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venerdì 7 gennaio 2011

Poteri

 La piccola stanza era quasi completamente buia. Una flebile luce ambrata filtrava dalle imposte chiuse rendendo a malapena distinguibile il mobilio presente. Una cassapanca chiusa se ne stava appoggiata ai piedi del letto situato sulla parete opposta alla finestra. Un piccolo tavolino era disposto accanto alla porta con un vaso in terracotta appoggiato sopra. Al suo interno una silenziosa calendula se ne stava a bagno in poche dita di acqua. Elliot se ne stava seduto su quel materasso troppo piccolo per la sua statura. Con le spalle appoggiate alla parete, teneva le ginocchia vicino al petto e continuava a fissarsi i palmi delle mani. Aspettava come se da un momento all'altro quelle potessero parlargli, raccontargli, spiegargli ciò che gli stava accadendo, ma le sue mani continuarono a rimanere silenti, e così il resto della camera. Un lieve spiffero dalla finestra. Lo zampettio di un qualche insetto solitario. Per il resto solo silenzio. Il silenzio è il rumore dei pensieri che si affollano. I dubbi che cercano una risposta. Il cuore che cerca di rasserenarsi. Una sensazione di malessere allo stomaco lo stava facendo impazzire. Non era dolore fisico, semplicemente un accumulo di sentimenti repressi che gli stavano agitando i succhi gastrici. 
 L'arrivo ad Hangwick era stato quasi un evento sensazionale. Erano stati accolti come degli eroi, anche se in realtà non avevano fatto un bel niente. Anzi, avevano dato fuoco al bosco e per poco non si facevano ammazzare. Cosa ci fosse di così sensazionale in quegli eventi ad Elliot non era ancora chiaro. Avevano dato loro degli alloggi e degli abiti puliti. Peccato che in quel mondo sotterraneo tutto fosse troppo piccolo per loro. I letti troppo corti, le sedie troppo basse, gli abiti troppo risicati. In un mondo di Nani loro erano come giganti fuori luogo. Tutto sommato la cosa non gli aveva creato problemi, Elliot era solo felice che finalmente qualcuno potesse prendersi cura di Lara. Lara. Era passato solo un giorno da quando erano partiti per la loro avventura. Ventiquattro ore o poco più. Eppure gli sembrava così lontano il tempo in cui la odiava. Si era preso cura di lei come non aveva mai fatto con nessun altro. Anche quando Peter era partito per la sua folle missione suicida, l'unico pensiero di Elliot era di tenere al sicuro Lara quasi dimenticando le sorti del suo migliore amico.
 Adesso Lara era al sicuro e tutto ciò che aveva forzatamente ignorato fino a quel momento era tornato a far visita alla sua anima. Peter si era sacrificato per la loro salvezza e lui non poteva fare nulla per aiutarlo. Il non sapere che fine avessero fatto il suo amico e il professore lo stava uccidendo. Sperava che un miracolo facesse apparire tra le sue mani un'immagine dei due al sicuro da qualche parte. Al riparo dai soldati e da chissà quali altri pericoli. Aveva visto una magia del genere in qualche film e si chiedeva se in quel mondo una cosa del genere fosse possibile. In due diverse occasioni aveva dimostrato di essere in grado di usare degli strani poteri, ma lui non ne aveva memoria. Era stato Mallory che glielo aveva raccontato. Gli aveva detto che sembrava posseduto, come uno zombie. L'ombra di se stesso. Più si sforzava di ricordare, più il mal di testa aumentava.
 Elliot aveva la sensazione di avere una zona della sua mente completamente offuscata dalla nebbia. Cominciava ormai a credere all'ipotesi di essere posseduto. Qualcuno o qualcosa si era stabilito dentro di lui e guidava i suoi movimenti, modificava la sua sorte. Si sentiva impotente di fronte a quell'idea. L'idea di non essere più padrone di se stesso. Aveva provato a replicare il miracolo, a fare qualche magia, ma non ci era riuscito. Avrebbe voluto usare quei poteri per curare Lara e per salvare Peter, ma non c'era stato verso.
 Forse quell'energia che aveva dimostrato di possedere era in realtà il frutto del sortilegio di qualcun altro. Forse lui non aveva alcun potere. Forse era solo Elliot Summer, lo sfigato cervellone di una scuola che in quel mondo neanche esisteva. Forse i poteri appartenevano a quello spirito che albergava tra le nebbie della sua mente e della sua anima. Se fosse riuscito a controllare la magia avrebbe avuto la prova di non essere posseduto da una qualche entità misteriosa, ma non ebbe successo.

 Continuava a fissare intensamente le sue mani nella speranza di vedere i palmi illuminarsi come aveva detto Mallory. Si sforzava di concentrarsi, di imprimere la sua forza in unico punto come se stesse cercando di rompere una noce a mani nude, ma senza stringere il pugno. Niente. Le mani erano solo mani e lui era solo un ragazzo qualsiasi. Elliot non voleva necessariamente avere dei poteri, ma voleva a tutti i costi trovare un senso a quelle ultime ore. Voleva capire cosa si agitava dentro di lui, perché fossero arrivati in quel posto e soprattutto perché proprio lui. Che cosa aveva di diverso rispetto a tutti quegli idioti che ogni anno ad Halloween cercavano di intrufolarsi a Casa Madison? Era quasi un'usanza, ma nessun ragazzo era mai sparito sul serio. Elliot ricordò i fantasmi di nebbia. Non era mai stato così spaventato in vita sua, eppure anche quello adesso sembrava un ricordo lontano, appartenente ad un'altra vita.
 Un leggero scricchiolio ritmico proveniva dal corridoio fuori dalla sua porta. Si faceva sempre più forte come se qualcuno stesse camminando su quel pavimento di legno. Passi. Passi lenti e cauti che si avvicinavano alla sua stanza. Elliot intravvide un ombra dalla fessura sotto la porta. I secondi passarono e l'ombra rimase immobile.
 All'improvviso sembrò voler proseguire oltre. Alcuni passi scricchiolarono nuovamente sul legno, poi tornò indietro e di nuovo l'ombra si parò davanti alla sua porta. Altri secondi di silenzio passarono in cui Elliot si mise seduto con i piedi poggiati in terra. Le gambe del letto erano sensibilmente basse, tanto che ebbe la chiara sensazione di essere seduto sul pavimento. Due colpi secchi rimbombarono nella stanza. La porta aveva vibrato debolmente e poi di nuovo era sceso il silenzio. Un lungo silenzio di attesa. Elliot non aveva voglia di vedere nessuno e aspettò immobile nella speranza che chiunque fosse venuto davanti alla sua porta decidesse di andarsene senza poi ripensarci per tornare indietro.
 "Elliot, ci sei?" sussurrò la voce di Mallory. Elliot c'era, ma non voleva essere disturbato, soprattutto non da Mallory. Il bulletto. Quello che gli aveva dannato l'anima, che se non fosse per lui adesso se ne starebbe comodamente sdraiato sul letto di casa sua a preoccuparsi dell'interrogazione di storia. Invece era lì su quel materasso troppo piccolo in quella stanza opprimente a schiumare di rabbia per colpa di quel deficiente.
 La maniglia della porta si abbassò lentamente producendo un leggero cigolio. Mallory sembrava esitare ed Elliot era tentato di andargli a sbattere la porta in faccia. Aprì quasi con circospezione, senza esagerare, come una persona che lentamente si avvicina ad una belva feroce con l'inspiegabile istinto di volerla accarezzare. La luce del corridoio riempì progressivamente la camera infastidendo gli occhi ormai abituati al buio di Elliot. Ci vollero alcuni minuti perché i suoi occhi riuscissero a mettere a fuoco la figura del ragazzo che stava in piedi davanti l'uscio.

 I due si fissarono per qualche istante ed Elliot ebbe il tempo di riflettere su come anche i sentimenti per Mallory fossero cambiati in quelle poche ore. I due si odiavano, questo era un dato di fatto, eppure all'inizio di quell'incredibile avventura Elliot più di una volta era stato contento di avere Mallory al suo fianco. Aveva quel senso pratico che a lui mancava e si era reso indispensabile alla loro sopravvivenza. Era persino riuscito a farsi voler bene. Elliot pensava a come sarebbe stata dura quella giornata senza Mallory, poi però realizzò che quella giornata non sarebbe proprio esistita se il bulletto non si fosse intestardito a voler andare a Casa Madison. La risposta che cercava non era arrivata dai palmi delle sue mani, ma dalla vista del ragazzo che se ne stava in piedi su quel corridoio. Elliot forse non aveva bisogno di una spiegazione, ma solo di qualcuno a cui addossare tutte le colpe, e Mallory interpretava il ruolo del colpevole alla perfezione.
 "Che vuoi?" chiese asciutto il ragazzo seduto cercando di proteggersi gli occhi dalla luce troppo forte.
 "Alcuni tizi con la tunica e non so che strani oggetti si stanno prendendo cura di Lara. Dicono che se la caverà" rispose Mallory con lo sguardo che vagava all'interno della stanza.
 "Bene, grazie." rispose brusco Elliot alzandosi in piedi e avviandosi a chiudere la porta.
 "Aspetta, volevo chiederti come stavi tu". Elliot non riusciva a credere alle sue orecchie. A quel tipo non gliene era mai fregato nulla di come stava, anzi, ogni volta che stava male era sempre per colpa sua e dei suoi scagnozzi. E ora era lì a preoccuparsi per lui. Un fugace riso di scherno si dipinse sul suo volto, abbassò lo sguardo e scosse la testa mentre con la mano cercava di chiudere la porta.
 "Ehi, che problema hai?" chiese Mallory bloccando la porta con una mano.
 Elliot alzò lo sguardo e fissò gli occhi dell'altro con uno sguardo a metà tra l'incredulo e il furibondo "Che problema ho mi chiedi?" la sua voce era decisamente alterata. "Il mio problema sei tu! Tu e le tue bravate! Tu e il tuo orgoglio ferito! Se non ti fosse venuto in mente di fare quell'allegra scampagnata adesso non ci troveremmo qui, Lara starebbe bene e Peter sarebbe al sicuro".
 "Cosa? E sarebbe colpa mia? Chi è che ci ha fatto arrivare... qui!" Mallory sottolineò le ultime parole guardandosi intorno e indicando con entrambe le braccia la stanza.
 "Tu stesso hai detto che sembravo posseduto. Magari uno di quei fantasmi mi ha usato per chissà quale scopo. Se tu non ci avessi portati lì non sarebbe successo nulla"
 "Non c'entrano i fantasmi, quando eravamo nel bosco e hai appiccato l'incendio non c'erano strani banchi di nebbia in giro -sai, ho controllato-" sottolineò ironico Mallory.
 "E allora come lo spieghi quello che è successo? Come spieghi questo posto?"
 "Non lo so, so solo che siamo tutti nella stessa barca e l'ultima cosa che dobbiamo fare è metterci l'uno contro l'altro."
 "Strano, pensavo fosse il tuo passatempo preferito quello di accanirti contro di me" Elliot sentiva la rabbia montargli dentro come un fuoco appiccato su una catasta di fascine secche. "Hai passato gli ultimi anni a rovinarmi la vita. Mi hai fatto diventare lo zimbello della scuola. Mi hai persino usato come spazzolone del cesso, e adesso questo, siamo in pericolo in un mondo sconosciuto ed è tutta colpa tua... e io dovrei stare calmo?"
 "Si, dovresti decisamente, stai bruciando!" disse Mallory un po' spaventato.
 "Certo, sono arrabbiato. Arrabbiato come non lo sono mai stato e sono stufo di dovermi nascondere da te, di..."
 "No, no! Non mi hai capito! Stai bruciando davvero, guarda la tua mano!"

 Elliot per un attimo smise di inveire e notò che la stanza era più illuminata e quella strana sensazione che aveva alle viscere era più forte che mai. Guardò la mano sinistra, quella che Mallory stava fissando spaventato. Il palmo era completamente ricoperto di fuoco, una fiamma di un intenso color rosso come non ne aveva mai viste. Tutta la mano era avvolta dalle fiamme ma non scottava, certo, sentiva un leggero calore, ma in quelle condizioni doveva aver già le dita carbonizzata. Era quasi ipnotizzato da quel fuoco, mentre lo fissava sentiva la mente più leggera. Tutto il peso delle sue preoccupazioni si era fatto più lieve. A stento sentì la voce di Mallory che gli stava urlando "Metti la mano nel vaso" Elliot si riscosse e semplicemente scrollò il braccio per cercare di spegnere il fuoco, ma la fiamma mutò colore diventando di un blu intenso e si staccò dalla sua mano. Schizzò via nella direzione in cui aveva agitato la mano lasciandosi dietro un sibilo ovattato. Andò ad infrangersi contro il vaso in terracotta facendolo esplodere in mille pezzi.
 Piccole lingue di fuoco si sparsero sul tavolino sottostante che prese subito a bruciare. Mallory entrò nella stanza con prepotenza scansando l'altro, si tolse la giacca e la sbatté con violenza sul legno infuocato per impedirgli di trasformarsi in un incendio. Elliot continuò ad indietreggiare incredulo finché le sue spalle non urtarono contro il muro. Fissò la mano che conservava ancora un briciolo di tepore mentre lentamente scivolava con la schiena lungo la parete fino a toccare terra. Era seduto sul pavimento, o forse sul letto, non avrebbe saputo distinguerlo, intanto Mallory continuava la sua opera di spegnimento del fuoco.
 Il rumore ritmico della giacca che colpiva il tavolino sembrava lontano anni luce. Elliot era di nuovo seduto con le gambe vicino al petto a fissarsi i palmi delle mani. Era spaventato. "Che mi sta succedendo?" riuscì a singhiozzare trattenendo a stento le lacrime. Mallory tirò un sospiro di sollievo quando finalmente l'ultima fiammella si spense. Del fumo si alzò dal legno bruciato. Alcune gocce della poca acqua contenuta nel vaso caddero dal tavolino. Pezzi di terracotta erano sparsi in tutta la stanza. Alcuni petali volteggiarono lenti fino a terra andandosi ad adagiare a pochi passi da Elliot.
 "Non lo so, davvero! Ma questa volta è stato diverso" Mallory si era avvicinato e con le spalle alla parete era scivolato a terra seduto vicino ad Elliot "Questa volta non sembravi un morto vivente".

 I due rimasero seduti a terra uno accanto all'altro a fissare il vuoto. L'odore di bruciato aveva lasciato la sua impronte aromatica nell'aria ed era lentamente svanito. "Che intendi?" Elliot ruppe il silenzio come se si fosse ricordato in quel momento che Mallory gli aveva rivolto la parola.
 "Le altre volte avevi lo sguardo perso nel vuoto, mentre questa volta sembravi lucido. Eri incavolato di brutto" sorrise il ragazzo.
 "E quindi?" la voce di Elliot sembrava distante, il ragazzo era ancora perso nel vuoto della stanza a fissare il punto dove il vaso era esploso.
 "E quindi questa volta sembravi tutt'altro che controllato da qualcuno." Elliot si riscosse e si girò verso Mallory. Il ragazzo era decisamente più alto di lui perché anche da seduti la sua testa raggiungeva a malapena le spalle dell'altro. "Ma com'è possibile?" Chiese quasi supplicando una risposta chiara.
"Non lo so, mi spiace. Però quei poteri sono tuoi, non di chissà quale fantasma. Forse non è neanche vero che qualcuno ti controlli. Magari semplicemente ti si attiva una specie di modalità di sicurezza quando sei in pericolo. Cosa ricordi di quei momenti?" Elliot abbassò di nuovo la testa sprofondando nello sconforto. Ci pensò un attimo e poi confermò che no, non si ricordava nulla.
 "Un momento!" un'idea balenò nella sua mente e la attraversò come un fulmine a ciel sereno "Avevo paura!" disse.
 "Beh, resti tra noi, ma anche io me la stavo facendo sotto, non per questo ho dato fuoco alla foresta!" scherzò Mallory.
 "No, no, non intendo questo! Ricordo distintamente che in entrambe le occasioni ho pensato di non potermi più muovere dal terrore! Non ero semplicemente spaventato, ma completamente terrorizzato come non lo ero mai stato in tutta la mia vita. Esattamente un attimo prima di perdere conoscenza ricordo di aver supplicato aiuto nella mia mente, e poi tutto è diventato buio".
 Mallory rifletté per qualche istante su quelle parole e alla fine concluse che dopotutto non era così impossibile la storia della modalità di sicurezza. "Quando il panico ha superato un certo limite è partito il 'programma di difesa' e tu sei diventato una specie di supereroe zombie."
 "Si ma questo come spiega l'esplosione del vaso? Di sicuro non ero spaventato in quel momento."
 "Beh, forse ha qualcosa a che fare con i tuoi stati d'animo. Magari c'è un modo per controllarli questi poteri. Prova a ripensare a come ti sentivi in quel momento."
 "Lo so benissimo come mi sentivo. Ero arrabbiato con te, e se devo dirla tutta non mi è ancora passata."
 "Devi cercare di rivivere quel momento, quelle sensazioni" insistette Mallory.
 "Certo, come se fosse facile! Ti credi che sia una cosa divertente? Beh, vuoi sapere la novità? E' spaventosa e sta capitando a me! Tu ci scherzi come fosse un gioco, sei solo un idiota!" I nervi di Elliot erano di nuovo tesi e la rabbia nei confronti di Mallory stava divampando di nuovo. Si sentiva frustrato da quella sensazione e l'ultima cosa che voleva era scherzarci sopra.
 "Bravo, continua così" esclamò il ragazzo evidentemente divertito. Elliot aveva raggiunto il limite di sopportazione. Sentiva avvampare la rabbia nel petto "Senti tu! Credi forse che sia..." ma Mallory lo interruppe di nuovo col sorriso sulle labbra e con la voce più calma che Elliot gli avesse mai sentito "Guardati il palmo della mano".

 Elliot voltò di nuovo lo sguardo e nella sua mano trovò un piccolo globo di fuoco non più grande di una pallina da tennis. Era caldo e la sua fiamma saliva leggera di un paio di spanne. Illuminava la stanza con la sua luce tenue e morbida. Elliot rimase a fissarla incredulo per un po' ammirandone ogni movimento e ogni evoluzione. Di nuovo la sua mente si schiarì e il senso di pesantezza allo stomaco svanì. "La puoi controllare Elliot, e io ti aiuterò a farlo."
 "Da quando in qua sei un esperto di magia?" Chiese Elliot senza distogliere lo sguardo dalla fiamma.
 "Non lo sono, ma sono bravissimo a far arrabbiare la gente." Provò a sorridere Mallory, ma l'altro rimase impassibile "Mi dispiace per come mi sono comportato con te in passato. Sono uno stupido, su questo avevi ragione. Ero solo invidioso della tua tranquillità". Allo sguardo perplesso di Elliot, Mallory abbassò la testa e poi continuò "Lascia stare, ma ti prometto che ti aiuterò. Andremo a salvare gli altri e troveremo il modo di tornare a casa!" I due si fissarono per qualche istante e alla fine Elliot sorrise all'amico.
 La fiamma si spense. La rabbia era svanita.


sabato 27 novembre 2010

Tra Sogno e Realtà

I sogni sono da sempre un argomento strano. In teoria tutti sognano, è un processo naturale con cui il cervello rielabora le informazione che ha incamerato. Di solito poi il risveglo provvede inesorabilmente a cancellarne il ricordo preciso, ma qualcosa rimane. Una sensazione. La traccia che i sogni lasciano nell'anima.
Ad Elliot non era mai rimasta nessuna traccia nell'anima. Dubitava persino della sua esistenza. Quando alle elementari una sua insegnante affidò alla classe un tema da scrivere sul loro sogno più bello, lui non riuscì a scrivere nulla. Il voto più basso della sua vita.
Quel giorno Elliot rimase basito non tanto dal suo voto, quanto dai temi dei suoi compagni. Raccontavano storie incredibili con dovizia di particolari. Molti probabilmente avevano inventato di sana pianta. Altri avevano semplicemente esagerato un po'. Eppure tutti avevano qualcosa da raccontare. Tutti tranne lui. Non che gli mancasse la fantasia, però non sapeva proprio da dove cominciare. Per inventare qualcosa bisogna avere delle basi, degli elementi su cui costruire la storia. Lui semplicemente quelle basi non le aveva. Elliot Summer non aveva mai sognato.
La cosa non lo aveva mai turbato più di tanto. Come tutte le persone che non riescono a fare qualcosa, aveva deciso che i sogni non erano poi tanto importanti. Quando con gli amici si finiva a parlare di sogni, semplicemente lui cambiava argomento. A volte cercava di nascondere l'invidia col sarcasmo. Prendeva in giro gli altri per la loro ignoranza, perché credevano che quei ricordi costruiti potessero avere un qualche significato.
Elliot si sentiva privato di qualcosa. Un elemento che legava tutti tranne lui. Probabilmente i suoi genitori avrebbero saputo trovare una spiegazione, però esisteva anche la possibilità che la cosa li facesse preoccupare più del necessario. Preferì quindi evitare di parlare con loro di questa sua mancanza. Ogni tanto si faceva passare sotto banco qualche sogno dal suo amico Peter, così da poterlo usare in qualche discorso. I suoi come al solito dimostravano un falso interesse in quello che raccontava, così lui capiva che era riuscito a dargliela a bere. Era riuscito a fargli credere di essere un bambino normale.

Il giorno in cui Anna, sua madre, aveva parlato a cena delle chiavi di Casale Spavento, qualcosa si era spezzato. La consuetudine si era interrotta. Elliot aveva sognato. Non era un grande esperto di sogni, eppure quello sembrava proprio un ricordo. Un ricordo molto sfumato, quasi sbiadito. Antico. Al risveglio non gli era rimasta solo la sensazione di aver sognato, ma il ricordo di ciò che era successo. Leggero come una piuma. Volatile. Eppure c'era. Un ricordo nuovo, non suo, ma pur sempre un ricordo.
Quella magia continuò a ripetersi ogni notte. Sempre lo stesso sogno. Sempre lo stesso ricordo. Ad ogni replica le immagini diventavano più nitide, i contorni meno sfumati, le sensazioni sempre più vivide. Quel singolo evento si radicò completamente nella memoria di Elliot. Ormai era impossibile distinguerlo da un qualsiasi altro ricordo. Pensandoci razionalmente sapeva di non aver mai vissuto un'esperienza simile, eppure quel ricordo era reale, forse anche più degli altri. Troppi dettagli. Troppe sensazioni. Non poteva esserselo immaginato.
Ricordava con precisione la forma di quella stanza. Una cupola sorretta da quattro archi incrocati che poggiavano direttamente sul pavimento. Non c'erano colonne a dare altezza a quella camera, c'era solo la cupola. Tutto era in marmo bianco. Elliot si sorprese a ricordare persino le nervature argentee che solcavano il bianco assoluto dei lastroni che ricoprivano le pareti. Otto in totale, otto spicchi di parete separati dai possenti archi.
La precisione geometrica di quella cupola era interrotta soltanto da quella che sembrava essere una porta. Un piccolo arco a sesto acuto poggiato su due esili colonne dava l'idea di un passaggio. Di qualcosa che doveva essere possibile attraversare. Pertanto stonavano un po' quei grossi massi di pietra squadrati posti a riempire quell'apertura. Elliot sentiva ancora nelle narici l'odore della malta fresca che era stata usata per tenerli insieme. Era evidente che chiunque li avesse fatti entrare, non voleva più farli uscire. Erano sigillati dentro quella prigione di marmo.
Elliot non era solo, c'erano altre persone con lui. Col tempo capì che erano tutti giovani, più o meno della sua età. Indossavano tutti la stessa tunica scura con il simbolo di una montagna sovrastata da una falce di luna. I grandi cappucci coprivano quasi per intero i loro volti, ma Elliot imparò a distinguerli uno ad uno. Le loro altezze, i loro occhi, la loro postura, persino la forma delle loro mascelle.
Erano tutti in piedi su quel pavimento fatto da grandi lastroni di pietra. Si erano disposti a circonferenza. Ognuno aveva davanti un piccolo falò che illuminava la stanza proiettando le loro inquietanti ombre sulle pareti circostanti. Stavano tutti intorno ad un enorme cilindro, anch'esso di pietra, che sembrava uscire direttamente dal terreno. Era poco più alto di loro e c'erano dei simboli strani incisi sopra. Un testo molto fitto in una lingua sconosciuta formava una stretta spirale che ricopriva tutta la superficie della roccia.
Nonostante sapesse che nella stanza ci fossero un totale di quindici persone compreso lui, dalla sua posizione Elliot riusciva a vederne solo otto. Erano tutti ragazzi tranne la persona che stava alla sua sinistra. La tunica abbastanza aderente tradiva le sue forme femminili. Il suo sguardo era spaventato ma, a differenza degli altri, non provava astio nei suoi confronti. Nell'unico istante in cui i loro occhi si incrociarono gli concesse anche un abbozzo di sorriso.

Si presero tutti per mano formando un cerchio perfetto. Erano tutti terrorizzati. Anche Elliot sentiva quel bruciore alla bocca dello stomaco. Quella sensazione di ansia che ti toglie il respiro. Eppure in lui c'era anche qualcos'altro che col tempo identificò come senso del dovere. C'era anche una punta di orgoglio. Piccola, insignificante e sommersa dal terrore, ma c'era. Fu proprio quella piccola scintilla in fondo al suo cuore che gli diede la forza di alzare lo sguardo verso la pietra ed iniziare a leggere.
L'inizio del testo era proprio di fronte a lui e, cosa inspiegabile, si rese conto di essere in grado di capire cosa ci fosse scritto. Riusciva ad associare dei suoni, anch'essi incomprensibili, a quei simboli sconosciuti. Dalla sua bocca si levò una lenta litania che lasciava un sapore amaro sulla lingua. Man mano che andava avanti nella lettura, si accorse che la pietra aveva inizato una lenta rotazione su se stessa che gli permetteva di avere sempre cose nuove da leggere di fronte a se. Quando l'inizio del testo passava davanti ad uno dei suoi compagni, anche questo iniziava a leggere. Quindici litanie tutte uguali, con la stessa cadenza e con la stessa velocità, ma ognuna sfasata dalle altre di pochi secondi. Tutte quelle voci insieme si mischiavano rendendo le parole ancora più incomprensibili.
Ogni volta che terminavano di leggere, ricominciavano da capo. Ad ogni giro, la pietra accellerava la sua rotazione. Sempre più veloce. Elliot faceva quasi fatica a distinguere le parole sulla pietra, ma ormai le sapeva a memoria. Il canto continuava ininterrotto. Sempre più misterioso e terribile.
Un leggero venticello sembrò alzarsi nella stanza. I quindici falò iniziarono a bruciare con più intensità. Le fiamme divennero alte quanto i ragazzi che vi stavano di fronte. La legna si consumò completamente in pochi istanti. Le fiamme si spensero all'improvviso, ma la luce rimase. Sempre più forte. Intensa. Accecante. Grandi scariche elettriche avvolgevano il cilindro di pietra. La litania rimase costante ma venne coperta dal sibilo della pietra che strideva sul terreno.
Il cilindro era ormai un unico ammasso di luce. Sporadiche scariche si staccavano dal centro e andavano a colpire gli archi della cupola formando degli strani giochi di luce. Il volume della litania si alzò per sovrastare il rumore. Dal cilindro partirono quindici fasci di luce che colpirono in pieno petto i ragazzi. La luce divenne assoluta. Totale. Le coscienze si fusero in un unico agglomerato di energia. E poi più nulla. La luce sfumava. L'oblio sopraggiungeva. Maestoso e avvolgente. La sensazione di vittoria segnava il momento del risveglio.

Quella mattina l'inquietudine era più forte del solito. Elliot si sentiva nervoso. Irascibile. A colazione quasi non rivolse la parola a nessuno. Quando suo fratello Edward gli lanciò un giocattolo per attirare la sua attenzione, gli urlò con così tanta cattiveria che lo fece mettere a piangere. Quando Harry apostrofò il suo comportamento inappropriato, Elliot si limitò a bofonchiare delle scuse per poi alzarsi e andarsene.
Gli dispiaceva per come aveva reagito, ma non era riuscito ad evitarlo. C'era qualcosa di sbagliato in quella giornata che lo metteva a disagio. Sentiva l'adrenalina invadere il suo corpo. Era arrabbiato senza motivo. Quando il bulletto della scuola, quel Mallory, venne ad attaccar briga, Elliot sfogo tutta la sua rabbia. Assestò un pugno sulla guancia del ragazzo con tutta la forza che aveva in corpo. Provò un piacere immenso e sbagliato nel vederlo sputare un dente. Si sarebbe avventato anche su Coso e Cosetto se non fosse arrivato il professor Stevens a fermarlo.
Il suo odio silenzioso continuò tutto il giorno. Quando poi si ritrovò faccia a faccia con Mallory nell'aula punizioni non lo degnò neanche di uno sguardo. Il suo nervosismo gli permise anche di essere cinico e sarcastico con Lara, di solito era il contrario. Provò di nuovo quel piacere distorto ad umiliarla davanti al professore. Riuscì persino a strappare un mezzo sorriso a Mallory. E poi accadde. Gli altri discutevano animatamente su Casale Spavento. Decidevano se era il caso di organizzare lì la festa di Halloween, quando Lara e Mallory si misero a litigare. In un flash Elliot rivide la stanza. Le quindici persone. Sentì quella litania nelle orecchie. Chiuse gli occhi con forza per cacciare via quell'immagine. Nella sua mente regnava la confusione, ma una voce era distinguibile. Sovrastava le altre. Era sua madre. Un ricordo di un paio di settimane prima. Il giorno in cui i sogni erano iniziati, sua madre a cena aveva parlato di Casa Madison. Casale Spavento. Prima di addormentarsi il suo ultimo pensiero fu che aveva le chiavi di quella casa.
Evidentemente aveva ripetuto quel pensiero a voce alta, perché tutti si erano zittiti e lo fissavano. Mallory sembrava eccitato mentre Lara sorrideva un po' spaventata. Uscendo dall'aula Elliot fu raggiunto dal bulletto che non sembrava interessato a picchiarlo come suo solito. Voleva quelle chiavi e lui gliele avrebbe dovute fornire.

La sensazione di inquietudine si faceva più forte ogni minuto che passava. Corse dal suo amico Peter per chiedere aiuto. Aveva bisogno di sfogarsi. Aveva bisogno di sostegno. Tutta l'adrenalina che aveva in corpo si sprigionò nell'atto della corsa. Una volta raggiunto l'amico quasi vomitò l'anima, ma si sentì meglio. Più calmo. Più sereno. Da sempre Peter gli faceva quell'effetto. Si sentiva completato. Lui era quello impulsivo mentre l'amico era quello razionale. Si misero d'accordo per vedersi quella sera. Peter non sembrava molto felice all'idea, ma Elliot sapeva che non lo avrebbe mai abbandonato nel momento del bisogno.
Con l'animo meno agitato e la mente più lucida, si rese conto che sì, la madre aveva le chiavi, ma questo non significava che lui potesse prenderle a sua discrezione. Avrebbe dovuto sottrarle di nascosto. E questo significava altri guai. Inoltre in quindici anni non aveva mai fatto niente del genere. Mai una volta aveva deluso i suoi genitori. La sensazione di inquietitudine tornò più forte di prima.
Quella sera a cena non alzò lo sguardo dal piatto, si sbrigò a finire di mangiare e sgattaiolò in camera sua. Aveva appuntamento alle nove con Peter. Erano le otto passate e lui non aveva la più pallida idea di dove iniziare a cercare. Qualcuno bussò alla porta. Due deboli colpetti. Doveva essere Edward che come al solito era in vena di scherzi. Aprì la porta controvoglia. Il fratello era lì davanti, silenzioso. Aveva lo sguardo basso. Indossava ancora il suo bavaglino e teneva per mano un orsacchiotto poco più basso di lui.
Elliot si spazientì in fretta. Edward non sembrava intenzionato a proferire verbo. "Che cosa vuoi?" lo incalzò. Il piccolo alzò gli occhi verso il fratello maggiore. Era triste, sul punto di piangere. Sembrava sconvolto. Alla fine si decise a parlare stringendo a sé il pelouche che aveva portato "Te ne vai?" chiese con voce quasi disperata. "No, non vado da nessuna parte, adesso se non ti dispiace dovrei fare i compiti" rispose asciutto Elliot. "No, non è vero, tu te ne vuoi andare. Me l'ha detto il tizio col cappuccio" il cuore di Elliot perse un colpo. Una tremenda sensazione di aridità alla bocca dello stomaco gli fece venire la nausea. "Q-quale tizio col cappuccio?" chiese con ansia. "Mi ha detto che avevi bisogno di queste" aprì la zip sul dorso dell'orsetto e ne estrasse un mazzo di chiavi con un portachiavi a forma di spirale "Vero che però poi torni?" concluse Edward trattenendo a stento le lacrime.
Suo fratello gli voleva bene. Gliene aveva sempre voluto. Era la sua ombra. Stimava Elliot come fosse un eroe e non voleva perderlo. Quel pensiero intenerì il ragazzo che si inginocchiò per avere gli occhi all'altezza di quelli del fratellino "Tornerò, te lo prometto" Edward ritrovò il sorriso e lanciò le braccia al collo del fratello stringendolo con tutta la forza che un bambino di quattro anni può avere. Quando si staccò lascio cadere le chiavi e scappò in camera sua.
Elliot raccolse il mazzo da terra e richiuse la porta. Fissò per qualche minuto il portachiavi a spirale. Un problema si era risolto da solo. Aveva come la sensazione che qualcosa di più grande avesse iniziato a muovere i fili della sua vita. Si distese un attimo sul letto per scacciare via quel pensiero.

Alle nove meno un quarto Elliot era pronto, aveva preparato lo zaino con il cambio per la notte. Aveva detto ai suoi che sarebbe andato a passare la notte da Peter. Cosa che avrebbe fatto subito dopo aver portato Mallory a Casale Spavento. Scese le scale con calma. Assaporò ogni gradino. C'era qualcosa dentro di sé che lo tratteneva a casa. Non voleva andare. Aveva paura.
Anna lo aspettava ai piedi delle scale. Gli aveva preparato un fagotto con gli avanzi della cena e alcune fette di torta. "Mamma, vado solo a dormire da Peter, non ne ho bisogno" provò a dire. Dopotutto non era la prima volta che andava a dormire dall'amico. Che bisogno c'era di portarsi da mangiare? "Beh, non si sa mai quello che può succedere" era visibilmente preoccupata, ma non sembrava volerlo fermare. Elliot quasi ci sperava. Forse se avesse detto qualcosa di cattivo la madre lo avrebbe messo in punizione e non sarebbe dovuto uscire. Non fece in tempo. Anna interruppe il flusso dei suoi pensieri "C'è tuo padre che ti vuole vedere. E' in laboratorio" disse "Ma io dovrei andare, c'è Peter che mi aspetta, poi i genitori si preoccupano" cercò di protestare "Ci vorrà solo un minuto vedrai" e si chinò a baciargli la fronte. Un bacio lungo. Sembrava spaventata. Anche lei. Cosa avevano tutti da essere spaventati. Era lui quello che doveva andare a Casale Spavento, non gli altri. Cercò di divincolarsi, abbozzò un sorriso e si diresse verso il garage.
Le luci del laboratorio erano spente. Elliot sentì alcuni rumori metallici provenire dal fondo. All'improvviso si accese una lampadina "Finalmente! Non riuscivo a trovare le lampadine nuove, quella vecchia si è fulminata" disse Harry "Mi volevi vedere?" chiese spazientito Elliot "Oh, si! Ho qualcosa per te". "Non potresti darmela domani? Adesso devo andare da Peter" guardò l'orologio da parete. Erano le nove in punto. Peter era già all'ingresso di Cherrydale ad aspettarlo e lui come al solito sarebbe arrivato in ritardo.
Harry ignorò l'impazienza del figlio. Tirò fuori dal cassetto quello che sembrava essere un vecchio orologio da taschino "Sai, è per via di questo che io e la mamma ci siamo conosciuti. Un giorno me ne stavo per i fatti miei quando uno strano ragazzo con un mantello mi venne addosso. Non si fermò neanche a chiedermi scusa. Questo orologio deve essergli caduto di tasca ma quando lo raccolsi era già sparito." accennò un sorriso con gli occhi carichi di nostalgia "Decisi di tenerlo come risarcimento!" sembrò volersi giustificare "Insomma me ne stò sul ponte di Hummingdale a giocherellare con questo coso che tra l'altro era pure rotto quando mi scivola dalle mani. In quel momento tua madre passava lì sotto e la presi proprio in testa" Elliot voleva che il vecchio tagliasse corto, ma dalla felicità con cui raccontava non sembrava intenzionato a farlo. "Devo averle rotto qualcosa in testa quel giorno, altrimenti non si spiega il perché abbia accettato di sposarmi!" era quasi commosso da quel ricordo.
"Vorrei che lo prendessi tu! Spero che ti porti la stessa fortuna che ha concesso a me!" Elliot non sapeva che dire. Non gliene fregava niente di quel ninnolo. Voleva solo chiudere quella storia. O gli impedivano di uscire, o lo lasciavano andare. Cobtinuare a torturarlo in quella maniera non aveva senso. Si limitò a sorridere e a ringraziare. Infilò di fretta l'orologio nella borsa e si incamminò verso la porta. "Fai attenzione e in bocca al lupo!" furono le ultime parole di Harry "Ma cosa avete tutti stasera? Sto solo andando a dormire da Peter" sbottò spazientito, ma Harry si limitò a sorridire. Elliot gli rispose tra sé e sé "Crepi!"

Peter non protestò per il ritardo dell'amico. Probabilmente se lo aspettava. La strada verso Casale Spavento fu accompagnata dal silenzio e dal buio. Per la prima volta in vita sua fu grato per la presenza di Mallory. Aveva portato una torcia. A lui proprio non era venuto in mente. Lara lo guardò con superiorità mentre estraeva la sua. Elliot si chiese per l'ennesima volta perché ce l'avesse tanto con lui. Non gli sembrava di averle fatto niente di male.
La casa era buia e fredda ma si sentiva tranquillo. O almeno così fu finché non si accorse che Peter era sparito. Si girò a cercarlo con lo sguardo, ma era troppo buio. Cercò di fermare gli altri per andarlo a cercare, ma quando si voltò gli si materializzò davanti un'enorme colonna di luce. Una nebbia fitta e dorata che iniziò a corrergli incontro. L'urlo esplose dalla sua gola. Lara e Mallory si voltarono per cercare di capire cosa fosse successo. Elliot era paralizzato dallo spavento. Fu Mallory a riscuoterlo urlandogli "Corri!".
I tre si ritrovarono a scappare compatti verso l'uscita. Elliot si voltò a cercare di identificare il loro inseguitore e si accorse che Peter era ricomparso dietro di loro. Come se non se ne fosse mai andato. Corsero a perdifiato cercando di evitare tutti quei cosi, quei, beh, fantasmi, come altro chiamarli. La luce era intensa e tutta intorno a loro. Elliot non capiva più quanti ce ne fossero di questi fantasmi e dove si trovassero. Si accorse a malapena di essere stato sorpassato da Peter. Se ne rese conto quando lo vide spiccare un balzo. E poi il vuoto. Si sentì mancare la terra sotto i piedi. Cadde.
Fu una cosa veloce, quasi indolore. Era finito su Mallory che col suo giaccone di piume d'oca gli aveva attutito l'impatto. Cercò di rialzarsi quasi subito ma fu investito da un flusso di nebbia che andò a riempire tutta la stanza. Rimase immobile. Di nuovo. Completamente terrorizzato.

La camera nella quale erano finiti aveva qualcosa di familiare. Prima che riuscisse ad identificare cosa, la voce di Peter richiamò la loro attenzione. Lo mandarono a cercare aiuto, era l'unico ad essersi salvato ed era la loro unica speranza. Quando il ragazzo si allontanò si preoccuparono di Lara. Era stata la prima a cadere nel buco. Doveva essere atterrata malamente perché aveva una gamba visibilmente rotta.
Mallory le si avvicinò e cercò di farla riprendere senza successo. Si rivolse ad Elliot "Dobbiamo sistemarle la gamba e steccargliela" disse "Ma io non so come si fa" rispose il ragazzo intimorito. "Non ti preoccupare, tu raccogli un po' di quei rami" disse indicando il punto dove la terra aveva ceduto ed era franata dentro la stanza "Io cerco di farla rinvenire".
Mallory sembrava tranquillo. Lucido. Sapeva ciò che andava fatto e si muoveva con disinvoltura. Elliot per la seconda volta fu contento della presenza dell'altro. Lara riprese conoscenza all'improvviso, come se si fosse appena risvegliata da un incubo. "Stai calma, va tutto bene" gli fece Mallory, poi, rivolgendosi sotto voce ad Elliot "Cerca di distrarla, devo addrizzarle l'osso e non le farà molto piacere."
Elliot si inginocchiò vicino alla ragazza. Era spaventata, con i capelli in disordine, doveva aver perso gli occhiali nella caduta. Elliot non aveva mai fatto caso a quanto fossero belli gli occhi di Lara. Un verde intenso. Smeraldo. Sentì il suo profumo. Non erano mai stati così vicini. "Stai tranquilla, va tutto bene. Domani sarai di nuovo pronta a stracciarmi in ogni competizione." Lara sorrise. Dolcemente. Le sue labbra piccole si assottigliarono nel gesto e due fossette si disegnarono sulle sue guance morbide. Arricciò il nasino a punta e disse "Come sempre!" Era bellissima. Elliot si sentì avvampare. Poi l'espressione della ragazza si incrinò. Lo sguardo divenne vitreo. il dolore si dipinse sul suo volte che improvvisamente divenne rosso. Il rumore sordo dell'osso che Mallory aveva sistemato aveva rimandato Lara nel regno dell'incoscienza. Svenuta di nuovo. "Quando hai finito di ansimare sulla tua bella avrei bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo costruirle una barella".
Mentre Mallory steccava la gamba di Lara, Elliot si occupava di intrecciare i vari rami per formare una lettiga. Era un'impresa difficile, un po' perché i rami tendevano a spezzarsi facilmente, un po' perché Elliot continuava a distrarsi pensando al sorriso di Lara. Il loro odio era reciproco e intenso, non capiva perché quel sorriso continua ad ingarbugliargli la mente.
Mallory raccolse le radici più esili e morbide per usarle come corde per legare la lettiga. Provarono a sollevarla insieme per valutarne la consistenza. Sembrava solida. La appoggiarono al fianco di Lara. Mallory si avvicinò ai piedi della ragazza e li sollevò delicatamente. Fece cenno ad Elliot di fare altrettanto con le sue spalle "Al mio tre la solleviamo e la spostiamo sulla barella" Elliot annuì "Uno, due, TRE!" All'unisono sollevarono Lara e la spostarono di pochi centimetri adagiandola sulla lettiga.
Provarono a sollevare lentamente la barella per vedere se era in grado di sostenere il peso della ragazza. Ondeggiando però rischiarono di farla cadere. "Dovremmo legarla" fece Elliot "E come?" chiese Mallory. Non c'era sarcasmo nella sua voce. "Potremmo usare le cinture dei nostri pantaloni" propose Elliot "Si può fare" concesse Mallory.
"Non ti facevo così in gamba" Elliot era visibilmente ammirato dal comportamento lucido di Mallory "Ci sono abituato. Mi piace aggiustare le cose" rispose il bullo. I due si sorrisero. In quel momento fece ritorno Peter portandosi dietro il professor Stevens.

Non era sicuro che chiamare il professor Stevens fosse stata una buona idea, ma almeno c'era qualcuno che li poteva aiutare. Inoltre Mallory sembrava avere tutto sotto controllo. Così Elliot si rasserenò un po'. Il suo sguardo tornò a vagare per quella stanza a forma di cupola. Quattro archi che si incrcoiavano. Una piccola porta murata sul lato di sud-est. Mancava solo il cilindro al centro. Come poteva essere possibile? La stanza che sognava ogni notte era lì, sotto i suoi occhi. Reale. E se la stanza era reale, anche il suo sogno doveva esserlo. Eppure lui era sicuro di non essere mai stato lì dentro. La quantità immane di ragnatele in giro per la stanza confermavano l'idea che nessuno avesse visitato quel luogo per secoli. Si chiese come mai mancasse il cilindro di pietra e quasi di istinto si avvicinò al centro della stanza. Notò un piccolo foro circolare poco più grande di un pugno. Forse il perno sul quale girava la pietra. Del cilindro non c'erano tracce, neanche i segni sul terreno che indicassero il suo spostamento. Tutti i lastroni di pietra che formavano il pavimento erano circolari e concentrici. Questo poteva aver mascherato i segni della rotazione, ma un macigno di pietra di quella portata dove aver lasciato delle tracce mentre veniva spostato.
Mallory richiamò l'attenzione di Elliot. Dovevano legare la corda portata da Peter intorno alla lettiga. Elliot non sapeva da dove iniziare, ma Mallory sembrava preparato anche su quell'argomento. Si limitò a seguire scrupolosamente le sue indicazioni.
Mentre Peter e il professore tiravano verso l'alto la barella, Lara riprese conoscenza. Sembrava spaventata. Continuava a ripetere "Cede di nuovo! Cede di nuovo". Quando Elliot capì a cosa si riferisse fu troppo tardi. La terra ricominciò a franare e i due soccorritori caddero nel buco. Elliot e Mallory riuscirono a prendere al volo la lettiga e a spostarla in modo da evitare altri incidenti alla povera Lara. I due nuovi arrivati rallentarono la loro caduta tenendosi saldamente alla corda, ma il dolore causato dall'attrito fece perdere la presa a Peter che rovinò a terra.
Dalla tasca della giacca del ragazzo uscì un disco. Un pezzo di pietra che rotolò per tutta la stanza fino a raggiungerne il centro. Sembrava guidato da una forza estranea. Forse dalla stessa nebbia luminosa che riempiva la stanza. Andò ad incastrarsi alla perfezione nel foro che Elliot aveva notato.
Il pavimento iniziò a tremare "Ma che diavolo succede" imprecò Mallory. Al centro della stanza una parte del pavimento iniziò a sollevarsi. Salì per un paio di metri rivelando un grosso cilindro di pietra. Ora il ricordo che Elliot aveva di quella stanza era completo. Si alzò d'istinto e si avvicinò alla roccia. Da dietro qualcuno chiese cosa fosse quella pietra e da dove saltasse fuori. Elliot ignorò il gruppo e raggiunse il centro della stanza quasi ipnotizzato. Appoggiò la mano sulla fredda roccia e con un dito seguì i solchi formati da quegli incomprensibili simboli. Si sentì strano, come svuotato. Sentì quella litania dentro la sua testa. "Ma che stai dicendo?" La voce di Mallory gli arrivò lontana e ovattata. Le parole della cantilena uscivano dalla sua bocca da sole. La mente si fece leggera. La nebbia iniziò a turbinare dentro la stanza. I simboli incisi sulla roccia iniziarono ad illuminarsi di una sfumatura verde.
Luce.
Tutto fu luce. le voci sparirono. Una sensazione di tepore riempì la mente dei presenti. La luce si fece intensa. Liquida. Tutti ne furono avvolti.
E poi fu di nuovo l'oblio.


martedì 2 novembre 2010

Casa Summer

La giornata volgeva al termine e gli ultimi raggi di sole tingevano di arancione le strade private del quartiere residenziale di Cherrydale. La quiete quasi assoluta veniva di tanto in tanto interrotta da una macchina che riportava il legittimo proprietario alla sua legittima dimora per la sua legittima cena. Anche in questo caso comunque tutti cercavano di mantenere una sorta di ossequioso silenzio muovendosi il più lentamente possibile per non disturbare quella sacra calma di cui solo a quell'ora si poteva godere. Persino gli uccelli se ne stavano guardinghi sui rami dei ciliegi che costeggiano le strade limitando al minimo l'istinto di cantare per non infrangere l'idillio creato da quel silenzio quasi innaturale.
Passando di lì per caso non si sarebbe potuto evitare di percepire quel brivido di inquietitudine che partendo dalla base della schiena va a scavarsi un posticino comodo all'altezza del collo. Quella sensazione che avverte i sensi che c'è qualcosa di strano e che è il caso di stare all'erta per evitare ogni pericolo. Per gli abitanti del quartiere residenziale di Cherrydale quella era la consuetudine, oltre ai giardinetti tagliati all'inglese, oltre agli alberi di ciliegio che in primavera tingevano le strade di rosa, oltre alle casette tutte uguali, tutte perfette e pulite, c'era quel brivido, e c'era solo a quell'ora, nell'esatto momento in cui il sole si congeda dal cielo per godersi una nottata di meritato riposo. E come ci si abitua al rosa degli alberi e al rosso ciliegia con cui erano verniciate tutte le case, gli abitanti del quartiere residenziale di Cherrydale si erano abituati anche a quel brivido, avevano imparato a rispettarlo e ad amarlo, avevano imparato anche a sentirne la mancanza quando per qualche motivo questo veniva a mancare. Sapevano quanto fosse prezioso quel brivido perché sapevano quanto fosse prezioso il silenzio che lo scaturiva. Il silenzio. Il rumore della notte. O almeno così si dice in giro, perché nel quartiere residenziale di Cherrydale, quando si parla del rumore della notte, non si fa riferimento ad un modo di dire, ma ad un rumore reale, ossessionante, costante e snervante. Il rumore di una sirena anti-incendio che puntualmente, almeno due o tre volte a settimana, quando dice bene, si leva dal numero 15 di Cherrylane e si propaga in ogni direzione per almeno un paio di chilometri svegliando chiunque abbia l'ardire di assopirsi in un orario che va in genere dalle due alle quattro del mattino. E così inizia la processione dei vicini seccati, la distribuzione delle scuse da parte dei proprietari della casa incriminata ed infine, come dopo aver fatto la fila all'ufficio postale per ore solo per spedire un pacco, tutti se ne tornano nelle rispettive dimore un po' sfiancati ma con l'animo rasserenato.
Con il passare del tempo, per gli abitanti del quartiere residenziale di Cherrydale, il rumore della notte è diventato tanto irrinunciabile quanto il brivido di fine giornata, come una sorta di terapia di gruppo, una valvola di sfogo, perché nella foga di far valere le proprie ragioni con quelli del numero 15 di Cherrylane, vengono a galla tutte le frustrazioni e lo stress della giornata, quello che si accumula nelle ossa prima che nella mente, quello che rimane lì a farti girare nel letto insonne e agitato, così, quando la calma ritorna e le scuse sono state distribuite, tutti se ne tornano nei propri letti più tranquilli e con meno bile in corpo. Allora, e solo allora, gli abitanti del quartiere residenziale di Cherrydale si addormentano.

Quella sera la quiete fu interrotta prima del solito, iniziarono ad alzarsi in volo stormi di pettirossi e passerotti partendo dall'inizio di Cherrylane e avanzando verso il giardino pubblico situato al centro del quartiere. La marea scura che si levava in cielo era come inseguita dal tintinnio di un campanello da bicicletta. Elliot era in ritardo per la cena, e la madre era categorica sugli orari, specie su quello della cena, l'unico momento in cui riusciva a radunare tutta la sua famiglia in un unico posto, nella fattispecie intorno ad un tavolo imbandito. Aggiustare la ruota squarciata della bicicletta si era rivelato più arduo del previsto, lui e Peter avevano passato il pomeriggio a cercare una camera d'aria buona tra le biciclette rotte abbandonate al vecchio sfasciacarrozze, ma non ne avevano trovata una della misura giusta. Alla fine avevano risolto incollando i lembi strappati di quella vecchia e applicando una toppa sul copertone per cercare di contenere i danni. La soluzione aveva funzionato, ma Peter si era comunque raccomandato di non correre troppo e aveva aggiunto che l'indomani era meglio andarne a comprare una nuova. Elliot mantenne un'andatura cauta per i primi metri, fin quando non gli cadde l'occhio sull'orologio e si rese conto di quanto fosse tardi. Rinunciando ad ogni forma di prudenza iniziò a pestare sui pedali con quanta forza aveva in corpo, scandendo ogni pedalata con un colpo di campanello, un po' per tenere il ritmo, un po' nella speranza che chiunque si trovasse lungo il suo cammino si sarebbe tolto dai piedi per tempo. Tirò i freni solo quando si trovò a pochi metri da casa sua. Per riuscire a fermarsi in tempo lasciò buona parte dei copertoni e del rattoppo improvvisato sull'asfalto di Cherrylane, così che quando fu finalmente fermo sentì chiaro il sibilo dell'aria che fuoriusciva nuovamente dalla camera d'aria bucata. Poco male, poteva dire di aver bucato in quel momento a causa del brecciolino sulla strada, così il padre gliel'avrebbe riparata senza troppi problemi.
Elliot si fermò un attimo a prendere fiato di fronte alla sua abitazione. Tra le tende color giallo canarino che davano sul soggiorno vide la madre intenta ad apparecchiare la tavola, tra qualche istante avrebbe sentito la sua voce chiamarli a raccolta uno per uno. Avrebbe iniziato da Edward, il membro più piccolo della famiglia, che faceva sempre tante storie quando era ora di andare a tavola, e pertanto aveva bisogno di più tempo per convincersi a scendere. Il compito di Elliot in quel frangente sarebbe stato quello di convincere il fratellino a separarsi dai suoi giochi infantili per seguirlo a tavola. Infine sarebbe stata la volta di Harry, suo padre, che appena sentiva il richiamo della cena correva a chiedere se c'era bisogno di aiuto, peccato che nel tempo che passava dal momento della prima chiamata al momento effettivo in cui finalmente Harry sentisse arrivare la voce della moglie, Anna aveva fatto in tempo a finire di preparare la cena, aveva apparecchiato la tavola e, nei giorni in cui Harry si sentiva più produttivo, anche a preparare un dolce, quindi puntualmente no, non c'era bisogno del suo aiuto.

Harry era un brav'uomo, un ottimo lavoratore e un bravo padre, Anna non avrebbe desiderato di meglio nella sua vita. Il problema è che ad Harry il suo lavoro proprio non piaceva. Fare il ragioniere per una società di contabili non era esattamente l'aspirazione della sua vita. Fin da piccolo era ossessionato dalle sue idee, come se nel suo cervello fossero stipati i progetti di un numero infinito di invenzioni che aspettavano solo di essere trasformate in realtà. Era un suo dovere morale assecondare quelle idee, ci si diventa matti a non dare ascolto alle proprie idee, così si organizzò per riuscire ad approfittare di ogni singolo ritaglio di tempo per poter adempiere alla sua missione divina: Fare l'inventore.
Dapprima aveva iniziato a trafficare con i suoi arnesi nella stanza degli ospiti, poi dopo la nascita di Edward si trasferì in garage, infine, quando lo spazio iniziò a stargli stretto, costruì una sorta di mansarda sopra il garage da adibire a laboratorio, ricoprì il tetto della casa di pannelli fotovoltaici per far fronte alle sue eccessivamente costose necessità di energia elettrica e pavimentò il giardino per potervi installare sotto un cassone per la raccolta delle acque piovane da usare in caso di incendio che da allora non fu più tanto un caso, bensì la norma. Che la si guardasse dall'alto o semplicemente passando lungo la strada, Casa Summer, al numero 15 di Cherrylane, era la nota stonata in una sinfonia di note tutte uguali, era il puntino nero all'interno di un tappeto rosso, era, per i vicini, quel prurito sulla pianta del piede che ti potresti tranquillamente grattare se non avessi indosso calzini e scarpe e, soprattutto, se non stessi guidando. Invece no, te ne resti lì, in mezzo al traffico, a maledire quello stramaledettissimo prurito perché sai benissimo che non c'è modo di eliminarlo.

La chiamata per la cena arrivò puntuale. Elliot abbandonò la bicicletta sul vialetto del garage e corse in casa, poi diritto su per le scale e infine nella camera di Edward. Il fratello era intento a simulare con un bambolotto una caduta da una rampa di scale, Elliot non perse tempo coi soliti convenevoli, si caricò di peso Edward in braccio e scese per le scale ignorando le proteste del suo passeggero. La cena si svolse in tranquillità, Harry chiese ancora scusa al figlio per avergli fatto fare tardi quella mattina e Elliot ne approfittò per chiedere al padre di riparargli la bicicletta. Un problema era risolto, doveva solo trovare il modo di eliminare dalla faccia della terra Lara e Mallory. Poi arrivò il purè, ed Edward odiava il purè, il che significava che buona parte della sua porzione sarebbe andata a confondersi coi muri della sala color giallo canarino. Eppure stranamente Anna restò calma, anzi, sorrise allegramente anche quando un po' di quel purè gli finì in mezzo ai capelli. "E' successo qualcosa di bello in ufficio?" chiese Harry stupito da tanta tranquillità. Anna era un'agente immobiliare, e in questo periodo non si vendevano tante case, perciò le commissioni erano poche, e di conseguenza anche il suo stipendio era piuttosto basso. Spesso, negli ultimi mesi, lei ed Harry si erano dovuti sedere a tavolino per buttare giù un piano di risparmi per far fronte al periodo di crisi. Harry aveva persino rinunciato a buona parte dei suoi esperimenti per venire incontro alle esigenze della moglie. Però adesso le cose stavano cambiando, almeno così diceva Anna sfoggiando il miglior sorriso che la sua faccia coperta di purè le permettesse. "Mi hanno affidato la vendita di Casa Madison, una splendida villetta in cima alla collina ad est di Plumdale!" disse, ed iniziò a descriverne i mille pregi e a parlare di quello che avrebbero potuto fare coi proventi della vendita quando Elliot fu colto da una folgorazione: "Ma non starai mica parlando di Casale Spavento?"
Il gelo calò sulla stanza, persino Edward smise di lanciare purè in giro. Il sorriso scomparve dalle labbra di Anna ed Harry sgranò gli occhi e cercò di zittire il figlio facendo cenno di 'no' con la testa avendo cura di non farsi vedere dalla moglie. "Quella è solo una superstizione" rispose Anna tranquilla cercando di recuperare un barlume di sorriso e tutti, Edward compreso, tirarono un sospiro di sollievo. Elliot però rincarò la dose "Sei morti sospette negli ultimi quattro anni non mi sembrano tanto una superstizione ..." fece lui servendosi dell'altro purè "... e molti miei compagni di classe hanno visto chiaramente delle luci strane comparire al suo interno nonostante tutti sappiano che è disabitata da anni." Edward lanciò un calcio sotto al tavolo all'indirizzo del fratello nella speranza di zittirlo, ma non ci riuscì. "C'è gente che dice di aver visto dei fantasmi in quella casa, sagome fatte di luce dorata aggirarsi per le stanze!" Questa volta il calcio arrivò in contemporanea sia da parte di Edward che da parte di Harry. Elliot, o almeno il suo ginocchio destro, dovette cedere e lasciar cadere il discorso.
"Questo è quello che passa il convento, siamo in periodo di crisi, e se vuoi continuare ad avere del cibo su questa tavola prega perché io riesca a vendere quella casa" fu la risposta stizzita di Anna. Finirono tutti di mangiare in silenzio.

Erano da poco passate le dieci quando qualcuno bussò alla porta della camera di Elliot. Era Anna che veniva a scusarsi con il figlio per aver alzato la voce, al ché Elliot si scusò per essere stato insensibile e il tutto degenerò in un profluvio di baci, coccole e tenerezze che Elliot non riuscì a scansare del tutto. Non erano passati dieci minuti da quando Anna aveva lasciato la stanza che qualcun'altro bussò alla sua porta, era il padre stavolta, che lo informava che la sua bicicletta era come nuova e si sedette accanto a lui sul letto dicendogli di come sua madre fosse stressata in questo periodo e che lui non doveva prendersela per la sua reazione. Elliot rispose tranquillamente che no, non se l'era presa e che aveva già avuto modo di chiarirsi con lei. Harry si rallegrò e se ne andò quasi senza salutare. Dopo altri dieci minuti bussarono di nuovo, era Edward, che una volta entrato si limitò a lanciare addosso al fratello del purè che aveva tenuto con cura da parte per l'occasione. Tra una litigata e l'altra passarono le undici prima che Elliot potesse rimanere da solo con se stesso. Era stata una dura giornata, eppure non riusciva a prendere sonno, c'era qualcosa che lo turbava ed insieme lo eccitava. Casale Spavento. Era il terrore di tutti i suoi compagni, anche il suo ad essere sinceri, tutti avevano paura di quella tranquilla villetta. E ora lui aveva le chiavi per entrarvi.
Si buttò sul letto ancora vestito, rimase qualche minuto a fissare il soffitto. Lo sguardo si perse tra le trame delle travi di legno che sorreggevano il tetto spiovente e tra le quali il padre, quando Elliot era poco più di un bambino, aveva montato delle lucine bianche che formavano le principali costellazioni del firmamento. Accese le lucine e iniziò a identificare i nomi delle varie costellazioni. C'era il Drago, l'Orsa, sia quella minore che quella maggiore, c'era il Cigno e il Toro. Si decise che era il momento di studiare, quindi spense le lucine e prese il libro di storia. Casale Spavento. Non vedeva l'ora di dirlo al suo amico Peter. Le immagini dei soldati si fecero confuse, le parole che le accompagnavano sbiadirono nel nulla.
Si addormentò che la guerra di secessione ancora non era scoppiata. Dormì profondamente e sognò. sognò quattordici ragazzini accanto a lui in cerchio che lo guardavano di traverso. Si tenevano per mano intorno ad una pietra cilindrica con delle strane iscrizioni sopra. Una strana litania gli riempiva le orecchie sino a fargli venire la nausea. Si trovavano in una specie di stanza a forma di cupola completamente bianca, con un arco che doveva indicare un'uscita, ma che era completamente murata. Per un attimo sentì il panico montargli dentro, e poi infine arrivò la luce, una luce abbagliante che riempì tutto. Elliot si sentì smarrito in quella luce che lentamente sfumava nell'oblio. Il buio, un buio spaventoso lo avvolse e come un uragano lo scaraventò via lontano. Si sentì sperduto e abbandonato, e mentre la sua coscienza si arrendeva a quel buio spegnendosi lentamente, sentì qualcosa. Qualcosa che non era una vera sensazione, ma più un barlume di sensazione. Era orgoglio. Era vittoria. Era la consapevolezza di avercela fatta. A fare cosa, Elliot lo ignorava, ma ce l'aveva fatta. Poi, puntuale, arrivò il rumore della notte, l'allarme anti-incendio che svegliò tutti. Si mise a sedere che ancora il cuore gli batteva all'impazzata. I dettagli di quello strano sogno sfumarono velocemente, ma la sensazione di angoscia rimase palpabile. Aspettò che la sirena si zittisse e poi si rimise a letto, ma non riuscì a dormire, decise di mettersi a studiare nella speranza di distrarre la mente, ma non ebbe molto successo. La storia proprio non gli piaceva.


venerdì 29 ottobre 2010

Elliot

L'orologio da tavolo lampeggiava furiosamente sulle 04:21. Gridava a più non posso che da più di quattro ore la luce era saltata, ma nessuno sembrava darle ascolto, così, infastidito e stanco di essere trascurato, si spense. Di nuovo. Era successo di nuovo. E come ogni volta, dopo i soliti tre minuti, scattò l'allarme anti-incendio.

Elliot quasi cadde dal letto per lo spavento. Doveva esserci abituato ormai, succedeva anche due o tre volte a settimana, ma non era certo il miglior modo di iniziare la giornata quello di essere svegliato da una sirena strampalata che, col suo motivetto allegro comunicava al mondo intero l'incapacità del padre o quantomeno la sua totale mancanza di rispetto per il sonno altrui.
Dopo alcuni secondi di sbandamento nei quali cercò disperatamente di aggrapparsi a quell'ultimo barlume di sonno che gli stava scivolando via dagli occhi, decise di alzarsi.
Solitamente quando scatta un allarme anti-incendio, la gente corre in strada, arrabattando più cose possibili lungo la via nella speranza di salvare qualche cimelio di famiglia dalle fiamme che si presume stiano divampando da qualche parte in casa. In un certo senso la tradizione era rispettata anche in casa di Elliot. Sua madre infatti, ogni volta che sentiva scattare l'allarme, come un automa scattava in piedi, arrabattava i primi vestiti che riusciva a trovare nell'armadio tenendo ancora gli occhi chiusi, li indossava sopra il pigiama e scattava fuori di casa come un fulmine, pronta per accogliere il vicinato che, per l'ennesima volta, era stato buttato giù dal letto ad orari improbabili e veniva a proporre le proprie rimostranze.
Questa mattina non fu diversa dalle altre, con l'unica differenza che Anna, la madre di Elliot, indossava un tailleur marrone, uno di quelli belli, con la camicia giallo canarino che aveva comprato la scorsa stagione durante il periodo dei saldi. Aveva la borsa a tracolla. Non c'era mai tempo per prendere la borsa, figuriamoci se poteva correre fuori casa con i tacchi.
Elliot cercò sul comodino gli occhiali. Qualcosa lo agitava e non aveva ancora afferrato cosa. Nonostante si svegliasse in quella maniera da sempre, non riusciva mai ad abituarsi. Trovò gli occhiali tra un portapenne e la lampada da tavolo che, evidentemente, stava tenendo una discussione molto accesa con le sue lenti e non sembrava assolutamente intenzionata a lasciarle andare perché, nel momento in cui riuscì ad inforcare gli occhiali, la prima cosa che il ragazzo riuscì a distinguere fu la lampada che si schiantava a terra trasformando il pavimento in un insieme di luccicanti vetri. Luccicanti. C'era qualcosa che non tornava e non riusciva ad identificare cosa.
Si strofinò la faccia per svegliarsi meglio e si avvicinò di nuovo alla finestra giusto in tempo per vedere la madre salire sulla sua berlina giallo canarino, accendere il motore ed andarsene.
Non c'erano vicini da accogliere, non c'erano scuse da porgere, non c'era il benché minimo interesse per la sirena scattata per l'ennesima volta. La gente camminava lungo il viale semplicemente ignorando quello che accadeva in casa sua.
Il perché di tutta quella gente in strada sembrava un mistero incomprensibile. E sua madre, dove se ne andava in giro a quell'ora del mattino? E da dove veniva tutta quella luce?

L' intuizione fu come una doccia gelata, una di quelle che ti fanno penetrare il freddo fin dentro le ossa. Corse giù per le scale evitando per poco uno dei giocattoli del fratellino, non si fermò neanche quando andò ad impattare contro il divano in mezzo al soggiorno. Fece una capriola degna di un campione olimpico sui morbidi cuscini color giallo canarino che la madre aveva da poco spiumacciato e continuò la sua folle corsa fino ad arrivare alla porta del garage. Entrò, o meglio, irruppe nel garage col fiato corto e, con quel poco di aria rimastagli nei polmoni, gridò "Che ore sono?".
"Buon giorno anche a te, tesoro" gli rispose il padre, anche lui vestito di tutto punto. Si stava sistemando la cravatta sotto il gilet giallo canarino che gli aveva regalato la madre lo scorso natale. Anna aveva una sorta di ossessione per il giallo canarino, tutto in casa o era di quel colore o era bianco. Orribile, ma dopo 15 anni ci si faceva l'abitudine, e Elliot i quindici anni li aveva compiuti da poco, pertanto si era ufficialmente abituato. "Scusami per il trambusto di poco fa, stavo finendo di sistemare questo maledetto circuito, quando una scarica di corrente ha fatto scattare l'allarme".
"Che ore sono?" ripeté Elliot che finalmente aveva recuperato l'uso della trachea iniziando però a perdere quello della pazienza. Il padre si guardò l'orologio da polso. Aveva avuto il tempo di mettersi anche quello. Di solito era un evento straordinario vederlo con qualcosa di diverso dalla sua tuta, e ora invece indossava gli abiti 'seri', quelli che si mettono solo per andare in ufficio o a cena fuori. Aveva persino l'orologio da polso, doveva essere proprio tardi.
"Sono le 9:32", batté due colpi sul quadrante e lo portò all'orecchio, lo agitò un po' e poi confermò "Si, sono le 9:32, ma tu non dovresti essere già a scuola?"
Elliot sapeva benissimo dove sarebbe dovuto essere a quell'ora, quindi non perse tempo ad aspettare la fine del discorso e scattò su per le scale, indossò le prime due cose che trovò nell'armadio e scappò via. Edward, il suo adorato fratellino, uscì dalla sua stanza giusto in tempo per vedere Elliot che saltellava per le scale cercando con una mano di infilarsi una scarpa e con l'altra di passarsi lo spazzolino da denti in bocca. Cadde.
Edward andò a recuperare il modellino di autotreno sul quale era inciampato il fratello ridendo come non mai per il buffo spettacolo al quale aveva appena assistito, molto più divertente di quello che di solito metteva in scena la madre. Ripreso il giocattolo se ne tornò a dormire in camera giusto in tempo per evitare la carica di Elliot che ritornava nella sua stanza tutto trafelato. Aveva dimenticato lo zaino.

Mentre sfrecciava per le strade del quartiere verso la scuola sulla sua bicicletta, pensava tra sé e sé che prima o poi avrebbe dovuto ammazzarlo il padre, non del tutto, quel tanto che bastava per impedirgli di stravolgergli la vita. Se lo appuntò a mente, magari lo avrebbe affrontato quella sera stessa, o magari l'indomani, o forse non lo avrebbe fatto per nulla. Dopotutto era divertente correre in bicicletta con ancora il toast al formaggio stretto fra i denti. Dopotutto non c'era mai da annoiarsi in casa sua. Dopotutto aveva una scusa plausibile per saltare l'interrogazione di storia.
Forse quel pomeriggio sarebbe uscito a comprare un regalo al padre per ringraziarlo.
La scuola iniziò a materializzarsi che Elliot ancora non aveva finito di fare la sua eccentrica colazione. Dapprima vide i piani alti, con le finestre piccole incastonate in un assurdo muro di colore rosa, spuntava da sopra il dosso che stava risalendo, poi iniziò a intravvedere gli alberi di castagno che circondavano il giardino, infine vide il cancello, di metallo verde, con le sbarre che si contorcevano sinuosamente per disegnare un leone con le ali, simbolo della loro scuola. L'istituto McFrancis.
Il custode stava chiudendo il cancello. Succedeva ogni giorno alle dieci in punto, ovvero quando non era più possibile entrare, dopodiché chiunque non si fosse presentato accompagnato da un genitore sarebbe stato rispedito a casa. Non oggi, non proprio quando doveva presentare il suo progetto di scienze, non dopo tutto il lavoro che aveva fatto. Accelerò più che poté, pigiò sui pedali con tutta la foga che aveva in corpo, si sollevò anche dalla sella per darsi una spinta maggiore. Si infilò nel cancello proprio mentre si stava per chiudere, mandando a gambe all'aria quel pover'uomo del custode che gli lanciò dietro tutte le maledizioni che gli vennero in mente, qualcuna la inventò lì sul momento, una più pittoresca dell'altra.
Avrebbe dovuto subirsi una bella predica dalla preside per il ritardo, ma ce l'aveva fatta, era arrivato in tempo, avrebbe avuto il suo foglio di ritardo firmato e si sarebbe andato a preparare per l'esposizione nell'aula di scienze.

"Di nuovo in ritardo, Summer?" la voce investì Elliot come un autotreno, ma uno di quelli reali, non come i modellini di Edward. Il sorriso scomparve dalle sue labbra, era Mallory, il bulletto della scuola. Tutte le scuole ne avevano uno, anzi, di solito ne avevano più d'uno. Loro avevano solo Mallory, ma valeva per dieci. Capitano della squadra di basket e cintura marrone di Karate. Amava ripeterglielo ogni volta che voleva rubargli i soldi per il pranzo o lo rinchiudeva in bagno per 'rifargli il capello'. Elliot aveva seri dubbi sulle competenze da acconciatore che si attribuiva l'altro, ma ogni volta che si ritrovava a testa in giù sul water si guardava bene dall'esporgli tali perplessità. Questa non ci voleva, poteva essere una giornata perfetta, invece c'era Mallory. C'era sempre Mallory. Il moscerino caduto nella zuppa di fagioli che altrimenti sarebbe squisita, ecco cos'era Mallory. La gramigna che infestava uno splendido giardino di rose. Tu provi ad evitarla, strapparla, soffocarla, ma quella rispunta fuori sempre più forte e ti distrugge il tuo bel giardino. Maledetto.
Elliot si voltò a guardare, magari era qualcuno che per fargli uno scherzo ne aveva imitato la voce. Già perché ogni bullo deve avere la sua vittima prediletta, e lui era quella di Mallory. Non certo un motivo di vanto, e per questo i suoi compagni lo prendevano in giro. Aveva un padre idiota, portava gli occhiali, era il classico secchione, e per cosa lo prendevano in giro? Per via del suo rapporto con il più simpatico e amichevole bulletto di quartiere.
Mallory era come al solito con i suoi due scagnozzi, Coso e Cosetto, così li chiamava. Elliot era sicuro che avessero un nome proprio, ma dubitava avessero un intelletto talmente evoluto da saperlo pronunciare. Dopotutto erano arrivati in seconda classe solo perché, dopo tre anni di militanza in prima, la professoressa era talmente disperata che pur di levarseli di torno decise di promuoverli.
"Non ho tempo ora, devo andare in classe" provò a dire, ma se ne pentì subito. Non si può negare ad un bullo l'immenso piacere di punzecchiare un po' le sue vittime. Per un lungo istante pensò se fosse il caso di chiedere scusa per la sua insolenza, ma poi suonò la campanella. L'amica campanella. Non come quella che lo aveva svegliato la mattina, no, l'amorevole e compassionevole campanella che segnava la fine della seconda ora e che avrebbe portato centinaia di studenti a riversarsi nei corridoi fornendo ad Elliot il diversivo necessario per liberarsi da quella fastidiosa situazione. L'ultima cosa che vide mentre si infilava nell'aula di scienze erano i volti sperduti di Coso e Cosetto che si guardavano in giro per cercare di capire da dove venisse quel suono. Due veri geni, non c'è che dire.

Il professor Stevens era già in aula, era appoggiato alla cattedra intento a leggere dei fogli. Il suo compito, la sua relazione. "Ottimo lavoro, come sempre, non vedo l'ora di assistere alla tua presentazione". Elliot aveva preparato un modellino di una casa alimentata con energie alternative e ne avrebbe elogiato davanti alla classe il risparmio economico che si sarebbe potuto avere con una casa del genere e l'impatto positivo che questa avrebbe avuto sull'ambiente. In realtà si era limitato a copiare quella che era casa sua. Suo padre era quello fissato con l'ecologia, o meglio, era fissato con le invenzioni elettroniche, se poi questo portava un vantaggio per la natura, tanto di guadagnato. Aveva passato le ultime due settimane a cercare di decifrare gli appunti del padre, si era anche fatto dare le planimetrie di casa dal catasto, ma quando aveva visto che ormai non corrispondevano a quella che era realmente casa sua, le restituì facendo finta di non averle mai prese. Aveva infine realizzato un plastico che riproduceva perfettamente quella serie di accrocchi meccanici ed elettrici che il suo papà si ostinava a chiamare invenzioni. Ora lo avrebbe presentato davanti ai suoi compagni che lo avrebbero guardato ammirati e acclamato come l'eroe dei nostri tempi. Le manie di grandezza doveva averle ereditate dal nonno. Forse ai suoi tempi la gente acclamava i compagni di classe, al giorno d'oggi però era ormai una pratica in disuso, ma a Elliot piaceva vagare con la fantasia e illudersi di essere speciale.

La sua esposizione alla classe durò circa venti minuti, elogiò le proprietà del fotovoltaico, decantò le magnificenze del riciclaggio e si entusiasmò parlando delle fosse biologiche. In cambio ne ricevette solo sbadigli e sguardi noncuranti. Un paio di ragazze dal fondo della classe parlottavano e sghignazzavano tra di loro sfogliando una rivista, un altro compagno batteva febbrilmente i tasti del suo cellulare per scrivere un messaggio, solo una persona aveva lo sguardo fisso nei suoi occhi, attenta e vigile, pronta a cogliere il più piccolo errore o imprecisione. Era Lara, coi suo occhialetti un po' larghi che le scendevano sul naso e che puntualmente prima di parlare si aggiustava col dito. Si sistemò in una coda la sua folta chioma di ricci castani, era pronta a parlare, era pronta ad attaccare, era pronta a stroncarlo.
Alzò una mano per chiedere parola nell'istante stesso in cui Elliot stava rimettendo via i suoi appunti. Una vera e propria dichiarazione di guerra non c'era mai stata tra di loro, ma da sempre si contendevano il ruolo del più secchione e sfigato della scuola. Elliot era in vantaggio per via dei pestaggi che subiva regolarmente, ma anche Lara si difendeva bene grazie agli scherzi che le facevano le altre ragazze. I due non si potevano vedere, e la soddisfazione dell'una era screditare l'intelligenza dell'altro. Due amici modello.
Non appena il professore le diede parola si alzò in piedi ed iniziò a sciorinare numeri, studi e pubblicazioni che integravano, quando non demolivano, quello che Elliot aveva faticosamente raccolto nel suo lavoro. La classe era un coro di risolini sommessi e ghigni malcelati, perché se è vero che le scienze non destano mai l'attenzione di nessuno, l'umiliazione pubblica di un compagno di classe è roba da prima pagina.
Alla fine della sua esposizione Lara sorrise dolcemente al professore e lo ringraziò per il tempo concessole, si sedette, alzò il suo sguardo verso Elliot, e tutto il suo trionfo e il suo odio si riversarono nella mente del ragazzo, che non poté fare altro se non massaggiarsi le tempie e avviarsi mestamente verso il suo posto. Sconfitto per l'ennesima volta.

Riuscì ad evitare Mallory per tutto il giorno, ma non le parole di scherno per la sua recente figuraccia, che lo accompagnarono ad ogni cambio dell'ora. A volte girava un angolo e vedeva un paio di compagni di classe che improvvisamente smettevano di parlare con altri ragazzi, oppure sentiva inconfondibili le risatine del gruppetto di ragazze che avevano finalmente trovato qualcosa di interessante da raccontare su una lezione di scienze. Ad ogni passo si sentiva sempre più ridicolo, e poi c'era lei, lei con cui divideva ogni corso, che frequentava tutte le sue classi e che non mancava di esibire il suo ghigno trionfante ogni volta che si incontravano. Lei lo salatuva. Lui le augurava una paralisi. Poi però puntualmente abbassava lo sguardo e rispondeva al saluto con un cenno della testa. Prima o poi doveva sbagliare, e lui sarebbe stato lì, magari con tanto di videocamera per riprenderla. La sua vendetta l'avrebbe gustata fredda, e di quel passo sarebbe stata di certo gelida. In due anni che frequentava quella scuola non era mai riuscito a coglierla in fallo. Lei, bella e trionfante, non aveva mai sbagliato. Maledetta.
Elliot accolse con sollievo il suono dell'ultima campanella. Finalmente era finita. In silenzio si diresse verso la classe di storia ad aspettare il suo amico Peter, con lui avrebbe fatto la strada per tornare a casa, e lui come sempre l'avrebbe consolato, come sempre l'avrebbe incoraggiato, come sempre l'avrebbe stracciato ai videogiochi. Peter, l'amico insostituibile, quello che c'era sempre, tranne ovviamente quando compariva Mallory, allora si dileguava. A volte Elliot si ritrovò a chiedersi se Peter e Mallory non fossero la stessa persona. Due facce della stessa medaglia. Dr. Jekill e Mr. Hide o, per essere più precisi, Bruce Banner e Hulk il verdastro. Quando c'era uno non c'era l'altro e viceversa. Maledetto.
Andarono a riprendere le biciclette ma, quando Elliot fece per togliere la catena che la legava alla rastrelliera, notò che la ruota posteriore era completamente squarciata. Evidentemente Mallory non aveva mandato giù la sua fuga mattutina, o forse il custode aveva deciso di passare dalle maledizioni ai fatti. Cos'altro poteva andare storto in quella giornata perfetta. Passò Lara che lo salutò "Bella esposizione oggi a scienze, peccato fosse così lacunosa". La stilettata finale. Bofonchiò qualcosa e si girò verso Peter.
Si caricò la bicicletta in spalla e si diresse verso casa dell'amico, doveva riparare la ruota prima di tornare a casa, altrimenti si sarebbe trovato a dover dare più spiegazioni del necessario. Tra sé e sé maledisse quella stramaledetta sirena ad ogni passo, se non avesse suonato sarebbe rimasto a casa tutto il giorno a fare nulla. Decisamente non sarebbe passato a comprare un regalo per il padre.