta avrebbe voluto così, ma poi avrebbe dovuto fare doppia fatica per cercare di riaprirla. Alla fine decise di lasciarla aperta e si diresse di corsa verso il centro della sala. Takalia dalla sua posizione non riusciva ad intravvedere il trono, era coperto da una figura esile dai capelli rossicci e arruffati che le dava le spalle. Teneva il peso appoggiato su un solo piede e aveva le braccia conserte dietro la schiena. Nikolas, oltre a lei, aveva convocato anche Pilsk. La faccenda iniziava a farsi sospetta.
Nei lunghi anni che aveva passato al servizio diretto del Maestro, Takalia aveva imparato a comprendere la gravità delle situazioni con velocità sorprendente. Nel mestiere della spia bisognava essere sempre pronti al peggio. Il più delle volte ci si doveva introdurre in luoghi molto ben sorvegliati senza poter fare conto su armi di qualunque genere. Il silenzio ed il buio erano gli unici compagni delle sue missioni. Takalia aveva imparato a riconoscere ogni rumore, ogni respiro, ogni spostamento d'aria. Ricostruiva nella sua mente il mondo circostante con precisione infinitesimale. Spesso il Maestro l'aveva paragonata ad un pipistrello per quella sua peculiarità. In meno di un battito di ciglia era in grado di interpretare i movimenti che la circondavano definendo le dinamiche di ogni situazione. Poteva prevedere ogni singolo cambiamento e agire di conseguenza.
Adesso la situazione non era del tutto diversa. I segnali erano chiari. Nikolas non voleva uno dei suoi soliti rapporti sull'andamento dell'addestramento del nuovo esercito o sullo stato di attività delle pattuglie. No, voleva affidarle una missione. La presenza di Pilsk indicava anche un certo grado di difficoltà del compito che stava per ricevere. Le spie di solito lavorano da sole, essere affiancati da un armato significa la possibilità di dover ingaggiare battaglia. Nikolas non era uno sprovveduto ed evidentemente aveva valutato i rischi e i benefici che sarebbero scaturiti dall'affiancare i due.
Tutto sommato l'idea le piacque. Erano ormai settimane che controllava le ronde sulle mura di cinta o che teneva lezioni di tattica al rinnovato esercito di Elengar. In tutta la sua vita non si era mai annoiata tanto e l'idea di un po' di movimento le stuzzicava la mente. Il paggio tornò indietro facendole segno di seguirla. Finalmente avrebbe avuto qualche informazione precisa.

Takalia appoggio delicatamente la mano sulla grande porta istoriata e con una leggera pressione la spalancò. Il paggio la guardò interdetto e un po' stupito. La ragazza era molto forte e adorava vedere lo sguardo di stupore che ogni volta si dipingeva sul volto di chi puntualmente finiva per sottovalutarla. Da tempo immemore ormai si addestrava per nascondere la sua femminilità. Si allenava duramente per rendere il suo corpo forte e tonico. Niente in lei, tranne forse il solo sguardo, faceva trasparire il suo essere donna. Quel poco seno che avevo lo teneva costantemente costretto all'interno di una fascia elastica. A vederla da lontano si sarebbe pensato ad un paio di pettorali molto ben allenati, non certo alle morbide forme di una ragazza.
Al suo ingresso Pilsk si girò a guardarla. Appena la vide sorrise e le fece cenno con la mano. Quel ragazzo era sempre allegro e spensierato, anche nei momenti più duri trovava il modo di sdrammatizzare con una battuta, il ché spesso faceva saltare i nervi a Nikolas. Takalia gli si fece vicino e ricambiò il sorriso. Pilsk le si avvicinò e le sussurrò nell'orecchio "Finalmente un po' di movimento". La ragazza aveva visto giusto, Nikolas voleva affidare loro una missione.
"Come sapete siamo venuti qui per via di un semplice furto. Qualcuno è riuscito ad introdursi in questa reggia più di due lune fa" iniziò Nikolas. Se ne stava seduto sul trono a consultare una mappa. Non aveva neanche alzato gli occhi dal foglio per guardare i due. Accanto al trono stava in piedi tronfio e sudato il paggio di corte. La stanza era enorme e completamente vuota. Il trono stava su un piccolo podio con tre gradini a separarlo dal pavimento. Dai lati partiva una fila di colonne che seguiva tutto il perimetro di quella stanza quadrata e sorreggeva l'enorme volta affrescata con al centro un sontuoso lucernario. Aldilà delle colonne si formava una specie di corridoio adombrato che sembrava voler nascondere alla vista le porte che davano accesso alle stanze regali.
"Credevo che il ladro fosse morto suicida" disse Pilsk. Nikolas alzò lo sguardo e sul suo volto si dipinse un sorriso a mezza bocca. "Ho ragione di credere che non sia morto".
"Ma ci sono dei testimoni" protestò Takalia con la sua voce mascolina.
"Certo, due armigeri che si sono fatti scappare il ladro sotto il naso. La loro testimonianza non è molto affidabile" sottolineò Nikolas "inoltre il cadavere non è mai stato trovato."
"Se ci hai chiamato qui immagino che tu voglia che scopriamo chi è il ladro" fece Pilsk.
"No, non credo ce ne sia bisogno. Oggi ho avuto uno scambio di parole con quello che ritengo sia il principale sospettato. Un ragazzo di nome Felz. Ha in programma un viaggio lontano da Elengar dove probabilmente cercherà di smerciare la refurtiva."
"E questo glielo avrebbe detto lui? Non mi sembra una mossa tanto intelligente, persino per un bifolco" sentenziò Takalia. Sapeva chi fosse quel Felz, aveva una birreria in città nella quale Nikolas passava quasi tutte le serate. Il sospetto che la missione avesse un secondo fine di natura personale iniziò a farsi strada nella mente della ragazza. Il Capitano aveva completamente perso la testa per la sorella di quel birraio, aveva perso di lucidità e di razionalità. Era diventato irascibile e lunatico. Non era più il valoroso condottiero che li aveva guidati in dozzine di campagne militari. Si era progressivamente trasformato in un annoiato monarca con una stupida infatuazione per una semplice plebea. Finché però la cosa riguardava solo Nikolas per Takalia non c'erano problemi, ma adesso voleva mobilitare anche i suoi uomini per il suo fine.
"Ovviamente ha accampato una scusa sciocca, ma è evidente che sta cercando di fuggire da qualcosa. Vorrei che lo seguiste e controllaste i suoi movimenti. Avremo bisogno di prove per inchiodarlo".
Pilsk e Takalia si guardarono sbigottiti. Erano increduli di fronte all'inutilità e alla superficialità di quella missione, per di più non erano affatto d'accordo con il loro Capitano e disapprovavano i suoi nuovi metodi. Pilsk provò a lanciare una protesta, ma fu subito zittito da Nikolas "Non vorrete certo mettere in discussione i miei ordini, vero? Lo seguirete e mi informerete di ogni cosa insolita che noterete. Qualora riusciate a coglierlo in flagranza di reato lo arresterete e lo scorterete qui a palazzo dove verrà interrogato."

I due soldati si congedarono dal loro Capitano e tornarono nei rispettivi alloggi per prepararsi alla partenza. Takalia era sconcertata dal comportamento di Nikolas. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non ne aveva l'autorità. Il Capitano aveva la piena fiducia del Maestro e quindi aveva diritto alla sua più completa obbedienza.
Partirono immediatamente. Nelle stalle trovarono due stalloni neri sellati e pronti per essere cavalcati. Due bestie imponenti e veloci che macinarono la strada che separava la città di Elengar dalla vallata sottostante in poco tempo. Corsero a tappe serrate per recuperare il vantaggio che Felz aveva su di loro e prima di sera arrivarono in vista del carro che Nikolas gli aveva descritto. Si tennero ad una certa distanza per non essere visti. I cavalli al trotto e i mantelli a coprire il volto. Con il calare della notte si fecero completamente invisibili.
Il carro si fermò presso un piccolo villaggio, probabilmente per passare la notte. La strada era circondata da campi a maggese. Non un albero né una roccia a fornire riparo ai due soldati. Takalia decise di smontare da cavallo a circa un miglio dal villaggio e di proseguire a piedi. Il carro era lento, il giorno dopo avrebbero avuto tutto il tempo di tornare a riprendere i cavalli e gettarsi nuovamente all'inseguimento. Intanto era importante trovare il modo di controllare cosa trasportasse. Prima avessero verificato l'infondatezza dei sospetti di Nikolas, prima se ne sarebbero potuti tornare a casa.
Si avvicinarono di soppiatto alla stalla nella quale avevano visto entrare il carro. Con il favore della notte avrebbero potuto intrufolarvisi. Appena furono abbastanza vicini da poter osservare l'interno del capanno notarono che Felz non era da solo, ma con la sorella, inoltre avevano organizzato una specie di festa che andò avanti fin quasi all'alba. Takalia rimase di guardia tutta la notte, mentre Pilsk a tratti si addormentava appoggiato al suo arco. I due se ne stavano a poca distanza dalla strada, sdraiati per terra per non essere visti. "Certo non sarebbe male partecipare. Guarda quanta birra che hanno!" Pilsk aveva uno sguardo sognante e in più di un'occasione fu tentato di alzarsi. In un momento di distrazione, il ragazzo riuscì a sottrarsi al controllo di Takalia e ad avvicinarsi alla stalla. "Dove diavolo vai?" chiese la ragazza.
"Sono tutti sbronzi persi, potrei mettermi a camminare sulle mani in mezzo a loro e non si accorgerebbero della mia presenza".
"Torna subito qui".
"Vado solo a fregare un pezzo di pane e una birra! Ho fame e sono stufo dei tuoi fichi secchi".
Takalia si avventò sul compagno e lo costrinse nuovamente pancia a terra. Quando alzò la testa il suo sguardo incrociò quello della sorella di Felz. "Cavolo, ci ha visti!"
"Chi?" chiese Pilsk.
"La ragazza, quella Kaila!" spiegò Takalia.
Pilsk sforzò gli occhi per cercare di vedere meglio "Ma che dici? Guardala, è completamente addormentata, probabilmente se la sta russando alla grande".

La festa finì, ma la notte non era più così oscura. Un leggero bagliore ad est indicava l'imminente sorgere del sole. Forse avrebbero avuto ancora una o due ore di tenebre. Alcuni fattori stavano entrando nella stalla per sbrigare il loro lavoro. Probabilmente a breve avrebbero iniziato a mungere le mucche e il carro non sarebbe più rimasto solo. Decisero di ritornare ai cavalli e rimandare il controllo.
Quando il sole fu alto e il carro lontano da loro, Pilsk si diresse al villaggio per ottenere informazioni. Non era certo al livello di Takalia, ma se la cavava coi travestimenti. Posò arco e frecce ed indossò una casacca di tela marrone. In testa aveva un cappello da pescatore e in spalla una sacca da viaggio che aveva riempito con la sua divisa e altre cianfrusaglie che aveva preso dalle bisacce del suo cavallo. Non era perfetto, ma sembrava un normalissimo viandante squattrinato.
Takalia rimase ad aspettare al margine della strada per circa un'ora quando finalmente Pilsk fece ritorno. "Simpatici questi bifolchi. Mi hanno anche regalato una pagnotta appena sfornata." disse il ragazzo lanciando un involto che Takalia prese al volo. "Allora? Che notizie porti?"
"Come sei formale... comunque niente di ché, erano tutti coi postumi di una sbornia colossale. Mi sa che oggi si lavorerà poco in quel villaggio."
"Possibile che tu non abbia scoperto nulla?" chiese Takalia spazientita.
"Un attimo, ci stavo arrivando" disse il ragazzo mentre si cambiava d'abito e indossava nuovamente la divisa. Takalia cercò di guardare altrove mascherando l'imbarazzo per le nudità del compagno. "Hanno detto che stavano andando a Salingar a vendere la birra, che poi è quello che hanno detto anche a Nikolas. Mah, da quel che mi hanno raccontato sembravano persone tranquille, di certo non dei ladri professionisti. Secondo me quelli non sanno neanche cosa sia un grimaldello, figuriamoci se si intrufolano in una reggia" concluse Pilsk risalendo a cavallo e rimettendosi in spalla il suo arco. "Ah, mi hanno detto che faranno tappa ad Hangwick, pare sia una cittadina a poche leghe da qui".

L'inseguimento proseguì lento. Takalia decise di non rischiare più avvicinandosi al carro. Continuarono a tenersi a debita distanza senza però perderli di vista. Ci vollero un paio di giorni per raggiungere la città di Hangwick. Per tutto il percorso Pilsk cercò di intavolare due chiacchiere con la ragazza. Parlò del tempo, del viaggio, della sua opinione su Nikolas e della sua stupida cotta. Niente. Takalia mantenne il più completo riserbo e non diede modo al compagno di iniziare una discussione, tanto che alla fine Pilsk si mise a cantare per impegnare il tempo. "Conosci qualche vecchia canzone marinara? Mio padre viveva per mare. Non ho mai passato molto tempo con lui, ma quelle poche volte che tornava da mia madre mi cantava un sacco di canzoni". E così il sottofondo musicale andò avanti per tutto il viaggio.
Arrivarono in vista di Hangwick che era già notte. Per le strade del borgo non c'era un anima e il silenzio era inquietante. Solo l'ululato di un lupo in lontananza. "Voglio avvicinarmi al carro. Questa potrebbe essere la nostra occasione migliore per dare un'occhiata" disse Takalia, ma Pilsk le fece notare che Felz e Kaila lo avevano appena chiuso in una specie di rimessa coperta. "Sono piuttosto bravo ad introdurmi nei luoghi chiusi, vedrai che non sarà un problema!" sottolineò la ragazza.
Mentre Pilsk si prendeva cura dei cavalli, Takalia aggirò il capanno per esaminarlo. Era in solida pietra e non c'erano finestre. Il tetto spiovente però doveva avere qualche apertura per permettere alla luce di entrare, quindi la ragazza decise di arrampicarsi.
Takalia non aveva mai visto tanta cura nella costruzione di un muro. Di solito erano sbozzati, con sporgenze di ogni tipo o con crepe tra i mattoni. Questo sembrava perfettamente liscio e solido. Non c'erano appigli per arrampicarsi se non una canalina di scolo per le acque piovane. Ci volle parecchio per riuscire a salire sul tetto, ma alla fine ce la fece. Nel momento in cui i suoi piedi furono saldamente al sicuro sul cornicione del tetto, una luce accecante le ferì gli occhi. Un lampo intenso si era propagato dal bosco sulla collina accanto al borgo e per poco non le faceva perdere l'equilibrio. Quando fu passato alzò lo sguardo e lo lasciò vagare alla ricerca della fonte di quella luce. Mille puntini luminosi affollavano il suo campo visivo, come se un esercito di formiche fatte coi pezzi di un arcobaleno infranto le camminassero dentro gli occhi. Cercò di strizzare le pupille per mettere a fuoco meglio e a quel punto se ne accorse. Alle sue spalle, dietro il vetro di una finestra, una ragazza la stava fissando. Per la seconda volta gli sguardi di Takalia e Kaila si incrociarono.

Takalia si gettò sulla canalina di scolo per scendere a terra. Corse con tutto il fiato che aveva in gola verso il suo compagno "Maledizione, mi ha visto di nuovo".
"Chi?" interrogò Pilsk.
"Chi secondo te? Kaila! Quella mocciosa!"
Pilsk si sforzò di guardare nella direzione della locanda che Takalia gli stava indicando ma non vide nessuno dietro le finestre.
"Sei sicura? A proposito, hai visto quel lampo di poco fa?" chiese il ragazzo.
"Certo che l'ho visto, è per quello che mi ha beccato! Avevo la vista annebbiata dalla luce e mi sono distratto a cercare di capire da dove veniva ! Non ci posso credere, mi ha visto per ben due volte! Nessuno era mai riuscito a vedermi, tutta questa inattività mi sta facendo perdere colpi!"
"Maddai, come ce l'avevi tu, anche lei avrà avuto la vista annebbiata, non si sarà accorta di te!" cercò di confortarla Pilsk.
"Non capisci! Sono più di dodici anni che faccio la spia! Mi sono introdotto in luoghi che tu neanche immagini, e alla fine mi sono fatto beccare da una stupida ragazzina! Per ben due volte!"
"Non farla così tragica Tak, a tutti capita una giornata storta"
"Sono due mesi che non facciamo nulla, che non ci alleniamo. Non svolgiamo un incarico da più di quattro lune. E' inevitabile ridursi in queste condizioni. Probabilmente neanche tu avrai più i riflessi di un tempo con l'arco."
"Ehi, non scherzare, io la mira ce l'ho nel sangue" esclamò il soldato.
"Si certo, come no! Senza allenamento tutti perdono l'abilità, e se non fosse per quell'idiota di Nikolas adesso saremmo in giro per il continente a portare a termine qualche incarico importante."
"E adesso Nikolas che c'entra?"
"Oh andiamo, come fai ad essere così stupido! Dovevamo arrivare ad Elengar, dare un'occhiata in giro e strigliare un po' il capo della guardia. In meno di un mese saremmo dovuti tornare dal Maestro a fare rapporto." Takalia era su tutte le furie e cominciò a riversare su Pilsk tutta la sua frustrazione "E invece guardaci, facciamo da balia ad un esercito pigro e teniamo d'occhio la ragazza di cui il nostro Capitano si è infatuato!"
"Beh, effettivamente Nikolas è cambiato parecchio" confermò Pilsk.
"Si è fatto corrompere dal potere e dalla ricchezza. E' diventato un inetto ipocrita e opportunista. Ormai non lo riconosco più. Se solo il Maestro sapesse, sono sicura che prenderebbe provvedimenti!" concluse la ragazza.
"Problemi di identità?" chiese Pilsk.
"Cosa?" disse perplessa Takalia.
"Hai detto 'sono sicurA'. Non suona molto virile" apostrofò il ragazzo.
"Avrai sentito male" glissò la ragazza.
"Sarà! Comunque è ora di nascondersi, quel Felz sta uscendo dalla locanda" concluse Pilsk.

I due uscirono fuori dalle mura della città e raggiunsero la biforcazione della strada che portava a Salingar in attesa del passaggio del carro. Trovarono riparo dietro una piccola macchia di arbusti. Felz e Kaila non si fecero attendere a lungo. Il rumore degli zoccoli dei cavalli riecheggiò nel silenzio dell'alba. Sempre più vicino. Takalia si sporse per osservare la scena e vide un'ombra scendere dal pianale del carro e schizzare in direzione della collina.
"Seguiamo la ragazza" sussurrò Takalia.
"Perché? Nikolas ci ha chiesto di seguire Felz e il suo carro" protestò Pilsk.
"Già, ma da quel carro è appena scesa una ragazza con un enorme cappuccio calato sul volto e con una sacca sulle spalle. Non ti viene qualche sospetto?" spiegò Takalia ma Pilsk continuava a sembrare perplesso. "Oh, andiamo, come arciere sarai bravo, ma come investigatore non vali un soldo di cacio. Probabilmente la refurtiva ce l'ha la ragazza e adesso dobbiamo scoprire dove la sta portando".
"Ma non eri tu quello che diceva che Nikolas si era inventato tutto e la storia del furto era solo una scusa per ottenere informazioni su quella ragazza?" osservò Pilsk.
Takalia non rispose. La questione era spinosa. Forse Nikolas non era impazzito. Aveva sicuramente subito il fascino del potere e della ricchezza, ma forse aveva visto giusto sul furto. Forse non si era infatuato di quella ragazza, ma aveva veramente avuto fin dall'inizio dei sospetti su quella coppia. Per un attimo sentì il peso delle sue accuse e si pentì di averle mosse. Avrebbe almeno dovuto concedere il beneficio del dubbio al suo Capitano.
I due si incamminarono cercando di seguire l'ombra della ragazza che correva tra i tronchi di quelle enormi querce. Il pendio della collina era abbastanza dolce, ma non c'era un sentiero preciso da seguire, quindi Pilsk propose di aspettare il sorgere del sole per poter seguire le tracce della ragazza senza rischiare di perdersi all'interno di quel bosco così intricato. Il soldato si rivelò essere un perfetto segugio. Con il favore della luce identificò ogni passo della ragazza e ne ricostruì il percorso. Prima del calare del sole riuscirono a raggiungerla, ma rimasero spiazzati da ciò che trovarono. Kaila non era sola. Un gruppo di ragazzi e un uomo di mezza età bivaccavano insieme a lei in una radura intorno ad un piccolo fuoco. Takalia si avvicinò per cercare di osservare meglio. Notò che c'era un'altra ragazza distesa su una lettiga in evidente stato confusionale, aveva una gamba fasciata e steccata. Tutti i nuovi arrivati avevano abiti strani. Sembravano usciti da un circo.
"Non sembra un esercito. In realtà hanno l'aria di essere fenomeni da baraccone, ma non sembrano pericolosi" spiegò Takalia a Pilsk.
"Hai visto la refurtiva? Magari la ragazza la sta vendendo" si informò il ragazzo.
"No, non l'ho vista, ma la sacca di Kaila ora e vuota. Inoltre hanno un ferito. Forse sono delle spie" ipotizzò Takalia.
"Beh, allora che aspettiamo, andiamo a catturarli" Pilsk sembrava emozionato e felice, come se non aspettasse altro.
"Sono in tanti, non sarà facile" obiettò Takalia.
"Ho un idea. In questi casi non serve catturare tutti, l'importante è cercare di prendere uno del gruppo per interrogarlo, poi magari cerchiamo anche di prendere Kaila, così Nikolas è contento".
"E l'idea dove sarebbe?" chiese Takalia ironica.
"Spaventiamoli. Se non sono organizzati probabilmente si sparpaglieranno e sarà più facile seguirne uno e catturarlo. Io inizio a perseguitarli con le mie frecce e tu li catturi. "

Pilsk si allontanò silenziosamente. Takalia sentì il sibilo sordo di una freccia provenire dal folto del bosco e poi tante voci concitate che si sovrapponevano. Decisamente non erano organizzati. La luce del fuoco si spense e il rumore pesante dei passi si sparse tra gli alberi. Pilsk riusciva a dirigere il gruppo in fuga nella direzione che voleva lanciando frecce sui lati del percorso. Takalia si mise in moto e cercò di raggiungere il gruppo mantenendosi nell'ombra quando improvvisamente da un cespuglio saltò fuori un ragazzo. Era strano, era difficile distinguerlo nel buio e riuscì a coglierla impreparata. Il ragazzo le si avventò addosso e la gettò in terra. Takalia fece per rialzarsi ma l'uomo che aveva visto nell'accampamento uscì da dietro un albero e le bloccò i movimenti. "Chi diavolo sei e cosa vuoi da noi?" Chiese il ragazzo mentre Takalia cercava di divincolarsi dalla presa salda dell'uomo. La teneva stretta da dietro con le braccia intorno al petto, mentre con un ginocchio le teneva le gambe bloccate contro il tronco di un albero. Takalia non rispose e continuò ad agitarsi. Non era abituata a farsi prendere di sorpresa e aveva perso la lucidità che di solito l'accompagnava. Non riusciva a concentrarsi e si era fatta prendere dal panico. Fece un respiro profondo e cercò di calmarsi per trovare il modo di contrastare l'uomo, ma non ce ne fu bisogno. Un urlo di dolore arrivò dalle sue spalle e la presa si allentò, Takalia si girò di scatto e di fronte a sé vide Pilsk con l'arco puntato e con una freccia incoccata. "Tranquillo, come vedi non ho perso la mira, l'ho solo colpito alla gamba" disse rivolto alla ragazza, dopodiché si voltò verso il suo assalitore e tese la corda dell'arco "Ora se volete farci il favore di stare buoni eviteremo inutili spargimenti di sangue".
Takalia si mise alle spalle di Pilsk mentre il ragazzo corse verso l'uomo ferito per cercare di soccorrerlo "Prof, come stai, va tutto bene?" chiese il giovane.
"Non preoccuparti, sto bene" cercò di mentire l'uomo.
Pilsk passò il suo stiletto e una corda a Takalia "Io vado a cercare Kaila, tu cerca di calmarti e lega questi due. Cura la ferita di quel tizio, altrimenti non ci arriva vivo ad Elengar." Detto questo sparì tra gli arbusti lasciando Takalia da sola.
Le tremava ancora la mano e si sentiva stupida. Si ricordò del suo primo incarico quando per poco non si fece catturare. Il Maestro la trasse in salvo uccidendo con una strana arma i tre armigeri che aveva alle costole. Anni e anni di allenamenti si erano annullati con pochi mesi di ozio. Si ripromise di ricominciare da zero l'addestramento una volta tornata a palazzo.
Legò i polsi dei due prigionieri e tolse la freccia dal polpaccio dell'uomo. L'urlo di dolore fece scappare alcune civette appostate sull'albero. Mentre fasciava la ferita si accorse che la luminosità era aumentata, si voltò verso la cima della collina e vide delle fiamme altissime che stavano divampando tra le fronde degli alberi ormai quasi del tutto spogli. Sentì il calore delle fiamme da quella distanza e poi fu solo dolore. "Scappa!" urlò l'uomo che con un calcio aveva atterrato Takalia. "Ma lei..." provò a dire il ragazzo ma l'altro lo interruppe "Pensa solo a scappare, io me la caverò".
Takalia cercò di voltarsi verso il ragazzo ma aveva ancora le idee confuse. Sentì solo il rumore dei passi veloci che si allontanavano e l'odore acre del sangue che le colava dal labbro. Il fumo riempì l'aria e il rumore del crepitio del fuoco si fece più forte. "Che diavolo è successo qui?" Pilsk era tornato col fiatone.
"Il ragazzo è scappato!" spiegò Takalia con lo sguardo basso.
"Non fa niente, dobbiamo scappare. Prendo io il tipo". Afferrò l'uomo per un lembo di quella strana veste e lo tirò in piedi. Di nuovo un urlo di dolore. "Non fare la femminuccia, appoggiati a me e non cercare di scappare altrimenti stavolta ti ammazzo" minacciò Pilsk incamminandosi.
"Ma da dove viene quel fuoco?" chiese Takalia.
"Non è di quello che devi preoccuparti. Siamo inseguiti dai lupi e a quanto pare il fuoco non li spaventa" urlò Pilsk mentre accelerava il passo verso valle.
Avrebbero avuto fin troppe cose da spiegare a Nikolas al loro ritorno.