sabato 27 novembre 2010

Tra Sogno e Realtà

I sogni sono da sempre un argomento strano. In teoria tutti sognano, è un processo naturale con cui il cervello rielabora le informazione che ha incamerato. Di solito poi il risveglo provvede inesorabilmente a cancellarne il ricordo preciso, ma qualcosa rimane. Una sensazione. La traccia che i sogni lasciano nell'anima.
Ad Elliot non era mai rimasta nessuna traccia nell'anima. Dubitava persino della sua esistenza. Quando alle elementari una sua insegnante affidò alla classe un tema da scrivere sul loro sogno più bello, lui non riuscì a scrivere nulla. Il voto più basso della sua vita.
Quel giorno Elliot rimase basito non tanto dal suo voto, quanto dai temi dei suoi compagni. Raccontavano storie incredibili con dovizia di particolari. Molti probabilmente avevano inventato di sana pianta. Altri avevano semplicemente esagerato un po'. Eppure tutti avevano qualcosa da raccontare. Tutti tranne lui. Non che gli mancasse la fantasia, però non sapeva proprio da dove cominciare. Per inventare qualcosa bisogna avere delle basi, degli elementi su cui costruire la storia. Lui semplicemente quelle basi non le aveva. Elliot Summer non aveva mai sognato.
La cosa non lo aveva mai turbato più di tanto. Come tutte le persone che non riescono a fare qualcosa, aveva deciso che i sogni non erano poi tanto importanti. Quando con gli amici si finiva a parlare di sogni, semplicemente lui cambiava argomento. A volte cercava di nascondere l'invidia col sarcasmo. Prendeva in giro gli altri per la loro ignoranza, perché credevano che quei ricordi costruiti potessero avere un qualche significato.
Elliot si sentiva privato di qualcosa. Un elemento che legava tutti tranne lui. Probabilmente i suoi genitori avrebbero saputo trovare una spiegazione, però esisteva anche la possibilità che la cosa li facesse preoccupare più del necessario. Preferì quindi evitare di parlare con loro di questa sua mancanza. Ogni tanto si faceva passare sotto banco qualche sogno dal suo amico Peter, così da poterlo usare in qualche discorso. I suoi come al solito dimostravano un falso interesse in quello che raccontava, così lui capiva che era riuscito a dargliela a bere. Era riuscito a fargli credere di essere un bambino normale.

Il giorno in cui Anna, sua madre, aveva parlato a cena delle chiavi di Casale Spavento, qualcosa si era spezzato. La consuetudine si era interrotta. Elliot aveva sognato. Non era un grande esperto di sogni, eppure quello sembrava proprio un ricordo. Un ricordo molto sfumato, quasi sbiadito. Antico. Al risveglio non gli era rimasta solo la sensazione di aver sognato, ma il ricordo di ciò che era successo. Leggero come una piuma. Volatile. Eppure c'era. Un ricordo nuovo, non suo, ma pur sempre un ricordo.
Quella magia continuò a ripetersi ogni notte. Sempre lo stesso sogno. Sempre lo stesso ricordo. Ad ogni replica le immagini diventavano più nitide, i contorni meno sfumati, le sensazioni sempre più vivide. Quel singolo evento si radicò completamente nella memoria di Elliot. Ormai era impossibile distinguerlo da un qualsiasi altro ricordo. Pensandoci razionalmente sapeva di non aver mai vissuto un'esperienza simile, eppure quel ricordo era reale, forse anche più degli altri. Troppi dettagli. Troppe sensazioni. Non poteva esserselo immaginato.
Ricordava con precisione la forma di quella stanza. Una cupola sorretta da quattro archi incrocati che poggiavano direttamente sul pavimento. Non c'erano colonne a dare altezza a quella camera, c'era solo la cupola. Tutto era in marmo bianco. Elliot si sorprese a ricordare persino le nervature argentee che solcavano il bianco assoluto dei lastroni che ricoprivano le pareti. Otto in totale, otto spicchi di parete separati dai possenti archi.
La precisione geometrica di quella cupola era interrotta soltanto da quella che sembrava essere una porta. Un piccolo arco a sesto acuto poggiato su due esili colonne dava l'idea di un passaggio. Di qualcosa che doveva essere possibile attraversare. Pertanto stonavano un po' quei grossi massi di pietra squadrati posti a riempire quell'apertura. Elliot sentiva ancora nelle narici l'odore della malta fresca che era stata usata per tenerli insieme. Era evidente che chiunque li avesse fatti entrare, non voleva più farli uscire. Erano sigillati dentro quella prigione di marmo.
Elliot non era solo, c'erano altre persone con lui. Col tempo capì che erano tutti giovani, più o meno della sua età. Indossavano tutti la stessa tunica scura con il simbolo di una montagna sovrastata da una falce di luna. I grandi cappucci coprivano quasi per intero i loro volti, ma Elliot imparò a distinguerli uno ad uno. Le loro altezze, i loro occhi, la loro postura, persino la forma delle loro mascelle.
Erano tutti in piedi su quel pavimento fatto da grandi lastroni di pietra. Si erano disposti a circonferenza. Ognuno aveva davanti un piccolo falò che illuminava la stanza proiettando le loro inquietanti ombre sulle pareti circostanti. Stavano tutti intorno ad un enorme cilindro, anch'esso di pietra, che sembrava uscire direttamente dal terreno. Era poco più alto di loro e c'erano dei simboli strani incisi sopra. Un testo molto fitto in una lingua sconosciuta formava una stretta spirale che ricopriva tutta la superficie della roccia.
Nonostante sapesse che nella stanza ci fossero un totale di quindici persone compreso lui, dalla sua posizione Elliot riusciva a vederne solo otto. Erano tutti ragazzi tranne la persona che stava alla sua sinistra. La tunica abbastanza aderente tradiva le sue forme femminili. Il suo sguardo era spaventato ma, a differenza degli altri, non provava astio nei suoi confronti. Nell'unico istante in cui i loro occhi si incrociarono gli concesse anche un abbozzo di sorriso.

Si presero tutti per mano formando un cerchio perfetto. Erano tutti terrorizzati. Anche Elliot sentiva quel bruciore alla bocca dello stomaco. Quella sensazione di ansia che ti toglie il respiro. Eppure in lui c'era anche qualcos'altro che col tempo identificò come senso del dovere. C'era anche una punta di orgoglio. Piccola, insignificante e sommersa dal terrore, ma c'era. Fu proprio quella piccola scintilla in fondo al suo cuore che gli diede la forza di alzare lo sguardo verso la pietra ed iniziare a leggere.
L'inizio del testo era proprio di fronte a lui e, cosa inspiegabile, si rese conto di essere in grado di capire cosa ci fosse scritto. Riusciva ad associare dei suoni, anch'essi incomprensibili, a quei simboli sconosciuti. Dalla sua bocca si levò una lenta litania che lasciava un sapore amaro sulla lingua. Man mano che andava avanti nella lettura, si accorse che la pietra aveva inizato una lenta rotazione su se stessa che gli permetteva di avere sempre cose nuove da leggere di fronte a se. Quando l'inizio del testo passava davanti ad uno dei suoi compagni, anche questo iniziava a leggere. Quindici litanie tutte uguali, con la stessa cadenza e con la stessa velocità, ma ognuna sfasata dalle altre di pochi secondi. Tutte quelle voci insieme si mischiavano rendendo le parole ancora più incomprensibili.
Ogni volta che terminavano di leggere, ricominciavano da capo. Ad ogni giro, la pietra accellerava la sua rotazione. Sempre più veloce. Elliot faceva quasi fatica a distinguere le parole sulla pietra, ma ormai le sapeva a memoria. Il canto continuava ininterrotto. Sempre più misterioso e terribile.
Un leggero venticello sembrò alzarsi nella stanza. I quindici falò iniziarono a bruciare con più intensità. Le fiamme divennero alte quanto i ragazzi che vi stavano di fronte. La legna si consumò completamente in pochi istanti. Le fiamme si spensero all'improvviso, ma la luce rimase. Sempre più forte. Intensa. Accecante. Grandi scariche elettriche avvolgevano il cilindro di pietra. La litania rimase costante ma venne coperta dal sibilo della pietra che strideva sul terreno.
Il cilindro era ormai un unico ammasso di luce. Sporadiche scariche si staccavano dal centro e andavano a colpire gli archi della cupola formando degli strani giochi di luce. Il volume della litania si alzò per sovrastare il rumore. Dal cilindro partirono quindici fasci di luce che colpirono in pieno petto i ragazzi. La luce divenne assoluta. Totale. Le coscienze si fusero in un unico agglomerato di energia. E poi più nulla. La luce sfumava. L'oblio sopraggiungeva. Maestoso e avvolgente. La sensazione di vittoria segnava il momento del risveglio.

Quella mattina l'inquietudine era più forte del solito. Elliot si sentiva nervoso. Irascibile. A colazione quasi non rivolse la parola a nessuno. Quando suo fratello Edward gli lanciò un giocattolo per attirare la sua attenzione, gli urlò con così tanta cattiveria che lo fece mettere a piangere. Quando Harry apostrofò il suo comportamento inappropriato, Elliot si limitò a bofonchiare delle scuse per poi alzarsi e andarsene.
Gli dispiaceva per come aveva reagito, ma non era riuscito ad evitarlo. C'era qualcosa di sbagliato in quella giornata che lo metteva a disagio. Sentiva l'adrenalina invadere il suo corpo. Era arrabbiato senza motivo. Quando il bulletto della scuola, quel Mallory, venne ad attaccar briga, Elliot sfogo tutta la sua rabbia. Assestò un pugno sulla guancia del ragazzo con tutta la forza che aveva in corpo. Provò un piacere immenso e sbagliato nel vederlo sputare un dente. Si sarebbe avventato anche su Coso e Cosetto se non fosse arrivato il professor Stevens a fermarlo.
Il suo odio silenzioso continuò tutto il giorno. Quando poi si ritrovò faccia a faccia con Mallory nell'aula punizioni non lo degnò neanche di uno sguardo. Il suo nervosismo gli permise anche di essere cinico e sarcastico con Lara, di solito era il contrario. Provò di nuovo quel piacere distorto ad umiliarla davanti al professore. Riuscì persino a strappare un mezzo sorriso a Mallory. E poi accadde. Gli altri discutevano animatamente su Casale Spavento. Decidevano se era il caso di organizzare lì la festa di Halloween, quando Lara e Mallory si misero a litigare. In un flash Elliot rivide la stanza. Le quindici persone. Sentì quella litania nelle orecchie. Chiuse gli occhi con forza per cacciare via quell'immagine. Nella sua mente regnava la confusione, ma una voce era distinguibile. Sovrastava le altre. Era sua madre. Un ricordo di un paio di settimane prima. Il giorno in cui i sogni erano iniziati, sua madre a cena aveva parlato di Casa Madison. Casale Spavento. Prima di addormentarsi il suo ultimo pensiero fu che aveva le chiavi di quella casa.
Evidentemente aveva ripetuto quel pensiero a voce alta, perché tutti si erano zittiti e lo fissavano. Mallory sembrava eccitato mentre Lara sorrideva un po' spaventata. Uscendo dall'aula Elliot fu raggiunto dal bulletto che non sembrava interessato a picchiarlo come suo solito. Voleva quelle chiavi e lui gliele avrebbe dovute fornire.

La sensazione di inquietudine si faceva più forte ogni minuto che passava. Corse dal suo amico Peter per chiedere aiuto. Aveva bisogno di sfogarsi. Aveva bisogno di sostegno. Tutta l'adrenalina che aveva in corpo si sprigionò nell'atto della corsa. Una volta raggiunto l'amico quasi vomitò l'anima, ma si sentì meglio. Più calmo. Più sereno. Da sempre Peter gli faceva quell'effetto. Si sentiva completato. Lui era quello impulsivo mentre l'amico era quello razionale. Si misero d'accordo per vedersi quella sera. Peter non sembrava molto felice all'idea, ma Elliot sapeva che non lo avrebbe mai abbandonato nel momento del bisogno.
Con l'animo meno agitato e la mente più lucida, si rese conto che sì, la madre aveva le chiavi, ma questo non significava che lui potesse prenderle a sua discrezione. Avrebbe dovuto sottrarle di nascosto. E questo significava altri guai. Inoltre in quindici anni non aveva mai fatto niente del genere. Mai una volta aveva deluso i suoi genitori. La sensazione di inquietitudine tornò più forte di prima.
Quella sera a cena non alzò lo sguardo dal piatto, si sbrigò a finire di mangiare e sgattaiolò in camera sua. Aveva appuntamento alle nove con Peter. Erano le otto passate e lui non aveva la più pallida idea di dove iniziare a cercare. Qualcuno bussò alla porta. Due deboli colpetti. Doveva essere Edward che come al solito era in vena di scherzi. Aprì la porta controvoglia. Il fratello era lì davanti, silenzioso. Aveva lo sguardo basso. Indossava ancora il suo bavaglino e teneva per mano un orsacchiotto poco più basso di lui.
Elliot si spazientì in fretta. Edward non sembrava intenzionato a proferire verbo. "Che cosa vuoi?" lo incalzò. Il piccolo alzò gli occhi verso il fratello maggiore. Era triste, sul punto di piangere. Sembrava sconvolto. Alla fine si decise a parlare stringendo a sé il pelouche che aveva portato "Te ne vai?" chiese con voce quasi disperata. "No, non vado da nessuna parte, adesso se non ti dispiace dovrei fare i compiti" rispose asciutto Elliot. "No, non è vero, tu te ne vuoi andare. Me l'ha detto il tizio col cappuccio" il cuore di Elliot perse un colpo. Una tremenda sensazione di aridità alla bocca dello stomaco gli fece venire la nausea. "Q-quale tizio col cappuccio?" chiese con ansia. "Mi ha detto che avevi bisogno di queste" aprì la zip sul dorso dell'orsetto e ne estrasse un mazzo di chiavi con un portachiavi a forma di spirale "Vero che però poi torni?" concluse Edward trattenendo a stento le lacrime.
Suo fratello gli voleva bene. Gliene aveva sempre voluto. Era la sua ombra. Stimava Elliot come fosse un eroe e non voleva perderlo. Quel pensiero intenerì il ragazzo che si inginocchiò per avere gli occhi all'altezza di quelli del fratellino "Tornerò, te lo prometto" Edward ritrovò il sorriso e lanciò le braccia al collo del fratello stringendolo con tutta la forza che un bambino di quattro anni può avere. Quando si staccò lascio cadere le chiavi e scappò in camera sua.
Elliot raccolse il mazzo da terra e richiuse la porta. Fissò per qualche minuto il portachiavi a spirale. Un problema si era risolto da solo. Aveva come la sensazione che qualcosa di più grande avesse iniziato a muovere i fili della sua vita. Si distese un attimo sul letto per scacciare via quel pensiero.

Alle nove meno un quarto Elliot era pronto, aveva preparato lo zaino con il cambio per la notte. Aveva detto ai suoi che sarebbe andato a passare la notte da Peter. Cosa che avrebbe fatto subito dopo aver portato Mallory a Casale Spavento. Scese le scale con calma. Assaporò ogni gradino. C'era qualcosa dentro di sé che lo tratteneva a casa. Non voleva andare. Aveva paura.
Anna lo aspettava ai piedi delle scale. Gli aveva preparato un fagotto con gli avanzi della cena e alcune fette di torta. "Mamma, vado solo a dormire da Peter, non ne ho bisogno" provò a dire. Dopotutto non era la prima volta che andava a dormire dall'amico. Che bisogno c'era di portarsi da mangiare? "Beh, non si sa mai quello che può succedere" era visibilmente preoccupata, ma non sembrava volerlo fermare. Elliot quasi ci sperava. Forse se avesse detto qualcosa di cattivo la madre lo avrebbe messo in punizione e non sarebbe dovuto uscire. Non fece in tempo. Anna interruppe il flusso dei suoi pensieri "C'è tuo padre che ti vuole vedere. E' in laboratorio" disse "Ma io dovrei andare, c'è Peter che mi aspetta, poi i genitori si preoccupano" cercò di protestare "Ci vorrà solo un minuto vedrai" e si chinò a baciargli la fronte. Un bacio lungo. Sembrava spaventata. Anche lei. Cosa avevano tutti da essere spaventati. Era lui quello che doveva andare a Casale Spavento, non gli altri. Cercò di divincolarsi, abbozzò un sorriso e si diresse verso il garage.
Le luci del laboratorio erano spente. Elliot sentì alcuni rumori metallici provenire dal fondo. All'improvviso si accese una lampadina "Finalmente! Non riuscivo a trovare le lampadine nuove, quella vecchia si è fulminata" disse Harry "Mi volevi vedere?" chiese spazientito Elliot "Oh, si! Ho qualcosa per te". "Non potresti darmela domani? Adesso devo andare da Peter" guardò l'orologio da parete. Erano le nove in punto. Peter era già all'ingresso di Cherrydale ad aspettarlo e lui come al solito sarebbe arrivato in ritardo.
Harry ignorò l'impazienza del figlio. Tirò fuori dal cassetto quello che sembrava essere un vecchio orologio da taschino "Sai, è per via di questo che io e la mamma ci siamo conosciuti. Un giorno me ne stavo per i fatti miei quando uno strano ragazzo con un mantello mi venne addosso. Non si fermò neanche a chiedermi scusa. Questo orologio deve essergli caduto di tasca ma quando lo raccolsi era già sparito." accennò un sorriso con gli occhi carichi di nostalgia "Decisi di tenerlo come risarcimento!" sembrò volersi giustificare "Insomma me ne stò sul ponte di Hummingdale a giocherellare con questo coso che tra l'altro era pure rotto quando mi scivola dalle mani. In quel momento tua madre passava lì sotto e la presi proprio in testa" Elliot voleva che il vecchio tagliasse corto, ma dalla felicità con cui raccontava non sembrava intenzionato a farlo. "Devo averle rotto qualcosa in testa quel giorno, altrimenti non si spiega il perché abbia accettato di sposarmi!" era quasi commosso da quel ricordo.
"Vorrei che lo prendessi tu! Spero che ti porti la stessa fortuna che ha concesso a me!" Elliot non sapeva che dire. Non gliene fregava niente di quel ninnolo. Voleva solo chiudere quella storia. O gli impedivano di uscire, o lo lasciavano andare. Cobtinuare a torturarlo in quella maniera non aveva senso. Si limitò a sorridere e a ringraziare. Infilò di fretta l'orologio nella borsa e si incamminò verso la porta. "Fai attenzione e in bocca al lupo!" furono le ultime parole di Harry "Ma cosa avete tutti stasera? Sto solo andando a dormire da Peter" sbottò spazientito, ma Harry si limitò a sorridire. Elliot gli rispose tra sé e sé "Crepi!"

Peter non protestò per il ritardo dell'amico. Probabilmente se lo aspettava. La strada verso Casale Spavento fu accompagnata dal silenzio e dal buio. Per la prima volta in vita sua fu grato per la presenza di Mallory. Aveva portato una torcia. A lui proprio non era venuto in mente. Lara lo guardò con superiorità mentre estraeva la sua. Elliot si chiese per l'ennesima volta perché ce l'avesse tanto con lui. Non gli sembrava di averle fatto niente di male.
La casa era buia e fredda ma si sentiva tranquillo. O almeno così fu finché non si accorse che Peter era sparito. Si girò a cercarlo con lo sguardo, ma era troppo buio. Cercò di fermare gli altri per andarlo a cercare, ma quando si voltò gli si materializzò davanti un'enorme colonna di luce. Una nebbia fitta e dorata che iniziò a corrergli incontro. L'urlo esplose dalla sua gola. Lara e Mallory si voltarono per cercare di capire cosa fosse successo. Elliot era paralizzato dallo spavento. Fu Mallory a riscuoterlo urlandogli "Corri!".
I tre si ritrovarono a scappare compatti verso l'uscita. Elliot si voltò a cercare di identificare il loro inseguitore e si accorse che Peter era ricomparso dietro di loro. Come se non se ne fosse mai andato. Corsero a perdifiato cercando di evitare tutti quei cosi, quei, beh, fantasmi, come altro chiamarli. La luce era intensa e tutta intorno a loro. Elliot non capiva più quanti ce ne fossero di questi fantasmi e dove si trovassero. Si accorse a malapena di essere stato sorpassato da Peter. Se ne rese conto quando lo vide spiccare un balzo. E poi il vuoto. Si sentì mancare la terra sotto i piedi. Cadde.
Fu una cosa veloce, quasi indolore. Era finito su Mallory che col suo giaccone di piume d'oca gli aveva attutito l'impatto. Cercò di rialzarsi quasi subito ma fu investito da un flusso di nebbia che andò a riempire tutta la stanza. Rimase immobile. Di nuovo. Completamente terrorizzato.

La camera nella quale erano finiti aveva qualcosa di familiare. Prima che riuscisse ad identificare cosa, la voce di Peter richiamò la loro attenzione. Lo mandarono a cercare aiuto, era l'unico ad essersi salvato ed era la loro unica speranza. Quando il ragazzo si allontanò si preoccuparono di Lara. Era stata la prima a cadere nel buco. Doveva essere atterrata malamente perché aveva una gamba visibilmente rotta.
Mallory le si avvicinò e cercò di farla riprendere senza successo. Si rivolse ad Elliot "Dobbiamo sistemarle la gamba e steccargliela" disse "Ma io non so come si fa" rispose il ragazzo intimorito. "Non ti preoccupare, tu raccogli un po' di quei rami" disse indicando il punto dove la terra aveva ceduto ed era franata dentro la stanza "Io cerco di farla rinvenire".
Mallory sembrava tranquillo. Lucido. Sapeva ciò che andava fatto e si muoveva con disinvoltura. Elliot per la seconda volta fu contento della presenza dell'altro. Lara riprese conoscenza all'improvviso, come se si fosse appena risvegliata da un incubo. "Stai calma, va tutto bene" gli fece Mallory, poi, rivolgendosi sotto voce ad Elliot "Cerca di distrarla, devo addrizzarle l'osso e non le farà molto piacere."
Elliot si inginocchiò vicino alla ragazza. Era spaventata, con i capelli in disordine, doveva aver perso gli occhiali nella caduta. Elliot non aveva mai fatto caso a quanto fossero belli gli occhi di Lara. Un verde intenso. Smeraldo. Sentì il suo profumo. Non erano mai stati così vicini. "Stai tranquilla, va tutto bene. Domani sarai di nuovo pronta a stracciarmi in ogni competizione." Lara sorrise. Dolcemente. Le sue labbra piccole si assottigliarono nel gesto e due fossette si disegnarono sulle sue guance morbide. Arricciò il nasino a punta e disse "Come sempre!" Era bellissima. Elliot si sentì avvampare. Poi l'espressione della ragazza si incrinò. Lo sguardo divenne vitreo. il dolore si dipinse sul suo volte che improvvisamente divenne rosso. Il rumore sordo dell'osso che Mallory aveva sistemato aveva rimandato Lara nel regno dell'incoscienza. Svenuta di nuovo. "Quando hai finito di ansimare sulla tua bella avrei bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo costruirle una barella".
Mentre Mallory steccava la gamba di Lara, Elliot si occupava di intrecciare i vari rami per formare una lettiga. Era un'impresa difficile, un po' perché i rami tendevano a spezzarsi facilmente, un po' perché Elliot continuava a distrarsi pensando al sorriso di Lara. Il loro odio era reciproco e intenso, non capiva perché quel sorriso continua ad ingarbugliargli la mente.
Mallory raccolse le radici più esili e morbide per usarle come corde per legare la lettiga. Provarono a sollevarla insieme per valutarne la consistenza. Sembrava solida. La appoggiarono al fianco di Lara. Mallory si avvicinò ai piedi della ragazza e li sollevò delicatamente. Fece cenno ad Elliot di fare altrettanto con le sue spalle "Al mio tre la solleviamo e la spostiamo sulla barella" Elliot annuì "Uno, due, TRE!" All'unisono sollevarono Lara e la spostarono di pochi centimetri adagiandola sulla lettiga.
Provarono a sollevare lentamente la barella per vedere se era in grado di sostenere il peso della ragazza. Ondeggiando però rischiarono di farla cadere. "Dovremmo legarla" fece Elliot "E come?" chiese Mallory. Non c'era sarcasmo nella sua voce. "Potremmo usare le cinture dei nostri pantaloni" propose Elliot "Si può fare" concesse Mallory.
"Non ti facevo così in gamba" Elliot era visibilmente ammirato dal comportamento lucido di Mallory "Ci sono abituato. Mi piace aggiustare le cose" rispose il bullo. I due si sorrisero. In quel momento fece ritorno Peter portandosi dietro il professor Stevens.

Non era sicuro che chiamare il professor Stevens fosse stata una buona idea, ma almeno c'era qualcuno che li poteva aiutare. Inoltre Mallory sembrava avere tutto sotto controllo. Così Elliot si rasserenò un po'. Il suo sguardo tornò a vagare per quella stanza a forma di cupola. Quattro archi che si incrcoiavano. Una piccola porta murata sul lato di sud-est. Mancava solo il cilindro al centro. Come poteva essere possibile? La stanza che sognava ogni notte era lì, sotto i suoi occhi. Reale. E se la stanza era reale, anche il suo sogno doveva esserlo. Eppure lui era sicuro di non essere mai stato lì dentro. La quantità immane di ragnatele in giro per la stanza confermavano l'idea che nessuno avesse visitato quel luogo per secoli. Si chiese come mai mancasse il cilindro di pietra e quasi di istinto si avvicinò al centro della stanza. Notò un piccolo foro circolare poco più grande di un pugno. Forse il perno sul quale girava la pietra. Del cilindro non c'erano tracce, neanche i segni sul terreno che indicassero il suo spostamento. Tutti i lastroni di pietra che formavano il pavimento erano circolari e concentrici. Questo poteva aver mascherato i segni della rotazione, ma un macigno di pietra di quella portata dove aver lasciato delle tracce mentre veniva spostato.
Mallory richiamò l'attenzione di Elliot. Dovevano legare la corda portata da Peter intorno alla lettiga. Elliot non sapeva da dove iniziare, ma Mallory sembrava preparato anche su quell'argomento. Si limitò a seguire scrupolosamente le sue indicazioni.
Mentre Peter e il professore tiravano verso l'alto la barella, Lara riprese conoscenza. Sembrava spaventata. Continuava a ripetere "Cede di nuovo! Cede di nuovo". Quando Elliot capì a cosa si riferisse fu troppo tardi. La terra ricominciò a franare e i due soccorritori caddero nel buco. Elliot e Mallory riuscirono a prendere al volo la lettiga e a spostarla in modo da evitare altri incidenti alla povera Lara. I due nuovi arrivati rallentarono la loro caduta tenendosi saldamente alla corda, ma il dolore causato dall'attrito fece perdere la presa a Peter che rovinò a terra.
Dalla tasca della giacca del ragazzo uscì un disco. Un pezzo di pietra che rotolò per tutta la stanza fino a raggiungerne il centro. Sembrava guidato da una forza estranea. Forse dalla stessa nebbia luminosa che riempiva la stanza. Andò ad incastrarsi alla perfezione nel foro che Elliot aveva notato.
Il pavimento iniziò a tremare "Ma che diavolo succede" imprecò Mallory. Al centro della stanza una parte del pavimento iniziò a sollevarsi. Salì per un paio di metri rivelando un grosso cilindro di pietra. Ora il ricordo che Elliot aveva di quella stanza era completo. Si alzò d'istinto e si avvicinò alla roccia. Da dietro qualcuno chiese cosa fosse quella pietra e da dove saltasse fuori. Elliot ignorò il gruppo e raggiunse il centro della stanza quasi ipnotizzato. Appoggiò la mano sulla fredda roccia e con un dito seguì i solchi formati da quegli incomprensibili simboli. Si sentì strano, come svuotato. Sentì quella litania dentro la sua testa. "Ma che stai dicendo?" La voce di Mallory gli arrivò lontana e ovattata. Le parole della cantilena uscivano dalla sua bocca da sole. La mente si fece leggera. La nebbia iniziò a turbinare dentro la stanza. I simboli incisi sulla roccia iniziarono ad illuminarsi di una sfumatura verde.
Luce.
Tutto fu luce. le voci sparirono. Una sensazione di tepore riempì la mente dei presenti. La luce si fece intensa. Liquida. Tutti ne furono avvolti.
E poi fu di nuovo l'oblio.


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