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domenica 10 luglio 2011

La Via di Fuga

Holtz era da sempre considerato una giovane promessa, padroneggiò la tecnica di trasformazione ancora prima che qualcuno avesse il tempo di insegnargliela, primeggiava in ogni disciplina ed era il migliore del suo corso in accademia. Entrato nell' esercito, impiego pochi anni per diventare capo squadriglia, prendendo il posto di suo fratello maggiore Karl al comando del suo branco. Tutti si aspettavano grandi cose da lui e sapevano che prima o poi (più prima che poi) sarebbe persino entrato nel Consiglio Supremo.
Eppure c'era qualcosa in lui che non andava, sentiva di essere fuori luogo di vivere una vita che non gli calzava. Fuori dai confini di Hangwick c'era un mondo intero da vedere e da scoprire pieno di meraviglie e di magie che lui poteva solo immaginare. La mattina di fronte allo specchio, fissando la sua folta barba fulva, simbolo di maturità e di rispetto, pensava a come era la sua vita e a come sarebbe dovuta essere. Fantasticava sul mondo in superfice e viaggiamo con la mente verso paesi lontani e meravigliosi. La realtà però era diversa e quando alla fine si decideva a tornare coi piedi per terra, la sua barba era ancora lì a ricordargli chi era e cosa rappresentava per la gente che lo stimava e lo rispettava.
Lui faceva parte della guardia del Consiglio e il suo compito era di proteggerne i membri, da cosa di preciso non lo sapeva, visto che in 27 anni, il massimo dell'azione era stato scacciare via una mandria di bufali pontifici che avevano deciso di costruire il loro villaggio proprio davanti l'ingresso della grotta che conduceva alla città dei Nani.

Solo in un'altra occasione si rese utile alla sua gente. Dovette fare da scorta ad una delegazione del Consiglio in visita ad Asper, un viaggio breve, giusto un paio di giorni in superficie prima di raggiungere un'altra città sotterranea, ma per Holtz fu un esperienza unica, per la prima volta aveva abbandonato i morbidi pendii di Hangwick e aveva camminato su quelle strade baciate dal sole, un sole vero, non un cristallo appesa in cima ad una grotta. I raggi di luce caldi gli attraversavano la pelle e gli scaldavano il cuore. Profumi e colori mai visti lo inebriarono e lo fecero sentire come un bambino.
Al suo ritorno ad Hangwick era carico di emozioni e di sensazioni, ma ben presto tutto affogò nella routine quotidiana lasciandolo di nuovo solo e svuotato. Ogni mattina vide riflessi nello specchio i suoi occhi che si spegnevano lentamente lasciando il posto ad uno sguardo vitreo ed inespressivo. Quella mattina in particolare notò che dalla sua lunga chioma faceva capolino un capello bianco. Lungo e rigido si faceva strada tra la moltitudine di ricci bruni. Holtz cercò di isolarlo dagli altri prendendolo in mano e avvicinandolo allo specchio. Cercò di immaginarsi completamente canuto come il fratello e l'immagine lo terrorizzò. Si vide vecchio e scavato nel volte come se il suo corpo si fosse rassegnato e vivere per sempre e morire in quella grotta sconosciuta al mondo in superficie.
La rabbia gli montò dentro, afferrò l'intera ciocca di capelli e se la strappò via con forza. Sentì dolore alla cute ma la ignorò, continuò a fissare quella manciata di capelli che gli erano rimasti in mano. Alzò di nuovo lo sguardo quasi trionfante per quel gesto così rivoluzionario, ma un altro capello bianco saltò agli occhi, e un altro, e un altro ancora. Più scavava nella sua chioma, più capelli bianchi trovava. Il peso della sua morte interiore lo stava annientando e il suo corpo si era indebolito. Non aveva perso la forza, ma la voglia di vivere.
Con le lacrime agli occhi Holtz diede un pugno allo specchio rompendolo. La sua immagine spezzata continuò a fissarlo con cento occhi tutti uguali e tutti vuoti. Un rigolo di sangue scese lentamente dal suo pugno lungo le incrinature del vetro fino a gocciare nel lavandino sottostante. Portò la mano al petto quasi di istinto, fissò la ferita per qualche istante, poi quella iniziò a richiudersi lentamente lasciando una nuova cicatrice candida sul dorso della sua mano.

Holtz continuò a coccolare quasi meccanicamente il punto dove la ferita si era appena richiusa e sentiva che quel processo di rigenerazione aveva riportato a galla un po' del suo vero io. Quella strisca candida di pelle nuova era giovane e piena di vita. Per un attimo si chiese se scorticandosi completamente la pelle sarebbe stato ingrado di ritrovare se stesso, ma fortunatamente gli rimaneva ancora un barlume di ragione per impedirgli di fare una tale stupidagine. No, la sua doveva essere una metamorfosi simbolica che gli avrebbe dovuto restituire la luce negli occhi, la giovinezza sul volto, quindi prese il coltello che aveva attaccato alla cintola e, afferrando grosse ciocche di capelli se li tagliò corti. Non era un taglio preciso, ma avendo i capelli ricci non si notava molto la differenza, si sentiva come una pecora appena tosata.
Poi fu la volta della barba, questa volta si inumidì la pelle con degli oli da bagno per permettere alla lama di scorrere a filo sulla sua pelle e lentamente ridiede ossigeno al suo volto. Ad ogni passata della lama una nuova cicacrite veniva scoperta e un ricordo di vita vissuta gli tornava alla mente. Con calma minuziosa tagliò via ogni pelo ispido dal suo volto, ogni tanto si portava via per errore anche un po' di pelle, ma il suo volto si rigenerava in fretta. Alla fine si guardò di nuovo nello specchio e vide un centinaio di riflessi diversi nel vetro infranto, ma avavano tutti l'aria di essere dei ragazzi giovani e pieni di vita. Holtz sorrise finalmente di gusto e con una mano si accarezzò il volto liscio e rinato.

I dormitori della GradiaHangwick in poco tempo. Inoltre era situato sull'unico rialzamento presente all'interno della grotta, così da permettere una visuale dall'alto delle case sottostanti. I dormitori si estendevano in circolo intorno ad una seppur misera reggia che fungeva da sede del Consiglio.
Le stanze erano tutte uguali, composte da una sola stanza e da un piccolo tinello, tutte davano su lunghi corridoi che correvano all'interno della circonferenza e che davano sui giardini della reggia. Lì ogni mattina alle 5 in punto avvenivano le esercitazioni, alle 7 veniva servita la colazione nella mensa e poi si iniziava la giornata lavorativa dell'armigero medio. L'esercito, essendo in tempo di pace, si occupava principalmente della vicilanza della città, ma occasionalmente svolgeva lavori di manutenzione e di rinnovamento delle strutture interne alla grotta.
Avevano il compito di estinguere gli incendi e svolgere opera di assistenza presso l'ospedale locale. Insomma, erano un po' i tuttofare del regno.
Come ogni mattina, all'interno dei dormitori veniva suonata la sveglia e puntualmente tutti si presentavano sull'attenti di fronte al proprio alloggio avendo cura di aver rassettato la stanza e rifatto il letto. I capi squadriglia facevano l'appello e ispezionavano le dimore per accertarsi che tutto sia stato fatto secondo il regolamento. Come se tutta quella disciplina servisse davvero a qualcosa.
Quella fatidica mattina la sveglia suonò, tutti si presentarono all'appello, ma i commilitoni di Holtz si trovarono in una situazione quantomai imbazzante. Già, perché in passato era capitato che qualche soldato non si fosse presentato all'appello o si fosse presentato in “disordine”, il povero figliolo veniva punito con 10 frustate (pena simbolica per un Nano Lupo, visto che hanno una naturale resistenza al dolore e una grandissima capacità rigenerativa) e la cosa finiva lì, ma mai nella storia di Hangwick era successo che fosse proprio il capo squadriglia a non presentarsi.
Tutti rimasero lì immobili ad aspettare, ogni tanto osarono anche scambiarsi sguardi imbarazzati e perplessi, ma nessuno emise il benché minimo suono. Ogni tanto tutti, a turno, facevano cadere l'occhio sulla porta della stanza di Holtz chiedendosi cosa stesse accadendo. Una musica, forse una nenia, insomma, qualcosa di strano veniva da dentro quella stanza; ammettendo che una cosa tanto assurda fosse possibile, sembrava quasi che Holtz stesse canticchiando un motivetto allegro.

Dopo diversi minuti la porta dell'appartamento si spalancò e ne usci... beh, ne uscì un ragazzo che nessuno conosceva e nessuno aveva mai visto. Da bravi soldati, la squadriglia di Holtz saltò addosso al ragazzo e lo immobilizzò. Senza accorgersene si erano tutti trasformati in lupi e rischiavano di sbranarlo se non fosse per l'urlo che terrorizzò tutto l'esercito.
“FERMI!” urlò Karl, aggiustandosi la divisa prese un paio di lupi dal mucchio, li sollevò di peso e li scaraventò in giardino. “Non vedete che questo è il nostro comandante? E' Holtz!”
Poi rivolgendosi con sguardo severo al fratello intimò sotto voce “Che diamine ti sei messo in tenta brutto deficente!”
“Buongiorno anche a te Karl, ho pensato di curare un po' il mio aspetto fisico, come mi trovi?” disse Holtz.
“Oh benissimo, sembri un principino” rispose Karl con aria canzonatoria e poi aggiunse “Ti sei bevuto il cervello? Rischiavi di farti ammazzare da questi deficenti che non sanno ancora usare l'olfatto”. Non credo ci sia bisogno di precisarlo, ma queste ultime parole non furono pronunciate in tono particolarmente amichevole.
“Stai tranquillo fratello, so difendermi, ma ti ringrazio per essere intervenuto” riprese Holtz con il sorriso sulle labbra.
“Hai deciso di farti cacciare? Sai che la barba e i capelli lunghi sono un simbolo di potere all'interno dell'esercito?”
“Certo che lo so, ma lo sapevano anche pulci e zecche che non la finivano più di tormentarmi. Adesso mi sento molto più leggero.”
I due si guardano intensamente per alcuni minuti. Karl era visibilmente arrabbiato, mentre Holtz era visibilmente divertito. Alla fine Karl decise di rompere il silenzio sbuffando e allontanandosi: “Fai come ti pare, se ti cacciano tanto meglio per me”.

Il nuovo taglio di Holtz fu l'argomento principale di conversazione della colazione e ben presto la voce arrivò anche alle orecchie di Aperon, Capitano della Guardia nonché mentore di Holtz.
Al termine della colazione il Capitano si avvicinò ad Holtz e lo trasse in disparte: “Cos'è questa buffonata? Ti sei forse bevuto il cervello?” gli ringhiò contro, ma Holtz non si scompose e replicò sempre col sorriso sulle labbra: “L'ultima volta che ho letto il regolamento della caserma non mi sembrava di averci trovato nulla contro i capelli corti e la barba rasata.”
“Sai benissimo che le usanze sono importanti più dei regolamenti” replicò acido Aperon.
Holtz iniziava ad annoiarsi di tutte quelle critiche inutili. Stava vivendo un chiaro e semplice rifiuto dell'autorità, delle regole e delle abitudine. Una sorta di neo-adolescenza. Sostenne lo sguardo del Capitano e semplicemente rispose facendo spallucce.
Il sangue iniziò ad irrorare di furia gli occhi del Capitano che si limitò ad alzare lo sguardo e a voltarsi, mentre si allontanva aggiunse: “Oggi ci sono le fogne dell'ospedale da pulire, pare che quella Mya le abbia intasate con i rami del bosco. Te ne occuperai tu, tuo fratello Karl amministrerà la tua squadriglia in tua assenza”.
Holtz non poteva vederlo dalla sua posizione, ma era abbastanza sicuro che il Capitano stesse ghignando, al che si limitò a mettersi sugli attenti e, sempre con il sorriso sulle labbra e con un tono canzonatorio che non sapeva di saper usare rispose: “Agli ordini mio capitano!”
Aperon non si voltò, ma il suo ringhio sordo riecheggiò in tutta la mensa e Holtz poté andarsene con aria di trionfo nonostante fosse appena stato punito e degradato.

***

Il pomeriggio proseguì lento. Il lavoro era pesante perché nessuno era accorso ad aiutarlo e la piccola Mya si era data molto da fare per mettere su una splendida e resistentissima diga. Holtz non poté fare a meno di apprezzare il talento della cucciola, un po' perché la diga era costruita molto bene, con ottimi materiali reperiti chissà dove e persino in una posizione strategica molto efficace che rendeva quasi impossibile rimuoverla senza dover nuotare nel letame.
Si trovava da diverse ore nella galleria di scarico al di sotto dell'ospedale, ma era soltanto ruscito a rimuovere un quarto di tutti i rami. Mya continuava a trotterellargli intorno guardandosi bene dal non cadere nell'acqua fetida e sghignazzando alle spalle del povero Holtz. Ogni tanto, quando il soldato riusciva a buttare giù qualche ramo particolarmente grosso, la ragazzina scappava guaendo e, una volta giunta ad una abbondante distanza di sicurezza, iniziava ad abbaiara all'indirizzo di Holtz.
I due continuarono così fino a sera, quando Mya sparì per quasi un'ora. Holtz era esausto e puzzava di vomito e letame fin dentro alle ossa, non era sicuro che sarebbe mai riuscito a recuperare il suo odore, ma alla fine era contento di essersi allontanato dalla vita militare anche solo per un giorno e anche solo per un lavoro tanto schifoso.
Mya tornò che la luce del cristallo si era quasi del tutto affievolita. Stringeva in bocca un cestino con del pane, un po' di frutta e una bottiglia piena di acqua fresca e pulita. Holtz cercò di abbracciarla per ringraziarla ma lei si ritirò schifata e si mise in un angolo a lisciarsi il pelo. In questi casi sembrava quasi più un felino che un mezzo lupo, ciononostante Holtz le fu molto grato e mangiò con gusto quella cena improvvisata.
“Sai piccola Mya” disse ad un certo punto. “Sono giunto alla conclusione che questo non è il posto per me, è ora di andarsene” Mya scattò sull'attenti e imitando quello che sembrava un sorriso abbaiò soddisfatta. “Anche tu te ne vuoi andare, vero?” Mya non rispose, beh, non sapeva parlare, quindi per lei era difficile rispondere, ma il suo sguardo si velò di malinconia e iniziò a fissare l'uscita della galleria. “Sai cosa ti dico? Appena riuscirò ad andarmene, ti verrò a prendere e ti porterò via con me”. Mya iniziò a saltare sul posto agitata, sorrideva a si rotolava e alla fine saltò in braccio ad Holtz e iniziò a leccargli la faccia “Buona buona che sono tutto sporco” provò ad obiettare, ma con scarso successo. “Sai cosa ti dico? Per oggi abbiamo lavorato abbastanza e ho decisamente bisogno di un bagno, alla prossima piccola Mya” e dicendo ciò si alzò e iniziò ad incamminarsi verso casa. Mya continuò a trotterellargli dietro per un po' ma poi iniziò a ringhiare contro il nulla “Cosa ti succede?” provò a chiedere Holtz, ma prima che potesse accorgersene, Mya era già scomparsa tra i vicoli della città.

Era ancora sotto la doccia quando per l'intera grotta si spanse l'allarme. Contemporaneamente suonarono le sirene anti intruso e anti incendio. Doveva essere qualcosa di grosso e finalmente ci sarebbe stato un po' di movimento, indossò i primi stracci che trovò e iniziò a correre verso la grotta di ingresso. Senza quasi rendersene conto aveva assunto l'aspetto di un lupo, si chiese se il fatto di essersi tagliato barba e capelli si sarebbe riflesso nel suo manto e si preoccupò di avere da qualche parte delle chiazze vuote sul pelo.
La corsa era inebriante, sentiva tutti i muscoli tonici e guizzanti che scattavano al suo comando. L'aria passava attraverso il suo manto accarezzandolo. Si sentiva rinascere e non vedeva l'ora di catapultarsi in un'avventura.
Durante il tragitto incontrò altri soldati che lo informarono dell'accaduto. Pareva che la collina di Hangwick fosse stata aggredita e che un gruppo di ragazzi erano sulle tracce della città. Probabilmente era una bravata di un gruppo di maghi novizi, ma sempre meglio controllare. Mentre correva nel bosco l'odore acre del fumo quasi lo stordì e gli fece perdere i sensi, cambiò sentiero per evitare le fiamme ed arrivò nella radura dove suo fratello Karl con la sua squadriglia stavano braccando un gruppetto di ragazzi umani. Una di loro era su una barella in chiaro stato di incoscienza e gli altri sembravano terrorizzati, gli occhi di Holtz però si posarono sul volto di una splendida fanciulla dai capelli corvini, stringeva in mano un ciondolo a forma di chiave che brillava al buio.

Nell'addestramento militare, una delle prime cose che ti vengono insegnate è l'individuare le vie di fuga. Ora, sia ben chiaro che Holtz stava ragionando in maniera puramente filosofica, ma aveva trovato finalmente la sua via di fuga. Per qualche ragione sapeva che quella ragazza sarebbe stata il suo lasciapassare per il mondo esterno.
Una ragazza con un medaglione a forma di chiave splendente accompagnata da dei ragazzi con abiti surreali, proprio come nella Leggenda, quella con la 'L' maiuscola che i cantastorie narravano ad ogni festa tra i saltimbanco e le bancarelle. La conosceva a memoria da quando era un cucciolo e sognava ogni notte di poter combattere al fianco della principessa perduta e trasformare in realtà la Leggenda di Andalia.
Holtz si convinse che quella ragazza era la prescelta ancora prima di aver riportato alla memoria tutta la Leggenda e decise che l'avrebbe salvata. Per farlo non esitò ad avventarsi contro il fratello che le stava per saltare al collo e in poco tempo iniziò una scazzottata con ne faceva da anni. Il gusto del combattimento quasi gli fece dimenticare che stava affrontando suo fratello, sangue del suo sangue, ci volle l'intervento dei suoi uomini per riportare sia lui che Karl alla ragione, ma almeno aveva raggiunto il suo scopo, si era posto a difesa della fragile principessa e l'aveva salvata, ora non gli restava che trovare il modo di aiutarla a scappare e a farle da scorta.

Kaila, così si chiamava, e non era propriamente una principessa, ma faceva la birraia. Niente da ridire della birra e, se non aveva capito male, la birra prodotta dalla sua famiglia era famosa in tutte le terre di Hoen, ma questo non la rendeva più regale di lui. Però c'era il ciondolo, e c'erano i ragazzi strani al suo seguito, e definirli strani era decisamente riduttivo. Ingegnosi per essere degli umani, avevano costruito una perfetta lettiga e avevano curato la gamba rotta di una loro amica senza dover ricorrere alla magia. Piuttosto insolito per dei ragazzi, in special modo della loro razza, ma anche questo faceva parte della Leggenda. Pare infatti che anche gli uomini un tempo sapessero usare la tecnica e la meccanica prima di friggersi il cervello a causa di un mago visionario.
Si, dovevano essere loro i ragazzi di cui narravano le antiche scritture e avrebbe convinto l'intero Consiglio della sua idea, dopodiché si sarebbe fatto affidare la missione di proteggerli... Una perfetta via di fuga.


mercoledì 26 gennaio 2011

Incontri

 Il fatto che uno si trovi a dover affrontare una situazione straordinaria -e per straordinaria si intende solo qualcosa che esca dall'ordinario, niente di più- non significa che automaticamente quel qualcuno sia in grado di sopportarne lo stress.
 Ragioniamo un attimo sulla cosa. Siamo finiti in chissà quale modo su chissà quale mondo che per una qualche strana ragione assomiglia ad una versione riveduta e corretta del nostro periodo medievale. Dove creature mitologiche e credenze popolari antiche sono la normale realtà. Dove la gente va in giro con arco e freccia e prende di mira i primi sprovveduti che hanno l'ardire di teletrasportarsi qui. Sì, ho detto 'teletrasportarsi'. Già perché pare sia questo il sistema con il quale siamo arrivati qui -ammesso che questo 'qui' esista realmente- perché assomiglierà in tutto e per tutto al medioevo, ma qui la gente si teletrasporta -oltre ovviamente a girare con i suddetti archi e con le suddette frecce. Lasciate che lo ripeta: la gente si teletrasporta. Ehi Enterprise, qui ce ne sono 5 da teletrasportare... una cosa del genere, solo senza l'astronave strafighissima e senza i pigiamini colorati imbarazzantissimi. Alla fine è così che uno si immagina il teletrasporto. Una pedana, una console, lo sfigato di turno che preme un pulsante, la nebbiolina dorata a forma di tubo -et voilat- ti trovi a mille miglia dalla superficie terreste. E invece no, siamo ancora sulla superficie, ma non la nostra cara, vecchia e inquinata superficie. No, siamo 'qui' dove la gente ti tira le frecce, si trasforma in lupi o appicca il fuoco con la sola imposizione delle mani.
 Uno potrebbe chiedersi quale sia la connessione tra queste cose -ed è quello che sto cercando di fare- ma al massimo riuscireste a cavarne un mal di testa colossale. La cosa assurda è che il fuoco non lo appicca uno stregone canuto col cappello a punta e il bastone di legno in mano, bensì il mocciosetto che fino all'altro ieri tenevo con la testa infilata nello scarico del cesso.

 Che poi su questo punto bisogna spenderci un paio di parole. Elliot è un ragazzino fortunato di quelli che hanno una famigliola perfetta con una casetta perfetta con sul vialetto parcheggiata una macchina perfetta. Niente di più diverso da me e da quella che è la mia vita domestica. Me ne rendo conto solo ora che alla fine la cosa che più mi dava urto in quel ragazzino era la sua totale e inconsapevole tranquillità. Quella felicità semplice e quasi indesiderata che a me non è stata concessa. Una famiglia come la sua la si trova di solito con la faccia stampata sulle cartoline di benvenuto nelle città o sulle brochure delle agenzie immobiliari -e guarda caso sua madre fa l'agente immobiliare.
 Alla fine Elliot non è tanto diverso da me, solo che la vita non l'ha messo nelle condizioni di essere in grado di gestire una situazione del genere. E qui torniamo all'incipit del capitolo: come fa una persona normale a gestire una situazione anormale? La risposta è semplice: non lo fa! Il più delle volte esplode, e non nel senso che da fuoco al primo bosco che gli capita sottomano. No, quello diciamo è più un effetto collaterale. Uno esplode coi nervi. Cede. Si dispera in maniera insensata. E già che c'è fa esplodere altra roba. Ecco, crisi di nervi e super-poteri sono cose che non possono andare a braccetto. Ve lo immaginate Superman che perde il senno perché imbottigliato in mezzo al traffico? Ci avevano anche fatto un film su una super-eroina che veniva scaricata dal fidanzato e dava di matto... Ecco, diciamo che è il caso di evitare una situazione del genere.
 Ok ok, lo ammetto, un minimo mi sento in colpa. Non che sia del tutto colpa mia se siamo finiti qui, ma tutto sommato esiste la remota possibilità che la mia irresponsabile avventatezza possa averci condotti qui. In un certo senso mi sento responsabile della vita di questi miei compagni improvvisati. E' per questo che mi sono dato tanta pena per salvare Lara e perché farò di tutto per andare a salvare quell'idiota di Peter che si è fatto rapire insieme al professore -idioti.

 Elliot ha bisogno di qualcuno che lo sorregga in questo momento. Un po' per evitare che diventi un pericolo per se e per chi gli sta intorno -ad esempio per me- un po' perché a conti fatti queste sue nuove abilità ci possono fare estremamente comodo durante la missione che stiamo per intraprendere. C'è bisogno di qualcuno che lo guidi e lo aiuti a scoprire e controllare il suo potenziale e quel qualcuno non può essere nessun altro se non io.
 Vivere in una situazione di costante allerta mi ha dato la capacità di comprendere le persone e le loro intenzione semplicemente guardandole. Nel mio zaino porto sempre l'occorrente per il pronto soccorso e per la 'sopravvivenza spicciola', ovvero quelle piccole cose che ti permettono di cavartela in qualsiasi situazione imprevista. Eredità di quella triste parentesi della mia vita in cui fui costretto a fare lo scout... ma su questo argomento stendiamo un velo pietoso.
 Questo è solo per dire che dalla vita mi aspetto sempre il peggio e cerco di farmi trovare preparato. Una dote di cui adesso abbiamo molto bisogno e che, insieme ai poteri di Elliot potrebbero tirarci fuori da questo impiccio -ammesso che esista un modo per cavarsela.
 Va bene, va bene. Non è questo l'unico motivo per cui ieri sera sono andato a trovare Elliot. E' che un po' lo sto rivalutando. Una volta superata la naturale repulsione per gli sfigati come lui, scopri che non è poi così malaccio. In realtà riesce anche ad essere simpatico. Certo, a modo suo, però potrei anche considerare l'idea di stringerci amicizia.
 Non sarebbe male per una volta avere al fianco una persona che stia con te per sua scelta e non per paura delle eventuali ritorsioni. Diciamo che potrebbe essere un piacevole diversivo.

 Ora, lasciando da parte tutti questi vaneggiamenti su Elliot e sui miei immeritati sensi di colpa, resta il fatto che c'è una missione da portare a termine e, non per ripetermi, ma qui la gente ti tira addosso le frecce. Quanto meno dalla nostra abbiamo i lupi che, a quanto mi dicono, sono temuti anche da queste parti. Inoltre con questi particolari lupi ci si può anche parlare, basta solo cercare di non ridere sulla loro statura, ma per il resto sono amabilissimi.
 Si sono costruiti questa città-fortezza al riparo dal mondo esterno per non dover convivere con la repulsione e l'odio che gli umani gli tributavano. In un certo senso mi sento anche troppo vicino a loro. Sarà forse per questo che mi trovo così a mio agio in mezzo a loro. Girando per il mercato, parlando con la gente, vagando per le vie del borgo... per la prima volta in vita mia mi sono sentito veramente a casa. Loro ci aiuteranno e di sicuro non ci abbandoneranno e, qualora non riuscissimo a trovare un modo per tornare a casa, penso che non mi dispiacerebbe rimanere a vivere qui. No! Ho promesso ad Elliot che lo avrei aiutato e ci avrei riportati tutti nel nostro mondo e, anche se fatte ad un idiota, le promesse vanno onorate.
 E poi c'è Kaila. Ok, non c'entra nulla col discorso, però da quando l'abbiamo incontrata ogni tanto mi ritrovo a pensare a lei senza alcun motivo apparente. In pratica si potrebbe dire che se siamo in mezzo ai guai sia colpa sua -a riprova del fatto che non dovrei assolutamente sentirmi in colpa- però ogni volta che la vedo mi si forma un nodo in gola. La stessa sensazione che si prova quando si mangia troppo di fretta e qualcosa ti si blocca a metà via tra la gola e lo stomaco. Tu di dai una serie di colpi furiosi sul petto, ma quel boccone non va né su né giù! Non ti stai strozzando, però senti quel fastidioso senso di oppressione dietro lo sterno che ti fa impazzire.
 Ti prende all'improvviso, senza che te lo aspetti. Tu sei lì che cerchi di spiccicare due parole e quelle ti muoiono in gola, ti si confondono, si perdono. Probabilmente quella ragazza penserà che sono un idiota, o peggio ancora, un timidone. Vorrei prenderla a pugni solo per il gusto di cancellare quel sorrisino imbarazzato che le si stampa sulla faccia ogni volta che rimaniamo in silenzio. Di occasioni ce ne sono state, ma puntualmente me ne sono rimasto lì impalato a fare il deficiente.

 Prendiamo ad esempio stamattina. Stavo cercando Holtz, il tipo che ci ha salvato dal novello Robin Hood che ci inseguiva, per chiedergli informazioni sul conto della magia. Ho promesso ad Elliot che lo avrei aiutato, ma sinceramente non avevo proprio idea di dove iniziare. Non avendo a disposizione un computer, e dubitando fortemente che comunque avrei trovato informazioni utili su Wikipedia, ho pensato di rivolgermi a qualcuno del posto che sapesse indirizzarmi. Insomma, chiedo in giro di questo Holtz e vengo indirizzato da un simpatico mercante verso l'ospedale -a proposito, se passate da queste parti e vi fermate a mangiare, lo Shurap è ottimo, ricorda molto il cous-cous, ma evitate come la peste il Rabilh... mai mangiato nulla di più orribile! Sa di pesce marcio infilato in un calzino usato da più di una settimana da qualcuno affetto da una grossa disfunzione alle ghiandole sudoripare. Non mi sono fermato ad indagare sulla ricetta.
 Arrivai all'ospedale in tarda mattinata. Rispetto alla sera prima c'era un via vai di gente incredibile e all'interno era possibile vedere lo stesso tipo di frenesia tipica di un pronto soccorso nostrano. Mi recai al banco dell'accettazione per chiedere di Holtz quando la porta che dava sui locali di ricovero si spalancò con una furia incredibile e una ragazza ne schizzò fuori. Ci misi un po' a riconoscerla per via del suo strano abbigliamento. Oddio, non che fosse strano, solo un po' inusuale. Evidentemente anche a lei i Nani avevano fornito degli abiti puliti, e lei li aveva persino indossati. Quasi d'istinto mi venne da chiamarla: "Ehi Kaila, dove corri?"
 Lei si bloccò all'istante e si voltò verso di me. In quel momento ho avuto come l'impressione che il mondo si spegnesse. Non del tutto, solo il volume. Come quando ricevi una telefonata e togli l'audio al film che stanno dando in TV per poter rispondere. Neanche mi accorsi che si stava avvicinando. O meglio, me ne accorsi, ma non credevo fosse reale. Era come se un faro illuminasse solo lei che camminava al rallentatore verso di me. Niente suoni, niente rumori, niente voci. Solo quegli splendidi occhi verdi e quel sorriso luminoso in una splendida cornice di capelli ricci e neri come la notte. Ok, sto decisamente male. Anche solo a ripensarla mi viene il magone. Mi si attiva il gene della poesia che di solito faccio di tutto per mantenere accuratamente spento. Ammettiamolo, Kaila è una bella ragazza. Forse a scuola ce ne sono di più carine, ma nessuna ha quel sorriso, quegli occhi e quello splendido incedere delicato... AAAAAHHHH! Stupido gene della poesia! Spegniti!
 Sta di fatto che una volta arrivata di fronte a me, il cervello mi è letteralmente andato in pappa! Ho cercato di parlare, ma credo mi siano uscite dalla bocca solo delle sillabe sconnesse e probabilmente sono anche arrossito. Che figuraccia!

 Alla fine riuscii ad articolare qualcosa del tipo 'hai per caso visto Holtz?' ma con in mezzo molte ma molte più consonanti e vocali buttate lì a casaccio. Quando nominai Holtz il suo sguardo si velò di tristezza e accennò a chinare il capo. Per un attimo pensai che la tremenda onta di averle arrecato tristezza andasse lavato col sangue -il mio sangue- ma per fortuna durò soltanto un attimo. Lei si riprese quasi subito e mi mostrò nuovamente il suo raggiante sorriso. Iniziò a parlarmi con quella sua voce melodica, i capelli corti che danzavano dolcemente sulla sua testa, le sue labbra carnose e vermiglie che si muovevano sinuosamente, i suoi occhi ambrati che mi fissavano con quel meraviglioso sguardo penetrante -ok, mi sono completamente arreso al gene della poesia, tanto non riesco a controllarlo. Ero completamente annientato da tutta quella bellezza che quando finì di parlare mi resi conto di non aver ascoltato neanche una parola di quello che aveva detto.
 Mi guardò intensamente come per chiedermi se avevo capito e l'unica cosa che riuscii a pensare era che se non le davo subito un bacio avrei rischiato di esplodere. Non la baciai -non sono ancora così perduto- né tantomeno esplosi. Biascicai qualcosa di incomprensibile che nella mia mente doveva suonare come un 'Ok, grazie!' così lei si sentì soddisfatta, mi salutò e se ne andò per la sua strada.
 Rimasi a fissare per qualche minuto il punto della porta dalla quale era uscita e alla fine riuscii a riprendermi. Tutte le funzioni neuronali tornarono a pieno regime e riuscii nuovamente a connettere i pensieri. Quello che ne uscì fuori fu: 'Cavolo, ancora non so dove trovare Holtz!'
 Mi voltai verso il tizio seduto dietro il banco dell'accettazione e gli chiesi: "Ehi amico, hai per caso sentito quello che mi ha detto la ragazza mora?" quello fermò la mano che scriveva freneticamente sul registro e lentamente alzò lo sguardo verso di me. Non che fosse possibile fare un paragone, ma se lo sguardo di Kaila era il Paradiso, quello del nano era l'Inferno. Mi fissò con un'aria imbronciata, seccata e annoiata allo stesso tempo. Il suo naso adunco sembrava indicarmi con fase accusatorio e alla fine, quando parlò, ogni lama sembrò un rasoio tagliente e arroventato: "Di un po', ti sembro forse una segretaria?"
 "Ehi, scusa. E' solo che... Ok, fai finta di niente"
 "Vedrò cosa posso fare"
 E con lo stesso identico movimento -solo in direzione contraria- abbassò di nuovo lo sguardo e riprese a scrivere.

 Passai quasi tutto il giorno a vagare per la città, ogni volta che abbassavo lo sguardo e cercavo di non pensare a nulla, il bel visino di Kaila mi si formava in mente. Ma si può? Mi sentivo -e mi sento- veramente ridicolo.
 Comunque, tornando ad Holtz, alla fine lo trovai, beh, più che trovarlo gli sono letteralmente inciampato addosso. Ero come al solito perso nei miei pensieri -e quindi sistematicamente pensavo a Kaila- quando da un angolo mi sbuca davanti guardando dall'altra parte e mi arriva diritto addosso. Anche lui stava cercando me, voleva informarmi della riunione che si terrà stasera e mi chiese di avvisare anche Elliot. Elliot... uhm, mi dice qualcosa questo nome... Non è una battuta, li sul momento mi ero proprio dimenticato del perché stessi cercando Holtz. Continuavo a vagare per il borgo cercandolo solo perché quello era l'unico pensiero al di fuori di Kaila che riuscissi a focalizzare.
 "Senti, a proposito di Elliot, ti volevo chiedere alcune cose."
 "Dimmi pure" fece lui "cosa gli è successo?"
 "Beh, non è che gli sia proprio successo qualcosa, anzi, sarebbe più corretto dire che è lui che fa succedere delle cose."
 Il cervello non mi era ancora tornato del tutto in funzione, e quindi vedevo la faccia perplessa di Holtz mentre io cercavo di raccapezzarmi tra i miei pensieri confusi.
 "In che senso fa succedere delle cose?" mi chiese. Aveva uno sguardo molto paziente. Sembrava una persona estremamente matura, nonostante mi arrivasse a stento all'altezza delle spalle.
 "Beh, cose... cose magiche... tipo accende il fuoco" e qui penso di essermi giocato ogni parvenza di serietà perché Holtz iniziò a guardarmi come io di solito guardo la mia bisnonna. Non è che abbia nulla contro nonna Becka, solo che ormai si è completamente rimbambita.
 "Capisco, accende il fuoco, questa è una dote decisamente notevole, ma in che modo potrei esserti utile?"
 "No no, non mi hai capito, non è che accende il fuoco come fanno gli scout -Non sai cosa siano gli scout? Sei una persona estremamente fortunata- comunque lo accende col pensiero... per magia" ecco la parola che che proprio non mi veniva in mente... Magia. "Si insomma, da quando siamo arrivati Elliot sa usare la magia."
 Questa mia ultima affermazione deve avermi fatto riguadagnare qualche punto, perché Holtz tornò ad essere serio.

 "Beh, questo è abbastanza insolito. Vi verrà spiegato meglio stasera, ma voi in teoria non dovreste essere in grado di utilizzare la magia. Cos'ha fatto di preciso?"
 "Beh, ieri ha fatto esplodere un vaso nella sua stanza e ieri notte ha appiccato l'incendio oltre il quale ci siamo incontrati, ah, e credo sia stato sempre lui a teletrasportarci qui" Holtz iniziò a sembrarmi decisamente preoccupato così mi sentii in dovere di rassicurarlo "Però adesso lo controlla, o meglio. Lo controllicchia. Adesso riesce ad accendere le candele solo avvicinando la mano allo stoppino. Abbiamo fatto pratica per tutta la notte."
 Si grattava il mento. Classica posa di chi sta riflettendo. Alla fine sembrò giungere ad una semplice conclusione. "Beh, tralasciando la parola 'impossibile' che con voi sembra essere quantomai inappropriata, devi sapere che la magia è una sorta di energia che fa parte della natura. A volte, alcune persone particolarmente dotate, sono in grado di domarla quasi istintivamente. Mettiamo che questo sia il caso di Elliot, allora sarà in grado di gestire una piccola quantità di incantesimi elementali" prese un attimo fiato per vedere se il concetto aveva un qualche significato per me e, no, non ce lo aveva, quindi continuò con la spiegazione "per elementali intendo quegli incantesimi basilari che partecipano delle energie degli elementi -acqua, aria, fuoco e terra- quindi si, potra accendere fuocherelli, congelare pozzanghere o cose simili, ma dovrà imparare a controllarsi..."
 "Oh, a questo ci penso io..." risposi tutto entusiasta, ma poi mi resi conto che non mi aveva fatto nessuna domanda e che io mi ero limitato ad interromperlo "...scusa, continua".
 "Dicevo, che dovrà imparare a controllarsi, ma se vorrà progredire, dovrà imparare anche le formule magiche. Qui in città ci sono diversi stregoni a cui..."
 "Non ce ne sarà bisogno" lo interruppi di nuovo. E' che la mia soglia di attenzione per i discorsi troppo lunghi scema dopo pochi secondi. "Le formule ce le ha già".
 "In che senso 'le formule ce le ha già'?" mi chiese incuriosito
 "Beh, non so come spiegarlo, ma ogni tanto, quando siamo in situazioni particolari, è come se perdesse il controllo, inizia a parlare in una lingua strana e poi succedono delle cose... cose magiche ovviamente".
 "Ragazzo mio, se già il fatto che il tuo amico sappia usare la magia è strano, quello che mi dici ora rasenta l'assurdo. Sarà bene parlarne con il consiglio stasera, loro sapranno aiutarlo meglio di quanto possa fare io".

 Detto questo semplicemente se ne andò senza voltarsi. A pensarci adesso mi pento fortemente di avergli raccontato quelle cose. Non vorrei aver condannato Elliot ad essere un fenomeno da baraccone o, peggio ancora, una cavia da laboratorio.
 Finora ci sono stati tutti molto vicini, sono stati amichevoli e ci hanno aiutato in tutti i modi, quindi esiste la possibilità che Elliot non sia in pericolo e che, anzi, sia capitato nel posto giusto, ma credo che lo scopriremo solo stasera. Una riunione con tutti gli anziani del villaggio. Suona molto serio come avvenimento. Sarà un problema perché dubito fortemente di riuscire a mantenere la serietà e l'obiettività di cui avrò bisogno. Non che abbia problemi a parlare in pubblico, di solito quando parlo la gente mi ascolta attenta e in silenzio, ma di solito non c'è Kaila al mio fianco.


mercoledì 12 gennaio 2011

L'Ospedale

 La notte era trascorsa veloce e tranquilla. La stanchezza e l'agitazione degli ultimi giorni avevano fatto sprofondare Kaila in un lungo sonno ristoratore. Aveva dormito come una bambina lasciando un'abbondante chiazza di bava sul suo cuscino nuovo. Non ricordava di aver fatto sogni particolari, non come quelli che l'avevano perseguitata nelle ultime settimane. L'unica cosa che le era rimasta in mente era l'immagine di un volo. Aveva questa immagine sbiadita in mente di lei che volava come mai aveva fatto prima d'ora e, diciamocelo, Kaila di voli ne aveva fatti fin troppi. Questa volta era diverso. Vedeva delle grandi e possenti ali. Niente ansia ne paura, solo la splendida sensazione del vento tra i capelli, del vuoto che ti avvolge, della libertà che ti culla.
 La felicità di quel sogno l'aveva fatta svegliare di buon umore. Tutti le preoccupazioni erano quasi accantonate. Felz in pericolo? Ci avrebbero pensato i Nani. Lara ferita? Ci avrebbero pensato i Nani! Nikolas alle calcagna? Ci avrebbero pensato i Nani!! L'atmosfera che respirava era come quella che precedeva i giorni di festa, quando l'unica preoccupazione era scegliere il vestito più adatto per uscire -anche qui, Kaila di vestiti ne aveva fin troppi- Il suo preferito glielo aveva regalato il padre per il suo quattordicesimo compleanno. Uno splendido vestito bianco panna con un corpetto verde e la gonna lunghissima che quasi le faceva da strascico. Lo indossava solo in occasioni speciali e le sarebbe piaciuto moltissimo averlo lì con se in quel momento. Roth, il figlio del panettiere, non ne era molto entusiasta e questo gli aveva fatto perdere parecchi punti agli occhi di Kaila. La ragazza si sorprese a chiedersi se a Mallory sarebbe piaciuto e l'idea la fece arrossire.

 Cercò di guardare la sua immagine riflessa nel vetro della finestra. La cosa risultò più complessa del previsto, un po' perché la camera non era abbastanza illuminata, un po' perché la finestra non aveva vetri. Alla fine riempì d'acqua una bacinella dal fondo scuro che le avevano lasciato in camera e finalmente riuscì a specchiarsi. Le increspature dell'acqua deformavano il suo volto, ma anche così i segni della stanchezza erano più che evidenti. Profonde occhiaie solcavano il suo viso e le sue iridi erano irrorate di sangue. Si fissò per qualche minuto tirandosi le guance fino a farsi venire gli occhi a mandorla, la cosa la fece sorridere e così iniziò a giocare con la sua espressione modellando con le mani il suo volto fino a formare delle facce buffe. Non le importava se il suo aspetto non era perfetto, si sentiva comunque carina e la cosa la faceva sentire bene.
 Sul comodino accanto al letto aveva trovato degli abiti puliti. Un vestito marrone con dei laccetti sul corpetto per regolarne la larghezza. Aveva una gonna lunga, o per lo meno lunga per un Nano, e quindi a Kaila cadeva poco sotto il ginocchio. C'erano anche dei calzari, erano fatti con dei lacci di cuoio larghi un pollice che si intrecciavano sul piede fino ad arrivare a metà polpaccio. Kaila non aveva mai visto delle scarpe così, ma le trovò decisamente comode e fresche, forse solo un po' strette. Si sciacquò la faccia immergendola completamente nella bacinella. Assaporò il freddo intenso dell'acqua che le bagnava i capelli. Agitò la testa per riscuotersi e cancellare ogni traccia di sonno residuo. Indossò con cura il vestito che le avevano donato e si sistemò i suoi corti e umidi capelli ricci legandoli dietro la nuca con un fermaglio in legno che aveva nella sua sacca.

 In quella città era tutt'altro che semplice determinare l'ora del giorno. Kaila aveva capito che la luce emessa dalla grossa gemma ambrata che troneggiava al centro della cupola mutava di intensità col passare del tempo. Non si spegneva mai, quindi non c'era un momento in cui il buio regnava sovrano, un qualcosa che potesse essere chiamato Notte, però notò che in quel momento lo splendore del cristallo era molto più vivo rispetto a quando erano arrivati la sera prima. Di sicuro la luce non era accecante come quella del sole di mezzogiorno, ma consentiva una buona visibilità.
 Kaila iniziò a passeggiare per le vie della città con la meraviglia dipinta sul volto, ogni cosa che vedeva le sembrava magica e stupenda. Le case erano del tutto simili a quelle di Hangwick, quella di fuori, perché anche la città dei Nani si chiamava Hangwick. Le vie però erano più strette, vuoi perché lo spazio era limitato, vuoi perché non erano pensate per gli esseri umani. Probabilmente Kaila era la prima esponente della razza degli Uomini che calcava quelle vie. La cosa suscitava un certo interesse nei passanti che la incrociavano e subito abbassavano lo sguardo -non che Kaila sarebbe riuscita a fissarli negli occhi se avessero continuato a guardare diritto-.

 La ragazza era come un gigante in mezzo a quella gente e, doveva proprio ammetterlo, la sensazione le piaceva. Si diresse verso il mercato che ormai era nel pieno delle attività quotidiane. Voci e rumori rimbombavano tra i chioschi. Profumi nuovi e inconsueti riempivano l'aria. Stoffe e oggetti strani coloravano il paesaggio. Kaila avrebbe voluto comprare tutto, ma per fortuna non aveva soldi con se, o per lo meno, con somma gioia del suo borsello, non ne aveva di un conio accettato da quelle parti.
 Una bambina le si fece vicina e allungò un braccio per tirarle la gonna e attirare la sua attenzione. Aveva in mano una ciotolina da cui si alzava un buon odore di verdure e cipolle. "Colazione?" le chiese dolcemente contraendo le sue paffute guanciotte in un sorriso dolcissimo. "Grazie!" sorrise Kaila. Si inginocchiò per prendere l'offerta dalle mani della bimba la quale si riempì di felicità  e scappò via correndo e chiamando la madre. Una donna poco più alta di un metro e qualche spanna prese in braccio la bambina e le sorrise, poi si voltò verso Kaila e fece cenno di saluto con la mano. Kaila si alzò in piedi e fece un inchino per ringraziare, poi si voltò e riprese a camminare.
 Il contenuto di quel piatto era ancora caldo e fumante. Sotto uno strato di verdure grigliate giaceva un letto di un qualche cereale sconosciuto dai grani molto piccoli. Era molto speziato ed aveva un sapore quasi dolciastro e un po' piccante. Kaila mangiò di gusto con le mani, assaporò ogni granello e ogni verdura leccandosi anche le dita. Aveva fame, questo è vero, ma quel cibo così curioso era davvero buono.
 Continuò a vagare per un po' tra le bancarelle fermandosi di tanto in tanto ad ammirare i manufatti così particolari di quel popolo così sconosciuto. Kaila sapeva la storia dei Nani, come sapeva quella degli Elfi e della altre creature magiche. Le aveva imparate tramite i racconti dei cantastorie e le favole che il padre le narrava prima di metterla a dormire. La sua idea di quella gente si perdeva al confine tra il fantastico e il concreto. Eppure lì era tutto così reale e al contempo magico. Si sentiva come in un sogno, uno di quelli che non hanno per forza un significato. Un sogno come non ne faceva da molto tempo. Un sogno e basta. Nulla da capire, nulla da interpretare. Niente di spaventoso o di inquietante. Solo un sogno.

 A metà mattina -o almeno quella che sarebbe dovuta essere metà mattina, ancora non si regolava bene coi tempi- decise di lasciare il mercato e di esplorare il resto del borgo. Kaila era affascinata da quelle architetture così precise e armoniose. Non assomigliavano affatto a quel cumulo aggrovigliato di case che spuntavano sulle strade di Elengar. Una cosa che notò subito erano le mura delle abitazioni. Lisce. Non avrebbe saputo come altro definirle. Sembravano dei fogli di carta, di quella buona tra l'altro. Kaila non riusciva a distinguere un mattone dall'altro. Erano tutti così ordinati e ben amalgamati che sembravano un unico blocco compatto. Si chiese come fosse possibile una cosa del genere e si ritrovò più volte ad accarezzare stupita quelle superfici così levigate.
 Continuò ad aggirarsi per le vie ammirando ogni elemento architettonico e profondendosi in centinaia di inchini per salutare di volta in volta i paesani che incontrava. Alla fine arrivò in un grande piazzale -si parla sempre in proporzione, non sarà stato più grande della cantina di Ivan- che stava ai piedi di un grande edificio dal quale andavano e venivano molte persone. "Cos'è quello?" chiese ad uno dei passanti indicando il palazzo. "E l'ospedale... un posto dove curiamo la gente" rispose quello parlando al rallentatore, come se non fosse sicuro che la ragazza fosse in grado di capire. Kaila sapeva cosa fosse un ospedale, ma mai ne aveva visto uno. Pensò che probabilmente era lì che avevano portato Lara e decise di farle una visita.

 Lara era una figura astratta nella mente di Kaila. L'aveva sempre avuta al fianco, si era preoccupata per lei, ma non aveva mai neanche sentito la sua voce. Non conosceva il colore dei suoi occhi, ne sapeva cosa le fosse capitato, sapeva solo che i suoi amici avevano rischiato la vita pur di proteggerla e questo le dava la misura di quanto fosse importante. Kaila si sentiva un po' un estranea quando si trovava in compagnia di Elliot e Mallory e in un certo senso era curiosa di scoprire cosa legasse quello strano gruppo di ragazzi. 
 Varcato l'ingresso dell'ospedale, Kaila si ritrovò in una grande sala dove decine e decine di piccoli scranni erano disposti in file ordinate. Persone di ogni età se ne stavano sedute qua e la. Ognuno cercava di tenersi occupato in qualche maniera e di tanto in tanto un Nano con una lunga tunica chiara si avvicinava a qualcuno. I due scambiavano poche parole dopodiché uscivano insieme dalla sala.
 C'era solo una grande porta che dava verso l'interno. Da lì passavano tutti. Accanto alla porta c'era un grosso tavolo con un paio di persone sedute dietro intente a scrivere su dei grandi libri. Kaila si avvicinò circospetta senza sapere bene cosa doveva fare. Arrivò davanti ad uno dei due Nani seduti dietro il tavolo e la sua ombra coprì il libro vergato da una fine scrittura. Il Nano, un po' infastidito dall'improvvisa mancanza di luce, alzò lo sguardo verso la ragazza "Nome?" Kaila rimase un po' spiazzata da quella domanda, tutto si sarebbe aspettato tranne che le chiedessero il nome, e poi così a bruciapelo. "K-Kaila" rispose timidamente. "Motivo della visita?" inquisì l'altro. Aveva uno sguardo arcigno e sembrava anche un po' seccato. Sul libro aveva appena scritto il suo nome, o meglio, aveva scritto 'K-Kaila', che non era esattamente il suo nome, ma era l'unica cosa che era riuscita a farfugliare.

 "Dovrei vedere una mia... beh, è alta... cioè, insomma..." Kaila si sentiva profondamente in imbarazzo e non riusciva a mettere insieme una frase di senso compiuto. "Si si, ho capito, non capita spesso di avere pazienti della vostra... statura" disse il Nano squadrando Kaila dal basso verso l'alto. "Terzo piano, Corridoio 'A', quinta stanza a destra" disse infine indicando la porta che aveva alle spalle e abbassando nuovamente lo sguardo sul libro.
 Kaila si allontanò lentamente e si diresse verso la porta. Non aveva maniglia e non riusciva a capire come andasse aperta, poi all'improvviso quella si spalancò e due tizi ne uscirono accompagnando un terzo che camminava poggiando il peso su due bastoni di legno. Kaila colse al volo l'occasione e inforcò la porta prima che questa potesse richiudersi. L'ultima cosa che riuscì a sentire fu la voce del Nano che dal suo tavolo le urlava che bastava spingere per aprire la porta, poi fu il caos più totale.
 Persone che correvano da una parte all'altra, urla di dolore, pianti e un vociare incessante. Kaila non aveva mai visto tanta agitazione e non sapeva come muoversi. Intimorita cercò delle scale e iniziò a salire di corsa. Un paio di Nani in camice le urlarono di non correre, ma lei non li ascoltò finché non raggiunse il terzo piano. Lì la situazione era più tranquilla. Due corridoi partivano dal pianerottolo e correvano nelle due opposte direzioni, accanto a quello di sinistra c'era un cartello di legno con sopra impressa la lettera 'A', Kaila iniziò a percorrerlo con cautela.

 La quinta stanza a destra del corridoio 'A' del terzo piano aveva la porta spalancata. Al suo interno c'era solo un letto ed una cassapanca. Un vaso di fiori era appoggiato sul davanzale della finestra aperta che dava su un cortile interno. Si riuscivano a intravvedere degli strani alberi dalle foglie rosse e dai rami tozzi che lambivano immobili l'edificio. Kaila non aveva ancora incontrato della piante in quella città, ed effettivamente era impensabile che qualcosa potesse crescere lì sotto in assenza della luce del sole. Quelle dovevano essere piante particolari, forse magiche.
 Lara era sdraiata sul letto. Sembrava profondamente addormentata. Dalla coperta sporgeva la sua gamba sinistra. Era completamente avvolta in un bendaggio spesso e apparentemente rigido. Sicuramente una soluzione molto più complessa delle stecche utilizzate da Mallory, ma altrettanto più efficace. Kaila rimase impalata sull'uscio della stanza. Non voleva svegliare Lara e anche se lo avesse fatto non avrebbe saputo cosa dirle. Si rese conto che probabilmente Lara non sapeva neanche chi fosse. Rifletté a lungo e alla fine concluse che non aveva senso rimanere lì, era meglio andarsene e lasciare la ragazza al suo meritato riposo. Si soffermò a guardarla, aveva un aspetto così sereno che la fece sorridere. L'avevano salvata, avevano penato tanto ma alla fine l'avevano salvata. Kaila era felice. 

 "Perché non entri?" La voce arrivò da dietro e fece sussultare Kaila. Si voltò a cercarne la fonte e si ritrovò di fronte ad Holtz "Scusami, non volevo spaventarti, sei qui per Lara?".
 "No, cioè, sì, ero passata a vedere come stava. Sembra stia bene, quindi ora vado." rispose la ragazza.
 "Non scappare, ti stavo cercando" disse Holtz.
 "Oh, beh, mi hai trovata" Kaila cercò di tagliare corto e fece come per incamminarsi verso le scale ma Holtz la fermò.
 "La tua amica è stata fortunata, aveva la febbre alta, ma i nostri sciamani sono riusciti a curarla."
 "Beh, non siamo proprio amiche. In realtà credo che neanche sappia chi io sia."
 "Avremo cura di farle sapere che è merito tuo se si è salvata."
 "In realtà sono stati Mallory ed Elliot, io non ho fatto nulla" precisò Kaila abbassando lo sguardo imbarazzata.
 "Capisco, beh, adesso è al sicuro. Venendo a noi, ho notizie di tuo fratello."
 L'interesse di Kaila si accese improvvisamente. Sgranò gli occhi in un'espressione di assoluta preoccupazione, come se tutta la tranquillità che aveva avuto al mattino fosse svanita nel nulla in un solo istante.
 "Non ti preoccupare, sta bene. L'abbiamo raggiunto a Salingar. Ti manda a dire che è al sicuro e che andrà insieme ai nostri a prelevare tuo padre per condurlo a Fernorz, una delle nostre comunità a sud del paese. Quando vorrai potrai raggiungerlo."
 Il sorriso di Kaila si accese e fu quasi sul punto di abbracciare Holtz, quando dal nulla uno strano animale spuntò di corsa passando in mezzo ai due e speronandoli. Kaila riuscì a notare soltanto una lunga coda argentea che spuntava da sotto una leggera veste bianca. "Fermati, dove corri!" Una donna  con una tunica chiara cercava di inseguire -arrancando- il fuggiasco e quando fu davanti ai due si fermò un attimo a riprendere fiato. "Vi chiedo scusa, la nostra piccola Mya è scappata e non riusciamo più ad acchiapparla" senza attendere risposta si rimise a correre svoltando in uno dei corridoi laterali.
 Holtz seguì la scena con lo sguardo divertito e poi si rivolse di nuovo a Kaila "Tutto bene?"
 "S-si, mi ha presa di sorpresa."
 "Quella piccola peste farà impazzire le infermiere di questo posto."

 Kaila fece finta di sorridere ma non aveva ancora ben chiaro cosa fosse accaduto. "Stasera è stata convocata una riunione" riprese Holtz "Tu ed i tuoi amici dovrete presenziare. Vi passerò a prendere intorno alle 17". Si incamminò verso le scale ma questa volta fu Kaila a fermarlo.
 "Ehm..."
 "Qualche problema?" chiese il Nano.
 "Come si fa a capire quando sono le 17?" chiese Kaila imbarazzata. Holtz sorrise e tornò indietro verso la ragazza. Infilò una mano in tasca e ne estrasse un oggetto argenteo. Era sottile e circolare con un perno al quale era legata una catenella. Holtz premette sul perno e una specie di coperchio scattò rivelando una calotta di vetro con sotto un quadrante. 
 "E' un orologio!" esclamò Kaila meravigliata.
 "Si" confermò Holtz sorpreso da tanta eccitazione.
 "Scusa è che non ne avevo mai visto uno così piccolo. Addirittura lo si può mettere in tasca"
 "Già, voi Umani non ve la cavate molto bene con le cose tecnologiche, comunque suppongo tu sappia come funzioni."
 Kaila prese l'orologio e lo squadrò da ogni angolazione. Era bellissimo. Era grande esattamente quanto il palmo della sua mano e aveva degli splendidi decori sulla scocca metallica.
 "Beh, la lancetta corta indica le ore, mentre quella lunga i minuti" disse infine. Holtz le sorrise e la salutò lasciandola sola col suo nuovo oggetto delle meraviglie.
 La ragazza impiegò alcuni minuti prima di accorgersi di essere nuovamente sola. Era troppo presa dall'orologio. Quando si riscosse realizzò anche ciò che Holtz le aveva detto. Lei e gli altri avrebbero dovuto presenziare ad una qualche riunione. Improvvisamente ricordò tutto. La sera prima, quando aveva incontrato per la prima volta Holtz e suo fratello Karl, i due avevano parlato di una profezia che la riguardava. Un'altra. Come se il diario di sua madre non fosse sufficiente. Diario che si trovava di nuovo lontano, di nuovo in pericolo. Kaila pregò che il fratello si ricordasse di prenderlo uno volta a casa.


venerdì 7 gennaio 2011

Poteri

 La piccola stanza era quasi completamente buia. Una flebile luce ambrata filtrava dalle imposte chiuse rendendo a malapena distinguibile il mobilio presente. Una cassapanca chiusa se ne stava appoggiata ai piedi del letto situato sulla parete opposta alla finestra. Un piccolo tavolino era disposto accanto alla porta con un vaso in terracotta appoggiato sopra. Al suo interno una silenziosa calendula se ne stava a bagno in poche dita di acqua. Elliot se ne stava seduto su quel materasso troppo piccolo per la sua statura. Con le spalle appoggiate alla parete, teneva le ginocchia vicino al petto e continuava a fissarsi i palmi delle mani. Aspettava come se da un momento all'altro quelle potessero parlargli, raccontargli, spiegargli ciò che gli stava accadendo, ma le sue mani continuarono a rimanere silenti, e così il resto della camera. Un lieve spiffero dalla finestra. Lo zampettio di un qualche insetto solitario. Per il resto solo silenzio. Il silenzio è il rumore dei pensieri che si affollano. I dubbi che cercano una risposta. Il cuore che cerca di rasserenarsi. Una sensazione di malessere allo stomaco lo stava facendo impazzire. Non era dolore fisico, semplicemente un accumulo di sentimenti repressi che gli stavano agitando i succhi gastrici. 
 L'arrivo ad Hangwick era stato quasi un evento sensazionale. Erano stati accolti come degli eroi, anche se in realtà non avevano fatto un bel niente. Anzi, avevano dato fuoco al bosco e per poco non si facevano ammazzare. Cosa ci fosse di così sensazionale in quegli eventi ad Elliot non era ancora chiaro. Avevano dato loro degli alloggi e degli abiti puliti. Peccato che in quel mondo sotterraneo tutto fosse troppo piccolo per loro. I letti troppo corti, le sedie troppo basse, gli abiti troppo risicati. In un mondo di Nani loro erano come giganti fuori luogo. Tutto sommato la cosa non gli aveva creato problemi, Elliot era solo felice che finalmente qualcuno potesse prendersi cura di Lara. Lara. Era passato solo un giorno da quando erano partiti per la loro avventura. Ventiquattro ore o poco più. Eppure gli sembrava così lontano il tempo in cui la odiava. Si era preso cura di lei come non aveva mai fatto con nessun altro. Anche quando Peter era partito per la sua folle missione suicida, l'unico pensiero di Elliot era di tenere al sicuro Lara quasi dimenticando le sorti del suo migliore amico.
 Adesso Lara era al sicuro e tutto ciò che aveva forzatamente ignorato fino a quel momento era tornato a far visita alla sua anima. Peter si era sacrificato per la loro salvezza e lui non poteva fare nulla per aiutarlo. Il non sapere che fine avessero fatto il suo amico e il professore lo stava uccidendo. Sperava che un miracolo facesse apparire tra le sue mani un'immagine dei due al sicuro da qualche parte. Al riparo dai soldati e da chissà quali altri pericoli. Aveva visto una magia del genere in qualche film e si chiedeva se in quel mondo una cosa del genere fosse possibile. In due diverse occasioni aveva dimostrato di essere in grado di usare degli strani poteri, ma lui non ne aveva memoria. Era stato Mallory che glielo aveva raccontato. Gli aveva detto che sembrava posseduto, come uno zombie. L'ombra di se stesso. Più si sforzava di ricordare, più il mal di testa aumentava.
 Elliot aveva la sensazione di avere una zona della sua mente completamente offuscata dalla nebbia. Cominciava ormai a credere all'ipotesi di essere posseduto. Qualcuno o qualcosa si era stabilito dentro di lui e guidava i suoi movimenti, modificava la sua sorte. Si sentiva impotente di fronte a quell'idea. L'idea di non essere più padrone di se stesso. Aveva provato a replicare il miracolo, a fare qualche magia, ma non ci era riuscito. Avrebbe voluto usare quei poteri per curare Lara e per salvare Peter, ma non c'era stato verso.
 Forse quell'energia che aveva dimostrato di possedere era in realtà il frutto del sortilegio di qualcun altro. Forse lui non aveva alcun potere. Forse era solo Elliot Summer, lo sfigato cervellone di una scuola che in quel mondo neanche esisteva. Forse i poteri appartenevano a quello spirito che albergava tra le nebbie della sua mente e della sua anima. Se fosse riuscito a controllare la magia avrebbe avuto la prova di non essere posseduto da una qualche entità misteriosa, ma non ebbe successo.

 Continuava a fissare intensamente le sue mani nella speranza di vedere i palmi illuminarsi come aveva detto Mallory. Si sforzava di concentrarsi, di imprimere la sua forza in unico punto come se stesse cercando di rompere una noce a mani nude, ma senza stringere il pugno. Niente. Le mani erano solo mani e lui era solo un ragazzo qualsiasi. Elliot non voleva necessariamente avere dei poteri, ma voleva a tutti i costi trovare un senso a quelle ultime ore. Voleva capire cosa si agitava dentro di lui, perché fossero arrivati in quel posto e soprattutto perché proprio lui. Che cosa aveva di diverso rispetto a tutti quegli idioti che ogni anno ad Halloween cercavano di intrufolarsi a Casa Madison? Era quasi un'usanza, ma nessun ragazzo era mai sparito sul serio. Elliot ricordò i fantasmi di nebbia. Non era mai stato così spaventato in vita sua, eppure anche quello adesso sembrava un ricordo lontano, appartenente ad un'altra vita.
 Un leggero scricchiolio ritmico proveniva dal corridoio fuori dalla sua porta. Si faceva sempre più forte come se qualcuno stesse camminando su quel pavimento di legno. Passi. Passi lenti e cauti che si avvicinavano alla sua stanza. Elliot intravvide un ombra dalla fessura sotto la porta. I secondi passarono e l'ombra rimase immobile.
 All'improvviso sembrò voler proseguire oltre. Alcuni passi scricchiolarono nuovamente sul legno, poi tornò indietro e di nuovo l'ombra si parò davanti alla sua porta. Altri secondi di silenzio passarono in cui Elliot si mise seduto con i piedi poggiati in terra. Le gambe del letto erano sensibilmente basse, tanto che ebbe la chiara sensazione di essere seduto sul pavimento. Due colpi secchi rimbombarono nella stanza. La porta aveva vibrato debolmente e poi di nuovo era sceso il silenzio. Un lungo silenzio di attesa. Elliot non aveva voglia di vedere nessuno e aspettò immobile nella speranza che chiunque fosse venuto davanti alla sua porta decidesse di andarsene senza poi ripensarci per tornare indietro.
 "Elliot, ci sei?" sussurrò la voce di Mallory. Elliot c'era, ma non voleva essere disturbato, soprattutto non da Mallory. Il bulletto. Quello che gli aveva dannato l'anima, che se non fosse per lui adesso se ne starebbe comodamente sdraiato sul letto di casa sua a preoccuparsi dell'interrogazione di storia. Invece era lì su quel materasso troppo piccolo in quella stanza opprimente a schiumare di rabbia per colpa di quel deficiente.
 La maniglia della porta si abbassò lentamente producendo un leggero cigolio. Mallory sembrava esitare ed Elliot era tentato di andargli a sbattere la porta in faccia. Aprì quasi con circospezione, senza esagerare, come una persona che lentamente si avvicina ad una belva feroce con l'inspiegabile istinto di volerla accarezzare. La luce del corridoio riempì progressivamente la camera infastidendo gli occhi ormai abituati al buio di Elliot. Ci vollero alcuni minuti perché i suoi occhi riuscissero a mettere a fuoco la figura del ragazzo che stava in piedi davanti l'uscio.

 I due si fissarono per qualche istante ed Elliot ebbe il tempo di riflettere su come anche i sentimenti per Mallory fossero cambiati in quelle poche ore. I due si odiavano, questo era un dato di fatto, eppure all'inizio di quell'incredibile avventura Elliot più di una volta era stato contento di avere Mallory al suo fianco. Aveva quel senso pratico che a lui mancava e si era reso indispensabile alla loro sopravvivenza. Era persino riuscito a farsi voler bene. Elliot pensava a come sarebbe stata dura quella giornata senza Mallory, poi però realizzò che quella giornata non sarebbe proprio esistita se il bulletto non si fosse intestardito a voler andare a Casa Madison. La risposta che cercava non era arrivata dai palmi delle sue mani, ma dalla vista del ragazzo che se ne stava in piedi su quel corridoio. Elliot forse non aveva bisogno di una spiegazione, ma solo di qualcuno a cui addossare tutte le colpe, e Mallory interpretava il ruolo del colpevole alla perfezione.
 "Che vuoi?" chiese asciutto il ragazzo seduto cercando di proteggersi gli occhi dalla luce troppo forte.
 "Alcuni tizi con la tunica e non so che strani oggetti si stanno prendendo cura di Lara. Dicono che se la caverà" rispose Mallory con lo sguardo che vagava all'interno della stanza.
 "Bene, grazie." rispose brusco Elliot alzandosi in piedi e avviandosi a chiudere la porta.
 "Aspetta, volevo chiederti come stavi tu". Elliot non riusciva a credere alle sue orecchie. A quel tipo non gliene era mai fregato nulla di come stava, anzi, ogni volta che stava male era sempre per colpa sua e dei suoi scagnozzi. E ora era lì a preoccuparsi per lui. Un fugace riso di scherno si dipinse sul suo volto, abbassò lo sguardo e scosse la testa mentre con la mano cercava di chiudere la porta.
 "Ehi, che problema hai?" chiese Mallory bloccando la porta con una mano.
 Elliot alzò lo sguardo e fissò gli occhi dell'altro con uno sguardo a metà tra l'incredulo e il furibondo "Che problema ho mi chiedi?" la sua voce era decisamente alterata. "Il mio problema sei tu! Tu e le tue bravate! Tu e il tuo orgoglio ferito! Se non ti fosse venuto in mente di fare quell'allegra scampagnata adesso non ci troveremmo qui, Lara starebbe bene e Peter sarebbe al sicuro".
 "Cosa? E sarebbe colpa mia? Chi è che ci ha fatto arrivare... qui!" Mallory sottolineò le ultime parole guardandosi intorno e indicando con entrambe le braccia la stanza.
 "Tu stesso hai detto che sembravo posseduto. Magari uno di quei fantasmi mi ha usato per chissà quale scopo. Se tu non ci avessi portati lì non sarebbe successo nulla"
 "Non c'entrano i fantasmi, quando eravamo nel bosco e hai appiccato l'incendio non c'erano strani banchi di nebbia in giro -sai, ho controllato-" sottolineò ironico Mallory.
 "E allora come lo spieghi quello che è successo? Come spieghi questo posto?"
 "Non lo so, so solo che siamo tutti nella stessa barca e l'ultima cosa che dobbiamo fare è metterci l'uno contro l'altro."
 "Strano, pensavo fosse il tuo passatempo preferito quello di accanirti contro di me" Elliot sentiva la rabbia montargli dentro come un fuoco appiccato su una catasta di fascine secche. "Hai passato gli ultimi anni a rovinarmi la vita. Mi hai fatto diventare lo zimbello della scuola. Mi hai persino usato come spazzolone del cesso, e adesso questo, siamo in pericolo in un mondo sconosciuto ed è tutta colpa tua... e io dovrei stare calmo?"
 "Si, dovresti decisamente, stai bruciando!" disse Mallory un po' spaventato.
 "Certo, sono arrabbiato. Arrabbiato come non lo sono mai stato e sono stufo di dovermi nascondere da te, di..."
 "No, no! Non mi hai capito! Stai bruciando davvero, guarda la tua mano!"

 Elliot per un attimo smise di inveire e notò che la stanza era più illuminata e quella strana sensazione che aveva alle viscere era più forte che mai. Guardò la mano sinistra, quella che Mallory stava fissando spaventato. Il palmo era completamente ricoperto di fuoco, una fiamma di un intenso color rosso come non ne aveva mai viste. Tutta la mano era avvolta dalle fiamme ma non scottava, certo, sentiva un leggero calore, ma in quelle condizioni doveva aver già le dita carbonizzata. Era quasi ipnotizzato da quel fuoco, mentre lo fissava sentiva la mente più leggera. Tutto il peso delle sue preoccupazioni si era fatto più lieve. A stento sentì la voce di Mallory che gli stava urlando "Metti la mano nel vaso" Elliot si riscosse e semplicemente scrollò il braccio per cercare di spegnere il fuoco, ma la fiamma mutò colore diventando di un blu intenso e si staccò dalla sua mano. Schizzò via nella direzione in cui aveva agitato la mano lasciandosi dietro un sibilo ovattato. Andò ad infrangersi contro il vaso in terracotta facendolo esplodere in mille pezzi.
 Piccole lingue di fuoco si sparsero sul tavolino sottostante che prese subito a bruciare. Mallory entrò nella stanza con prepotenza scansando l'altro, si tolse la giacca e la sbatté con violenza sul legno infuocato per impedirgli di trasformarsi in un incendio. Elliot continuò ad indietreggiare incredulo finché le sue spalle non urtarono contro il muro. Fissò la mano che conservava ancora un briciolo di tepore mentre lentamente scivolava con la schiena lungo la parete fino a toccare terra. Era seduto sul pavimento, o forse sul letto, non avrebbe saputo distinguerlo, intanto Mallory continuava la sua opera di spegnimento del fuoco.
 Il rumore ritmico della giacca che colpiva il tavolino sembrava lontano anni luce. Elliot era di nuovo seduto con le gambe vicino al petto a fissarsi i palmi delle mani. Era spaventato. "Che mi sta succedendo?" riuscì a singhiozzare trattenendo a stento le lacrime. Mallory tirò un sospiro di sollievo quando finalmente l'ultima fiammella si spense. Del fumo si alzò dal legno bruciato. Alcune gocce della poca acqua contenuta nel vaso caddero dal tavolino. Pezzi di terracotta erano sparsi in tutta la stanza. Alcuni petali volteggiarono lenti fino a terra andandosi ad adagiare a pochi passi da Elliot.
 "Non lo so, davvero! Ma questa volta è stato diverso" Mallory si era avvicinato e con le spalle alla parete era scivolato a terra seduto vicino ad Elliot "Questa volta non sembravi un morto vivente".

 I due rimasero seduti a terra uno accanto all'altro a fissare il vuoto. L'odore di bruciato aveva lasciato la sua impronte aromatica nell'aria ed era lentamente svanito. "Che intendi?" Elliot ruppe il silenzio come se si fosse ricordato in quel momento che Mallory gli aveva rivolto la parola.
 "Le altre volte avevi lo sguardo perso nel vuoto, mentre questa volta sembravi lucido. Eri incavolato di brutto" sorrise il ragazzo.
 "E quindi?" la voce di Elliot sembrava distante, il ragazzo era ancora perso nel vuoto della stanza a fissare il punto dove il vaso era esploso.
 "E quindi questa volta sembravi tutt'altro che controllato da qualcuno." Elliot si riscosse e si girò verso Mallory. Il ragazzo era decisamente più alto di lui perché anche da seduti la sua testa raggiungeva a malapena le spalle dell'altro. "Ma com'è possibile?" Chiese quasi supplicando una risposta chiara.
"Non lo so, mi spiace. Però quei poteri sono tuoi, non di chissà quale fantasma. Forse non è neanche vero che qualcuno ti controlli. Magari semplicemente ti si attiva una specie di modalità di sicurezza quando sei in pericolo. Cosa ricordi di quei momenti?" Elliot abbassò di nuovo la testa sprofondando nello sconforto. Ci pensò un attimo e poi confermò che no, non si ricordava nulla.
 "Un momento!" un'idea balenò nella sua mente e la attraversò come un fulmine a ciel sereno "Avevo paura!" disse.
 "Beh, resti tra noi, ma anche io me la stavo facendo sotto, non per questo ho dato fuoco alla foresta!" scherzò Mallory.
 "No, no, non intendo questo! Ricordo distintamente che in entrambe le occasioni ho pensato di non potermi più muovere dal terrore! Non ero semplicemente spaventato, ma completamente terrorizzato come non lo ero mai stato in tutta la mia vita. Esattamente un attimo prima di perdere conoscenza ricordo di aver supplicato aiuto nella mia mente, e poi tutto è diventato buio".
 Mallory rifletté per qualche istante su quelle parole e alla fine concluse che dopotutto non era così impossibile la storia della modalità di sicurezza. "Quando il panico ha superato un certo limite è partito il 'programma di difesa' e tu sei diventato una specie di supereroe zombie."
 "Si ma questo come spiega l'esplosione del vaso? Di sicuro non ero spaventato in quel momento."
 "Beh, forse ha qualcosa a che fare con i tuoi stati d'animo. Magari c'è un modo per controllarli questi poteri. Prova a ripensare a come ti sentivi in quel momento."
 "Lo so benissimo come mi sentivo. Ero arrabbiato con te, e se devo dirla tutta non mi è ancora passata."
 "Devi cercare di rivivere quel momento, quelle sensazioni" insistette Mallory.
 "Certo, come se fosse facile! Ti credi che sia una cosa divertente? Beh, vuoi sapere la novità? E' spaventosa e sta capitando a me! Tu ci scherzi come fosse un gioco, sei solo un idiota!" I nervi di Elliot erano di nuovo tesi e la rabbia nei confronti di Mallory stava divampando di nuovo. Si sentiva frustrato da quella sensazione e l'ultima cosa che voleva era scherzarci sopra.
 "Bravo, continua così" esclamò il ragazzo evidentemente divertito. Elliot aveva raggiunto il limite di sopportazione. Sentiva avvampare la rabbia nel petto "Senti tu! Credi forse che sia..." ma Mallory lo interruppe di nuovo col sorriso sulle labbra e con la voce più calma che Elliot gli avesse mai sentito "Guardati il palmo della mano".

 Elliot voltò di nuovo lo sguardo e nella sua mano trovò un piccolo globo di fuoco non più grande di una pallina da tennis. Era caldo e la sua fiamma saliva leggera di un paio di spanne. Illuminava la stanza con la sua luce tenue e morbida. Elliot rimase a fissarla incredulo per un po' ammirandone ogni movimento e ogni evoluzione. Di nuovo la sua mente si schiarì e il senso di pesantezza allo stomaco svanì. "La puoi controllare Elliot, e io ti aiuterò a farlo."
 "Da quando in qua sei un esperto di magia?" Chiese Elliot senza distogliere lo sguardo dalla fiamma.
 "Non lo sono, ma sono bravissimo a far arrabbiare la gente." Provò a sorridere Mallory, ma l'altro rimase impassibile "Mi dispiace per come mi sono comportato con te in passato. Sono uno stupido, su questo avevi ragione. Ero solo invidioso della tua tranquillità". Allo sguardo perplesso di Elliot, Mallory abbassò la testa e poi continuò "Lascia stare, ma ti prometto che ti aiuterò. Andremo a salvare gli altri e troveremo il modo di tornare a casa!" I due si fissarono per qualche istante e alla fine Elliot sorrise all'amico.
 La fiamma si spense. La rabbia era svanita.


giovedì 6 gennaio 2011

Nuovi Personaggi Crescono...

Ora che la storia del primo libro è ben definita e già orientata ad una conclusione (ovviamente nella mia mente, ma ormai credo che vi sia abbastanza chiaro il significato del titolo del libro :D) sto iniziando a buttare giù qualche idea sul secondo libro.
Avendo definito l'idea alla base di questo secondo capitolo delle avventure di Elliot e Kaila, ho potuto dargli un titolo (che magari vi rivelerò prossimamente). Ho già iniziato a tratteggiare le storie che ne faranno parte e vi ho già lanciato qualche indizio in questi ultimi post che ho scritto.
Ovviamente la storia sarà molto articolata, il gruppo si separerà più volte dando origine a più storie parallele che condurranno ad un finale comune.
Per fare questo verranno creati nuovi personaggi che si affiancheranno a quelli che già conoscete, ed è proprio uno di questi il soggetto del mio post.
Ho avuto una di quelle idee strane e bislacche di cui vi parlavo nel prologo del blog: invece di descriverlo e di tratteggiarne i dettagli comportamentali, ho preferito creare un piccolo background che permetta di legarlo alla storia e poi lasciare il compito di caratterizzarlo ad Elisa Moriconi. Chi la conosce sa che è una fantastica illustratrice che già ci ha regalato una splendida pin-up di Kaila. La sua missione (qualora decida di accettarla XD) sarà di realizzare una pin-up del personaggio e poi tanti sketch che lo ritraggano in scene di vita quotidiana o in atteggiamenti particolari che ne definiscano il carattere. Non le ho dato molte linee guida, ho preferito lasciare il tutto alla sua fantasia, poi sarà compito mio creare un background e/o una spiegazione per ognuno dei suoi disegni. Ovviamente non le ho dato un limite sul numero di sketch; più ne farà, più il personaggio ne risulterà "definito". Penso che mi divertirò molto ad inventarmi le storie nascoste dietro le tavole che Elisa ci presenterà e se la cosa avrà successo potrebbero esserci altri personaggi creati con questo sistema.

Il personaggio in questione si chiamerà Mya (come il mio cane :D) e sarà una bambina di 12 anni della tribù di Hangwick. Quattro anni prima degli eventi che stiamo narrando cercò di tentare la trasformazione in lupo, purtroppo però era troppo piccola per riuscire nell'intento (questa cosa la spiegherò meglio nel libro) e pertanto rimase "bloccata" in una condizione a metà via tra il Nano e il Lupo. Questo è tutto il background che ho dato ad Elisa, mi sembra di averle lasciato ampio respiro :D
Per quanto riguarda il carattere, la sua parte umana sarà rimasta molto infantile, mentre la sua parte lupesca si sarà sviluppata parecchio (in quattro anni i lupi diventano adulti), quindi Mya avrà un forte istinto di autoconservazione, sarà molto agile, con un udito impeccabile e una buona vista notturna. Altro piccolo particolare: la ragazza non sarà in grado di parlare e quindi dovrà fare molta fatica per farsi capire dai suoi nuovi amici.
Con gli anni Mya è diventata un po' la mascotte del villaggio, ma al contempo viene considerata dagli abitanti di Hangwick come una bambina avventata e, diciamocelo, un po' stupida, pertanto nessuno vorrà darle ascolto quando avrà qualcosa di importante da comunicare... è proprio una fortuna che nel villaggio siano arrivati dei forestieri che di lei non sanno nulla ;)

Restiamo in attesa dei disegni della nostra illustratrice preferita e non disperate, dalla prossima settimana, digeriti dolcetti e panettoni, il ritmo degli episodi riprenderà regolarmente.


mercoledì 15 dicembre 2010

Il Segreto dei Lupi

Ormai Kaila era certa che i suoi sogni non fossero solo immagini confuse rielaborate dalla sua mente, ma precise visioni del futuro. Dapprima aveva incontrato quel ragazzo. Mallory. Il ragazzo che da settimane le faceva compagnia ogni volta che si addormentava. Non sapeva di preciso che aspetto avesse ma ricordava alla perfezione quel suo sorriso gentile. Adesso era lì con lei e sembrava intenzionato ad aiutarla. Avrebbe potuto barattarla in cambio dei suoi amici catturati dagli sgherri di Nikolas, ma non l'aveva fatto. Forse aveva finalmente trovato quell'alleato di cui tanto aveva bisogno. Inoltre quel suo amico, Elliot, sembrava essere un mago molto potente. Li aveva messi a riparo dagli inseguitori creando un altissimo muro di fuoco.
Ora stava avendo la conferma di quel potere, ma nel peggior modo possibile. Un'altra delle sue visioni le aveva mostrato un branco di lupi inferociti che la ghermivano ed era esattamente quello che le si stava parando davanti. Avevano trovato rifugio in una piccola radura sulla cima della collina, ma a causa della sua fretta di allontanarsi il più possibile dagli uomini dell'esercito, erano finiti nella trappola di un branco di lupo. Li stavano aspettando. Era dalla sera precedente che li sentiva ululare. Pazienti e scaltri. Avevano atteso che lei e il suo nuovo gruppo si trovassero nel loro territorio e lì li avevano sorpresi. Erano circondati.
Kaila ne aveva contati quattordici, ma non era sicura di riuscire a vederli tutti. Inoltre la barella della ragazza con la gamba rotta li metteva in condizione di non potersi mettere schiena contro schiena. Non avevano modo di difendersi. Inoltre Elliot non sembrava in grado di replicare il miracolo del fuoco. Erano soli. Erano perduti.

I lupi si erano disposti a cerchio intorno ai ragazzi. Sguardo fisso sulle prede. Ringhiavano. Sbavavano. Aspettavano solo un gesto del capo branco. L'autorizzazione ad attaccare. Il permesso di ammazzare. Si avvicinavano lentamente. Un passo alla volta. Le nuvole coprirono la luna.
Gli occhi affamati e crudeli dei lupi scintillavano al buio. Uno di loro, il più grande, con il suo lucente pelo argentato, si avvicinò in direzione di Kaila. Era di sicuro lui il capo branco e aveva scelto la sua preda. Gli altri si sarebbero dovuti accontentare degli avanzi. Il respiro di Kaila si fece affannoso. Il terrore le immobilizzava i movimenti. Sentiva da dietro le voci dei suoi compagni che imprecavano. Elliot tentava in tutti i modi di lanciare un incantesimo ma non c'era verso. Forse nella paura la magia annegava. Eppure doveva esserci qualcosa. Un modo. Non poteva finire così.
Le venne da piangere. Non per paura, ma per rabbia. Frustrazione. Era quello il sentimento che annebbiava la mente di Kaila. Aveva tanti progetti, tante cose da fare. Voleva ritrovare le sue origini, l'isola perduta di Andalia. Probabilmente se avesse letto il diario della madre quando ne aveva avuto l'occasione adesso avrebbe saputo cosa fare. Forse avrebbe saputo del pericolo e avrebbe scelto una strada diversa. Magari avrebbe portato qualcosa. Qualche arma per tenere a bada i lupi. Forse avrebbe potuto nascondere la refurtiva altrove. Certo, in quel caso non avrebbe incontrato i suoi nuovi amici, ma almeno sarebbe sopravvissuta.

Il cuore le batteva all'impazzata. Lacrime silenziose le scesero lungo le guance e caddero nel vuoto. Volare via. Ecco cosa avrebbe voluto. Un salto da una torre o da un burrone, qualcosa di scenico ed emozionante. Qualcosa di gestibile. Qualcosa che potesse metterla in salvo. Strinse forte il pugno sulla piccola chiave che portava sempre appesa al collo. Strinse fino a sentire il freddo metallo penetrarle nelle carni. Una lieve goccia di sangue le inumidì il palmo della mano e scivolò lungo il braccio.
Il lupo argentato spiccò il balzo. Agile e veloce. Aveva una certa grazia in quel movimento così mortale. Le fauci spalancate puntarono verso la candida gola di Kaila. La ragazza strinse gli occhi con tutta la forza possibile come per fuggire da quell'orrore. Non vide il lupo azzannarla. Non lo sentì neanche. Senti solo una specie di ruggito e poi il guaire di un animale ferito. Un lamento riconducibile più ad un cane bastonato che ad un lupo feroce.
Aprì gli occhi e vide un altro lupo dal mantello bruno. Si era avventato sul capo e lo aveva morso alla gola. Non con forza. I denti del suo salvatore erano stretti abbastanza da tenere fermo il lupo argentato ma non abbastanza da lacerargli la cute. I due lupi si rotolarono nella terra come due ragazzini in una zuffa. Si alternavano l'uno sopra all'altro. Cercavano di mordersi a vicenda senza successo.
Quella specie di balletto andò avanti per qualche minuto. Kaila rimase per tutto il tempo con il fiato sospeso. Non capiva se il nuovo arrivato volesse salvarla o semplicemente reclamare il posto di capo branco. La lotta era rapida e feroce. I due animali erano veloci e forti. Sembravano equivalersi. Il lupo argentato cercò di addentare la zampa posteriore del suo avversario che scansò l'attacco allontanandosi di qualche passo. Il branco attendeva l'esito dello scontro senza muovere un pelo. Alcuni si erano messi seduti. Uno si stava grattando via qualche pulce con la zampa. Altri si erano sdraiati a terra e sembravano fermamente intenzionati ad appisolarsi.
I due contendenti si fissarono a lungo ringhiando e mostrando i denti. Il vincitore di quello scontro avrebbe deciso la loro sorte e Kaila in cuor suo stava facendo il tifo per il lupo bruno. Sorrideva ogni volta che questo assestava un colpo al lupo argentato. Si incupiva quando invece aveva la peggio. Non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto di loro il suo paladino se avesse vinto, ma di sicuro sapeva quali erano le intenzioni dell'altro. Meglio puntare sulla speranza di salvezza che arrendersi all'inevitabilità della morte.
La situazione era in stallo. I due animali si fronteggiavano e si minacciavano ma nessuno sembrava voler sferrare l'ultimo attacco. Il lupo argentato alla fine si decise e puntò diritto al ventre dell'altro. Il colpo andò a segno. Il lupo bruno si girò di scatto con uno sguardo omicida e assestò un pugno sul muso dell'altro. Un pugno? I lupi possono dare pugni? Da quel che Kaila ricordava, per dare un pugno bisognava avere a disposizione almeno una mano. Meglio se di mani se ne hanno due, così con l'altra si può parare il contrattacco dell'avversario. Ma i lupi non avevano le mani, avevano le zampe. Eppure lei aveva chiaramente visto un pugno.
A guardare bene adesso quel lupo si reggeva con le gambe su due... piedi... aveva mani e piedi e non sembrava più tanto un lupo. Il muso era 'giusto', ma tutto il resto era sbagliato. Un lupo con braccia, gambe e dorso. O forse un uomo con il muso. Un uomo piccolo. Molto piccolo. Un metro o poco più. Guardando con più attenzione anche l'altro aveva sembianze umane. Il muso. Kaila se lo ricordava decisamente più lungo mentre le ringhiava e le puntava il collo con sguardo famelico.
Perplessa si girò e si guardò in torno. I lupi erano spariti. Al loro posto c'erano degli omuncoli seduti, sdraiati o accucciati. Tutti visibilmente annoiati. "Quando avete finito di litigare, voi due, potreste darci delle spiegazioni?" chiese una voce da dietro di loro. I lupi parlano anche?
"Karl! Holtz! Piantatela di fare i ragazzini" disse un'altra voce. Uno dei due contendenti -era difficile ormai distinguerli visto che non avevano più il manto ma della semplice e banale pelle- spinse l'altro contro il tronco di un albero e ce lo tenne bloccato premendogli con l'avambraccio sulla gola. "Lei no! Non è un pericolo! Possibile che tu non l'abbia riconosciuta?"
L'altro 'lupo' guardò in direzione di Kaila. La sua espressione si rilasso e i suoi movimenti si calmarono. "S-sei sicuro che sia lei? La ragazza dagli occhi dorati? Quella della profezia?"
"Già! E per poco tu non la sbranavi!"
"Non è colpa mia. Non è che abbia un cartello in fronte con scritto 'Ehi, guardatemi, sono la prescelta'. Tu come fai ad esserne sicuro?"
"Occhi dorati! Ciondolo a forma di chiave! Due ragazzi vestiti strani al suo seguito! Ti dice niente?"

Evidentemente gli diceva qualcosa, perché il nano immobilizzato abbassò lo sguardo e distese le braccia. Un chiaro gesto di resa. Avevano un vincitore! Kaila lo guardò con più attenzione e distinse i capelli corti e ricci. Erano bruni come il manto del lupo che le era venuto in soccorso. La luna fece capolino dalle nuvole e lo illuminò meglio. Aveva profondi occhi blu e un naso molto pronunciato. Il volto coperto da cicatrici che nascondevano la sua età, ma sembrava discretamente giovane. L'altro invece -ora Kaila lo vedeva bene- aveva capelli grigi ed occhi verdi. Il capo branco.
"Vi chiedo scusa per il comportamento di mio fratello!" disse il lupo bruno. "Mi chiamo Holtz e insieme ai qui presenti facciamo parte della comunità Hang-Wick, ovvero dei Nani Lupo".
Dalle sue spalle Kaila sentì alcune voci. Alcuni dicevano il loro nome, altri semplicemente accennarono un saluto con un gesto della mano. "Non volevamo spaventarvi! O meglio, volevamo! Ma solo perché temevamo che foste degli aggressori! C'era giunta voce di alcuni soldati che circolavano sulla nostra collina!"
Kaila era confusa. Ancora non riusciva bene ad inquadrare la situazione. Gli occhi avevano visto delle cose che la mente non riusciva ad interpretare. Rimase muta ed imbambolata. Guardò il suo ciondolo e si accorse che lo aveva lasciato e che era sporco di sangue. Non realizzò subito che quel sangue fosse il suo, pertanto lo afferrò spaventata come se volesse proteggerlo. Il nano Holtz doveva aver intuito i suoi pensieri. Si avvicinò e le sorrise. "Non avere più paura. Non ti faremo del male. C'è stato un malinteso, ma noi vi aspettavamo da tanto tempo ormai. Pensavamo foste dei soldati, per questo vi abbiamo attaccato". Soldati. Quella parola risvegliò qualcosa nella mente di Kaila. "I soldati. Ci stanno inseguendo!"
Urlò quasi con le lacrime agli occhi. Tutta la tensione, il nervosismo e la paura si sciolsero nelle sue lacrime. "Non ti preoccupare. Ora siete sotto la nostra protezione. Vi porteremo nel nostro villaggio".
"Ehm, Holtz, giusto?" si intromise Mallory "Non è per fare il guastafeste, ma quei soldati hanno catturato due nostri amici. Non è che potete aiutarci a salvarli? Sempre se non è di troppo disturbo" concluse con voce preoccupata.
"Come ti chiami ragazzo?" fece Holtz.
"Mallory, lui è Elliot e la ragazza nella barella è Lara. Ora che abbiamo fatto le presentazioni possiamo andare a salvare i nostri amici?"
Holtz guardò alle spalle dei ragazzi e fece un cenno con la testa. Otto nani si ritrasformarono in lupi e scattarono tra i tronchi degli alberi. I loro passi veloci erano quasi impercettibili e in breve furono lontani dalla vista. "I miei uomini si occuperanno dei soldati. Altri compagni stanno già setacciando la collina. Li troveremo. Intanto vorrei che mi seguiste. La vostra amica Lara sembra aver bisogno di cure e sono più che sicuro che il nostro capo villaggio sarà molto felice di vedervi".

Mallory non sembrava essere particolarmente d'accordo, ma Elliot riuscì a trovare il modo di farlo stare buono. Lara adesso era la priorità. Poi sarebbero potuti andare a cercare gli altri. A conti fatti, cosa mai avrebbero potuto fare due ragazzini soli contro due soldati esperti? Era il momento di ritirarsi e di curare le ferite. Lara era in quelle condizioni da quasi due giorni e il suo fisico si era molto indebolito. Ormai era priva di coscienza da ore, tremava e sudava freddo. Mallory guardò la ragazza per qualche istante e si arrese.
Holtz aveva osservato la scena in silenzio. Non sembrava voler imporre a nessuno il suo volere. Probabilmente se solo ne avessero espresso il desiderio, li avrebbe lasciati andare. Kaila cominciava lentamente a riprendersi. Più recuperava lucidità e più domande si affollavano nella sua mente. Ricostruì a mente il discorso fra Holtz e suo fratello. Prescelta. Profezia. Ciondolo. Parole che rimbombavano nella sua testa e alle quali lentamente cercava di dare un senso. La attendevano da tempo. Sapevano del suo arrivo come lei sapeva che sarebbe stata aggredita da loro.
Si maledì per l'ennesima volta per non aver ancora trovato il tempo di leggere il diario. Era sicura che lì avrebbe trovato tutte le risposte di cui aveva bisogno.
Si incamminarono lentamente verso valle. Mallory ed Elliot avevano stoicamente sostenuto il peso di Lara per tutto il tempo senza mai abbandonarla. Adesso però due nani del gruppo si erano offerti di dar loro il cambio e i ragazzi avevano accettato con titubanza. Ancora non si fidavano dei nuovi arrivati, ma materialmente erano troppo stanchi per rifiutare l'aiuto. Adesso i due ragazzi camminavano al fianco di Kaila come per proteggerla. Lei dal canto suo era tranquilla, non si sentiva più minacciata, ma le fece piacere quel semplice gesto di amicizia.

Seguirono Holtz ed i suoi uomini per quello che sembrò un tempo infinito. La luna era di nuovo coperta e facevano fatica a vedere la strada. I nani sembravano non aver alcun tipo di problemi, mentre Kaila continuava ad inciampare. Ogni volta che perdeva l'equilibrio Elliot e Mallory si litigavano il privilegio di poterla sorreggere e Kaila ne fu lusingata. Seguirono un percorso a tornanti che ricordò a Kaila l'inizio del viaggio col fratello. Felz. Se ne era quasi dimenticata. Anche il fratello poteva essere in pericolo e di sicuro lei non sarebbe riuscita a tornare indietro in tempo per il loro appuntamento. "Scusami, Holtz, mio fratello potrebbe essere in pericolo e mi chiedevo..." il nano non le lasciò il tempo di concludere la frase "Dove si trova adesso?"
"Stamattina è partito per Salingar, a quest'ora sarà arrivato".
"Non ti preoccupare, manderò qualcuno ad avvisarlo e in caso a soccorrerlo". Si voltò e indicò una direzione ad un paio di nani "Recuperate quelli del clan di Jeshua e recatevi a Salingar". In tutta risposta i due si trasformarono in lupi e sparirono tra le ombre bella foresta.
"Ma non dovreste aver bisogno della luna piena per trasformarvi?" chiese Mallory guardando stupito la scena. "Cosa intendi ragazzo?" Holtz sembrava incuriosito dalla domanda e anche Kaila non ne capiva il motivo. "Dalle nostre parti c'è una leggenda su degli uomini che con la luna piena si trasformano in lupi. Li chiamiamo Licantropi". Holtz sembrava ancora più perplesso e non sapeva che dire. "Noi non siamo... come li hai chiamati? Licontrapi? Noi siamo Mutaforma". Questa volta fu Karl a parlare mentre fu il turno di Mallory per assumere un'aria perplessa. Kaila conosceva diverse storie sui mutaforma. Suo fratello gliele raccontava da piccola per spaventarla. Non ne aveva mai visto uno dal vero ma conosceva i loro poteri. "I mutaforma, che siano uomini, nani od orchi, possono trasformarsi in quello che vogliono ma da piccoli scelgono una determinata forma e le rimangono fedeli per il resto della vita". Mallory sembrò quasi del tutto soddisfatto della spiegazione di Kaila. "Quindi potete assumere tutte le forme che volete ma vi trasformate sempre e comunque in lupi?". Holtz era divertito dal discorso. "Beh, meglio lupi che pipistrelli, no?" Mallory non capì subito la battuta, ma gli altri nani la trovarono molto divertente. "Uff, secoli e secoli di leggende da stracciare!" Sentenziò alla fine.

Arrivarono infine in una piccola radura circondata da querce secolari. Le alte ed imponenti chiome non permettevano la vista del cielo. Quel posto doveva essere molto buio anche in pieno giorno. Mallory estrasse una strano bastoncino di metallo dalla sua sacca, ne girò la punta e da quella scaturì una piccola luce. Kaila non aveva pensato che anche Mallory potesse saper usare la magia, ma dopotutto non doveva esserci nulla di strano visto quello che era in grado di fare Elliot. Il piccolo fascio di luce vagò sperduto nel buio della radura senza mai incontrare nulla se non i volti infastiditi dei nani. Kaila si guardava in giro ma non capiva perché si fossero fermati lì, eppure sentiva che qualcosa le stava sfuggendo.
Tutti gli astanti sghignazzavano divertiti all'indirizzo dei tre ragazzi perplessi. Holtz prese Kaila per le spalle e la girò lentamente verso la parete e fu allora che la vide. Una enorme apertura nella roccia. Una grotta gigantesca. Grande abbastanza da permettere il passaggio di un paio di troll uno sulle spalle dell'altro. Era lì davanti ai suoi occhi eppure non l'aveva notata. "E' un filtro di percezione" disse Holtz leggendo lo stupore nei suoi occhi. Anche Mallory ed Elliot rimasero sbigottiti nel vederla. "Una magia per renderla invisibile?" chiese Elliot. "Magia si, invisibile no! Su questa radura è stato imposto un sigillo che non ti fa venir voglia di guardare nella direzione dell'ingresso. Tu ci passi davanti e semplicemente non la noti. Per rendere una cosa invisibile serve un afflusso continuo di magia, mentre per un sigillo basta l'energia del momento dell'imposizione. E' decisamente più semplice e meno impegnativo" spiegò allegro Holtz davanti ai volti stupefatti dei ragazzi.
Il gruppo entrò nella grotta seguendo i passi esperti di Holtz. Uno dei nani si avvicinò alla parete, vi appoggiò sopra la mano e pronunciò poche incomprensibili parole. Fuochi e fuochi si accesero lungo le pareti della grotta. Le fiaccole presero vita e irradiarono la loro luce in tutta la galleria. Ormai Kaila non sapeva più come esprimere il suo stupore. La grotta aveva le pareti levigate, i porta-fiaccole erano situati a distanze regolari e il pavimento era perfettamente piatto e ricoperto di brecciolino. Quella non era opera di madre natura, bensì il frutto di un lavoro minuzioso. La temperatura si alzava man mano che avanzavano e il suo corpo intorpidito iniziò a recuperare sensibilità. Sentì uno ad uno tutti i lividi e i graffi che si era procurata in quell'interminabile giornata. Si sentì debole e affamata. Il pericolo adesso era veramente scampato e il peso della stanchezza le piombò addosso come un macigno.
La galleria si concluse con un'apertura che dava su un enorme balcone. Ai lati c'erano due sontuose scalinate che permettevano di scendere di una ventina di metri. Elliot e Mallory corsero al parapetto e urlarono il loro stupore. Si appoggiarono di peso sulla balaustra per sporgersi di più. Kaila si avvicinò lentamente e alla fine si intromise tra i due. Sotto di loro si estendeva una grande città di case in pietra e strade in terra battuta. I tetti rossi a fungo ricordavano quelli del borgo dal quale si era separata quella mattina. Mercati. Ville. Negozi. Luoghi di culto. In alto una sontuosa volta sorreggeva il peso della collina e al centro una specie di enorme gemma irradiava una luce calda su tutta la città.
Quella era Hangwick. La vera Hangwick. La città dei Nani Lupo.