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lunedì 8 novembre 2010

Il Furto

Elengar era conosciuta in tutto il mondo come la città del vento. Le sue alte torri si inseguivano l'un l'altra nella loro corsa verso le nuvole come per cercare di graffiare il cielo.
All'origine dei tempi era la sede del Supremo Consiglio dei Maghi delle terre di Hoen, ma adesso, di quell'antico fasto, restavano solo le torri. La città in realtà era poco più di una fortezza arroccata sul monte Hoen, da cui prese il nome la Stirpe che vi abitava. Da principio ospitava solo la reggia del sovrano, le sale del Consiglio e la Grande Biblioteca. Quest'ultima era famosa in tutte le terre note come la depositaria di tutto il sapere del mondo. Nel tempo la Biblioteca aveva accolto studiosi provenienti da ogni terra e aveva dato lavoro a moltissimi maghi che si occupavano della salvaguardia e della manutenzione dei preziosi plichi. Visto il gran via vai di gente, presto iniziarono ad essere concessi permessi per edificare case, casette e casupole all'interno delle mura fortificate e all'ombra delle possenti torri. Lo spazio piuttosto risicato messo a disposizione fu completamente tappezzato da abitazioni di ogni genere. Questo non scoraggiò il flusso di immigranti che iniziarono a erigere un nuovo strato di case sopra il precedente. E poi un altro. E poi un altro ancora. Alla fine Elengar divenne una sorta di alveare umano, ognuno col suo spazietto risicato e sempre all'ombra delle possenti torri. Gli stretti vicoli e i consunti ponticelli che univano l'alveare si riempirono di umidità e di aria viziata. In breve tutto fu invaso da muschi e piante rampicanti che conferivano un aspetto magico allo squallore di quei luoghi. Meno magiche, ma più in linea con lo squallore, furone le orde di ratti, furetti e malattie che flagellarono la città fortificata. Il Consiglio fu costretto a bloccare i permessi di edificazione e a schierare un esercito di maghi guaritori per le vie della città.
Non potendo più costruire all'interno delle mura, le case iniziarono a spuntare qua e là su entrambi i versanti della montagna. Grosse porzioni di roccia furono scavate per permettere la costruzione di orti, fattorie e pascoli. Alla fine fu esteso il protettorato del Consiglio a tutta la montagna e nuove mura furono costruite a valle per proteggere la nuova Elengar.
Durante la Grande Guerra, la Guerra delle Stirpi, la vallata ai piedi del monte Hoen non fu mai avvicinata. Non tanto per via dell'enorme potere del Consiglio. Quando mai quelli si sono schiodati dai loro scranni. No, fu grazie a quelle torri assurdamente alte costruite su una città assurdamente alta. Nessuno poteva sbarcare sulle spiagge delle terre protette dal Consiglio senza che l'esercito di Elengar lo venisse a sapere.
Adesso le cose erano parecchio cambiate. Nella Grande Biblioteca erano tenuti solo libri di storia, annali, cronache e almanacchi. Il Grande Consiglio dei Maghi al termine della Grande Guerra perse il suo potere politico. Fu costituito un Consiglio dei Sovrani con sede al di la del mare, al centro delle Terre di Nessuno, dove, in maniera imparziale e senza l'uso di magia, venivano dipanate le questioni diplomatiche tra i vari regni. Il Consiglio, privo di una qualsiasi utilità, decise di dedicarsi ad altro. Fu così istituita una scuola di magia all'interno di quella che era la reggia di Hoen, anche se di reggia non si poteva più parlare visto che il Re ormai viveva altrove. Le abitazioni-alveare all'interno delle mura furono riservate agli aspiranti stregoni. Solo la Sala del Consiglio mantenne un qualche potere istituzionale, trasformandosi in Sala del Giudizio. Una sorta di foro dove veniva amministrata la giustizia della regione. Le segrete della fortezza divennero un luogo di detenzione mentre la vecchia Sala degli Almanacchi fu rinominata in Sala dell'Archivio e vi furono stipati tutti quegli oggetti requisiti ai detenuti o ai condannati a morte.
Quello era l'obiettivo di Kaila.

Fin da bambina Kaila non aveva mai avuto paura delle altezze. Ogni occasione era buona per arrampicarsi da qualche parte. Ivan, il padre, la rincorreva su tetti, alberi, cornicioni, spuntoni di roccia. Lui sempre terrorizzato, lei sempre divertita. Per quanto questa attività preoccupasse Ivan, Kaila non era mai caduta. Mai neanche un graffio, figuriamoci un braccio rotto. No, i suoi piedi non finivano mai in fallo. Anche ad occhi chiusi lei sapeva che i suoi passi non l'avrebbero mai tradita. Kaila non era in grado di spiegare questa sua capacità, ma era come se l'aria le parlasse. Le diceva come muoversi, dove appoggiarsi, a quale ramo aggrapparsi. Sapeva perfino distinguere quali erano gli appoggi sicuri e quali quelli che sarebbero franati sotto il suo peso. Forse un'eredità della sua Stirpe. Non c'era crepaccio, ponte o torre che la spaventasse. Non c'era salto, volo o caduta che la preoccupasse. Kaila era la ragazza equilibrista. Avrebbe avuto un radioso futuro nel circo, ma difficilmente Ivan glielo avrebbe permesso. E poi lei aveva paura degli orsi.
Per introdursi nella cittadella fortificata di Elengar aveva scelto la via del cielo, come sua abitudine. Al mattino presto si era recata all'ingresso della cittadella. Aveva indossato gli abiti da mercante del fratello e un grosso mantello nero il cui cappuccio le cadeva sul volto nascondendone l'identità. Si era presentata davanti agli armigeri semi addormentati di guardia al Grande Portone. Dopo aver ricevuto una forma di pane e mezza caciotta, l'avevano fatta passare senza fare domande. Era pur sempre l'ora di colazione e non si poteva certo cominciare la giornata a stomaco vuoto.
La torre di nord-est era quella più vicina alla Sala del Giudizio. Da lì sopra avrebbe avuto una visuale perfetta sul cortile interno e sull'ingresso delle segrete. Inoltre la torre era completamente abbandonata in quanto l'edera selvatica aveva fatto crollare buona parte delle scale interne. Un problema non da poco per gli armigeri della città. Un simpatico diversivo per la ragazza equilibrista. Una volta in cima alla torre Kaila si accucciò a terra, tirò fuori la sua sacca da sotto il mantello e prese qualcosa da mangiare. Voleva agire col favore delle tenebre. Inoltre quella era la prima notte di Luna nuova. Decise quindi di bivaccare sulla torre fino allo scoccare della mezzanotte. Al primo rintocco si sarebbe mossa, non prima.

L'attesa fu lunga. Il vento batté contro la torre incessantemente per tutto il giorno. Il freddo iniziò a poco a poco a minare la convinzione della ragazza. Ogni volta che era sul punto di rinunciare prendeva tra le mani il ciondolo-chiave. Le bastava fissare quel tenue bagliore per recuperare tutte le energie. Ripeteva tra sé e sé il piano come un mantra. Allo scoccare della mezzanotte il cortile interno veniva sigillato e quindi non ci sarebbero stati guardiani. Da li si poteva accedere alle segrete attraverso una grata che dava su una scala interna. Avrebbe dovuto forzare la serratura, ma avrebbe avuto accesso al dedalo di gallerie che si muovevano sotto la reggia di Hoen. Aveva con sé una piccola mappa che aveva disegnato di suo pugno basandosi sulle informazioni che aveva trovato sui libri di storia conservati nella Grande Biblioteca. Negli ultimi mesi non aveva fatto altro se non leggere cataste monumentali di pergamene dalle quali estrapolare qualche informazione sulla struttura interna della reggia. A volte le informazioni che trovava erano incongruenti, in certi casi anche contraddittorie. Quindi doveva continuare a cercare conferme su altri libri o facendo qualche domanda distratta agli armigeri ubriachi che venivano a poltrire nella birreria del padre. Alla fine aveva tracciato il percorso che l'avrebbe portata sotto la Sala dell'Archivio. Da lì, un montacarichi di servizio le avrebbe permesso di salire al piano superiore entrando direttamente nella sala senza essere vista.
Una volta trafugato il diario di sua madre avrebbe preso alcuni oggetti a caso per far si di smistare i sospetti. Se qualcuno si fosse accorto del furto, avrebbe pensato ad un ladruncolo che aveva arrabattato le prime cose che gli sembravano di valore. Non certo ad un colpo mirato a rubare il diario, e quindi presumibilmente nessuno l'avrebbe collegata al furto. Si sarebbe preoccupata in seguito di liberarsi della refurtiva in eccesso, per non rischiare che gliela trovassero in casa. Per uscire avrebbe usato la finestra che dava sulla Piazzetta, il centro della cittadella. Una volta scesa doveva tornare sulla torre di nord-est, recuperare il suo sacco e riscendere fino all'altezza delle mura, da li sarebbe scesa verso il lato esterno dove sarebbe stata libera.

C'erano tre falle potenziali nel suo piano, e avevano tutte a che fare con l'altezza. Per arrivare nel cortile interno della reggia avrebbe dovuto saltarci dentro. Per rallentare la caduta avrebbe dovuto utilizzare i pali conficcati orizzontali nel muro con gli stendardi del Consiglio. Il problema è che c'erano diverse centinaia di braccia a separare lei dagli stendardi. Cadere da quell'altezza non è esattamente come cadere dal tetto di una fattoria. In quel caso male che va ti rompi un braccio, o una gamba, o entrambe, ma si sopravvive. Kaila non era sicura di cavarsela altrettanto bene se avesse mancato anche solo uno di quei pali.
Per scendere dalla finestra della Sala dell'Archivio, la distanza era minore, ma gli appigli per rallentare la caduta erano molto più esili: grondaie, edera, ganci per tenere aperte le finestre. Infine calarsi dalle mura era la parte più difficile, perché lì di appigli non ce ne sarebbero stati. Solo qualche rientranza nel muro. Al massimo qualche blocco di pietra sporgente.
Kaila faceva molto affidamento sulle sue capacità, ma più si avvicinava la notte più si sentiva agitata. Iniziò a fare avanti e indietro tra le guglie della torre nella speranza di calmarsi, ma con scarsi risultati. Ogni tanto guardava giù per convincersi che ce l'avrebbe fatta ma vedeva solo le lanterne per le vie della città che man mano si affievolivano. Nessun conforto le giungeva da quel firmamento di fiaccole.
All'improvviso arrivò. Secco e violento il suono del rintocco della campana si espanse per le vie del borgo fin giù per tutta la vallata. Kaila sussultò. Il suo cuore perse un colpo. Le sue gambe e le sue mani si irrigidirono. Doveva farcela. Era arrivata fino a quel punto, non doveva tirarsi indietro.
Prese il ciondolo e lo fissò. Brillava come non mai. Kaila non riuscì a spiegarsene il perché ma qualcuno avrebbe potuto notarlo dalla città-alveare, quindi si affrettò a nasconderlo. Il ciondolo però aveva fatto il miracolo. Quella luce le era entrata dentro. Il suo cuore ora era calmo e il respiro non più affannoso. Poteva muoversi. Doveva muoversi. Era già in ritardo di due rintocchi. Salì sul cornicione, inspirò quanta più aria poté e chiuse gli occhi.

Non si accorse di preciso del momento esatto in cui i suoi piedi si staccarono dalla torre. Percepì solo il vuoto, l'aria e poi quella luce argentea che le aveva riempito la mente. Strinse il pugno quasi d'istinto e sentì il freddo acciaio del palo sotto le sue dita. Tenne forte la presa mentre sentiva il suo corpo girare intorno all'asta. Riaprì gli occhi nel momento in cui sentì di essere pronta a balzare nuovamente verso il prossimo palo. La sensazione di volare la inebriò completamente. Raggiunse il secondo palo. Poi il terzo. La caduta non era più così veloce. Spiccò l'ultimo balzo e questa volta arrivò a terra. Intatta. In piedi. Solo le ginocchia un po' piegate nello sforzo di fermarsi completamente. Ce l'aveva fatta. La sensazione della terra sotto i piedi le diede un capogiro. Il peso di ciò che aveva appena fatto le cadde addosso con tutta la sua violenza, ma lei riuscì a sostenerlo. Aveva compiuto un'impresa unica. Peccato non poterla raccontare a nessuno.
Le prime difficoltà non tardarono ad arrivare. La grata era esattamente dove doveva essere, il problema è che nessuno la usava da tempo immemore. Ci vollero diversi minuti perché Kaila riuscisse a sbloccarla. Aveva una serratura grande. Forzando i due perni interni con dei bastoncini di metallo doveva essere possibile aprirla, ma la ruggine aveva completamente bloccato l'ingranaggio. Uno dei bastoncini si ruppe, ma come ultimo gesto ebbe la cortesia di spaccare il chiavistello. Ci aveva messo troppa forza e adesso qualcuno avrebbe notato che quella grata non si richiudeva più. Un problema per volta. Aveva ancora il suo piano di sicurezza per sviare i sospetti. Poteva ancora farcela. Oltrepassò la grata e usò il bastoncino spezzato per bloccare la serratura meglio che poteva. Per qualche giorno avrebbe retto e se nessuno usava quell'ingresso poteva persino passarla liscia.
La mappa si rivelò meno accurata del previsto. Un paio di volte si ritrovò in un vicolo cieco e più volte rischiò di essere intercettata dagli armigeri di guardia alle prigioni. Prese la borraccia che aveva con sé ed iniziò a spegnere tutte le fiaccole per permettere al buio di favorire il suo passaggio. Alla fine si ritrovò di fronte ad una specie di piccola porticina con sopra il simbolo di una montagna con sopra una falce di Luna. Il simbolo del Consiglio. Kaila si infilò nel montacarichi. Incredibilmente trovò estremamente semplice far salire il piano mobile tirando la corda presente all'interno del vano. Come se ci fosse una qualche magia strana che riducesse il suo peso. Arrivò al termine della salita e vide una serie di ruote di diverse dimensioni attraverso le quali passava la corda che aveva tirato. Niente magia quindi, solo uno strano marchingegno.

La Sala dell'Archivio era, a prima vista, un unico ammasso di cianfrusaglie. Impossibile sperare di trovare qualcosa. La stanza si estendeva in lunghezza e al centro c'era un enorme tavolo con decine e decine di scranni. Un arredamento assai poco consono al tipo di funzione che la stanza doveva svolgere. In passato probabilmente era servita ad altro. Sul tavolo erano ammonticchiate cataste di cose, ma sembrava esserci una logica. Si avvicinò alla prima montagnetta e trovò diversi monili. Ne prese un paio, quelli più grossi. Servivano per il suo piano di sicurezza. Più in là trovò una catasta di lettere. Non sembravano molto vecchie. L'orribile idea che i reperti troppo vecchi venissero distrutti si affacciò nella mente della ragazza, ma cercò di scacciarla subito per non scoraggiarsi. Trovò le cose più strane. Cataste di armi seguite da cataste di specchi seguite a loro volta da cataste di gioielli.
Kaila girò distrattamente intorno al tavolo alla ricerca di un qualche registro nella speranza che tutto ciò che veniva riposto in quella sala fosse accuratamente archiviato. Non trovò nulla di simile, ma aggiunse alla sua collezione un paio di stiletti in oro e un bellissimo ferma-capelli in argento.
Mentre si aggirava tra i vari mucchi di roba sempre più sfiduciata, Kaila sentì un calore enorme venirgli dal petto. La luminosità del ciondolo iniziò a risplendere anche attraverso il mantello nero. Stava vibrando, come d'eccitazione. L'aveva trovato. Il diario e la chiave si chiamavano a vicenda. In una catasta di libri vide un leggero bagliore argenteo. Ci si precipitò come un avvoltoio e iniziò a rovistare tra i volumi. Ce n'erano di tutti i tipi e su ogni argomento. Alcuni erano ricettari di cucina, altri erano registri contabili. In fondo c'era un piccolo quaderno con una copertina argentea che risplendeva fioco alla luce delle lanterne. C'era sopra il disegno stilizzato di una città costruita su una nuvola. Di fianco pendeva un lucchetto molto piccolo. La serratura era appena accennata. Perfetta per la sua chiave. Kaila lo prese al volo insieme ad altri due volumi a caso. Era fatta. Ora doveva andarsene.

Saltare dalle finestre della reggia poteva essere rischioso. Un balzo del genere poteva non passare inosservato. Kaila uscì dalla finestra più a nord. Salì sul cornicione e richiuse la vetrata dietro di se. Accanto a lei si ergeva una colonna in granito che andava da terra fino alla base del frontone triangolare che sovrastava l'intera struttura e che riportava un bassorilievo con gli stemmi della Stirpe di Hoen e del Gran Consiglio dei Maghi. La colonna aveva delle scanalature a spirale che permisero a Kaila di scendere a terra senza eccessivo sforzo e senza essere notata. Da lì la via fu semplice. I lampioni ormai spenti e il cielo completamente scuro nascosero la fuga della ragazza tra le vie dell'alveare. Kaila sentiva la felicità montarle dentro quando, voltando un angolo, si trovò di fronte due armigeri. Cavolo, non se n'era accorta. Erano gli stessi della mattina precedente, quelli che sonnecchiavano davanti alla porta. Non sembrava l'avessero riconosciuta e il cappuccio continuava a proteggere la sua identità. Il fagotto che la ladra portava con se però non passò di certo inosservato.
Kaila iniziò a correre a più non posso, non avrebbe fatto in tempo a recuperare il suo sacco. Se ne sarebbe occupata l'indomani. Forse però poteva fregare i suoi inseguitori.
Si infilò nella torre di nord-est che i due armati le erano ancora alle spalle. La scalinata rotta li rallentò ma non li fermò. Arrivata all'altezza delle mura Kaila iniziò a correre verso sud ma fece in modo di non seminare i suoi inseguitori. Quando questi le furono addosso lei con un balzo oltrepassò il parapetto e fu libera nel vuoto. Increduli, i due armigeri fissarono la sua caduta finché la lanterna che portavano con loro glielo permise. Kaila non seppe cosa ne conseguì, però il giorno dopo ci fu un gran vociare per le strade della città. Tutti parlarono di un ladro possente. Un uomo mascherato che aveva derubato gli archivi della città ma che, quasi acciuffato da due valorosi guerrieri, aveva scelto la strada del suicidio. No, il corpo non era stato ritrovato e no, non si sapeva come avesse fatto ad entrare. Nessuno seppe che fine avesse fatto la refurtiva e in cosa consistesse di preciso. Tutti però erano concordi sul fatto che se non fosse terminato in tragedia, quello sarebbe stato il furto del secolo.


venerdì 5 novembre 2010

Il Diario

La notte era ormai calata da diverse ore. Le stelle erano più vivide che mai a quell'altezza, senza le luci della città ad adombrarle. Pulsavano di una luce fredda e al contempo misteriosa disegnando strane geometrie nel cielo. Come una danza magica volta a richiamare la loro regina, la loro signora che le aveva abbandonate senza lasciar traccia. Era la prima notte di Luna nuova, il momento perfetto per agire. Il buio totale ammantava tutto come una calda coperta fatta di oscurità e protezione. Nessuno avrebbe notato quello strano mantello nero che si aggirava indomito tra le guglie di protezione della torre più alta in attesa del momento giusto per muoversi.
Le fiaccole lungo le strade lentamente si spensero augurando la buona notte a tutta la cittadella fortificata. Kaila ripassò mentalmente il piano, era un buon piano, così almeno si era ripetuta fino a convincersene. Erano mesi che ci lavorava, che pianificava ogni singolo respiro, ogni singolo battito del suo cuore, ogni singolo movimento dei suoi muscoli. Fino a quel momento era andato tutto bene, ma quella era la parte facile del piano. Se avesse commesso qualche errore in quel frangente avrebbe dovute prendere seriamente in considerazione l'idea di cambiare mestiere. Non che quello della ladra fosse il suo vero mestiere. Era più un lavoro occasionale, uno di quei lavori saltuari che si fanno una sola volta nella vita giurandosi che mai e poi mai si sarebbe più corso un rischio del genere. Insomma, Kaila era alla sua prima esperienza e aveva intenzione di iniziare col botto. Di fare il colpo che ogni ladro sogna di fare prima o poi nella sua vita, e poi basta. Mai più. Non lei, la contadinella che passa la vita tra la piantagione di luppolo e la birreria del padre. Non lei, la dolce ragazza che un giorno sarebbe andata in sposa al figlio del panettiere. Era quella la sua vita. Stasera lei sarebbe stata un'estranea persino per se stessa, Kaila la Ladra. E il bello è che in città tutti la conoscevano e tutti la amavano, e quindi nessuno si sarebbe preso il disturbo di sospettare di lei, ammesso che non si facesse beccare. E questa era la parte difficile del piano, quella che sarebbe iniziata da li a poco, al primo rintocco della campana.

Tutto era cominciato circa un anno prima: al termine della raccolta del luppolo suo padre Ivan e suo fratello maggiore Felz partirono alla volta della città di Salingar dove avrebbero barattato metà del raccolto con diverse varietà di malti che avrebbero miscelato per preparare la birra. Sulla porta della birreria fu appeso il solito cartello che informava gli avventori che sarebbero rimasti chiusi per circa due settimane, e così Kaila rimase sola in casa a fare la guardia ai polli e alle anatre.
Era abitudine che, mentre gli uomini di casa si occupavano dello scambio del luppolo, lei avrebbe avuto l'onere di fare il cambio di stagione. Avrebbe portato in soffitta i panni troppo leggeri da usare in periodo estivo sostituendoli con gli abiti più pesanti, quelli di lana e di cuoio che avrebbero tenuto caldo durante l'inverno che stava arrivando. Il lavoro era lungo e metodico. Bisognava prima lavare ed asciugare tutti i panni estivi. Andavano poi piegati accuratamente cospargendoli con poca farina di mais che avrebbe impedito all'umidità invernale di far germogliare la muffa sui vestiti. I panni piegati venivano poi riposti in due bauli leggeri di cuoio rinforzato avendo cura di riempirli il più possibile così da lasciare nel baule meno aria possibile. Infine avrebbe aggiunto qua e la tra i vari strati di stoffa dei rametti di fiori di lavanda che servivano a tener lontano le tarme. Era sufficiente un solo baule per stipare tutti i panni del padre e del fratello, mentre il secondo baule era completamente riservato a lei.
In famiglia non erano molto ricchi, ma il padre adorava vederla girare per il paese come un'aristocratica signora, quindi metteva ogni soldo da parte per farle la dote e, ogni tanto, per comprarle qualche vestito nuovo, di quelli buoni, non come gli stracci che indossava lui. Nel tempo i vestiti si erano accumulati e adesso Kaila poteva persino cambiarsi d'abito una volta a settimana.
Una volta portati i bauli estivi in soffitta, era il momento di portare quelli invernali al lavatoio, ma mentre cercava di tirar giù da un ripiano l'ultimo dei bauli, il suo, quello più grosso che si incastrava sempre, fece troppa forza e venne giù tutto lo scaffale. Kaila rovinò a terra e su di lei si riversò tutto il contenuto dei ripiani, compresi i ripiani stessi. Non si era fatta molto male nella caduta, i bauli che aveva ordinatamente posato sul pavimento avevano attutito la caduta dello scaffale, ma qualcosa di pesante le era caduto in testa, e quello si che le aveva fatto male. Era un baule più piccolo degli altri. La ragazza non l'aveva mai visto, probabilmente era nascosto sul ripiano più in alto dove lei non arrivava. per di più nella caduta si era aperto e adesso il contenuto era completamente rovesciato sul pavimento. Kaila si tirò via da sotto lo scaffale e cercò di alzarsi. La fronte le pulsava fortissimo dove il baule l'aveva colpita, le girava anche un po' la testa, tanto che dovette appoggiarsi ad una delle colonne che reggevano il tetto per evitare di cadere di nuovo. Si toccò dove le faceva male e fu come se un ago rovente le si fosse conficcato nella fronte, la testa girò ancora più forte e quasi perse l'equilibrio. Scivolò a sedere con la schiena lungo la colonna e aspettò un po' che il dolore si affievolisse. Si ritrovò accucciata accanto al baule e al suo contenuto e la cosa che le saltò subito agli occhi fu un disegno, o meglio, l'angolo di un disegno che sporgeva dal baule rivoltato. Lo trasse a sé e rimase a bocca aperta.
Kaila sapeva che da giovane il padre era un bravo disegnatore, molti venivano alla sua fattoria per chiedere un ritratto, ma lei non lo aveva mai visto disegnare. Suo fratello le aveva raccontato che aveva smesso quando la loro madre era morta e aveva bruciato tutti i dipinti che aveva realizzato. Quello si era salvato, ed era anche evidente il perché, era un disegno meraviglioso, che ritraeva sua madre seduta su una sedia a dondolo intenta a cullare un neonato. Il neonato aveva un vestitino con una 'K' ricamata sopra. Era la sua iniziale. Quel neonato doveva essere lei, e la madre, oh com'era bella, e quanto era radioso il suo sorriso. Quello doveva essere il baule in cui il padre aveva nascosto tutti i ricordi che aveva della defunta moglie.
Per un attimo Kaila pensò di aver profanato una sacra reliquia, ma poi la curiosità ebbe la meglio e, ancora dolorante, si avvicinò al baule e cominciò a studiarne il contenuto.
Oltre a qualche disegno aveva trovato un paio di vesti, una delle quali doveva essere quella che sua madre aveva indossato il giorno del matrimonio. Trovò l'anello con cui suo padre l'aveva sposata. Trovò anche alcuni sacchetti contenenti petali ormai secchi di fiori che Kaila non riuscì ad identificare. Mentre riponeva tutto nel baule con meticolosità quasi reverenziale, vide un piccolo luccichio proveniente da una tavola del pavimento. Qualcosa uscito dal baule si era conficcato nel legno, Kaila lo raccolse e vide che era una chiave d'argento, piccolissima, impensabile che potesse aprire qualcosa, per di più non c'era niente nel baule che richiedesse di essere aperto con una chiave. Decise di tenersela, prese la catenina che portava al collo, se la tolse e vi infilò la chiave. Finché non avesse scoperto cosa poteva aprire, quella chiave sarebbe stata il suo ciondolo, il suo ricordo di una madre che purtroppo non aveva avuto modo di conoscere.

I giorni passarono e Ivan e Felz fecero ritorno a casa con un carico abbondante, nei giorni successivi avrebbero iniziato a preparare i barili di birra per la fermentazione, quindi sarebbero stati indaffarati, e comunque la taverna andava riaperta, quindi a Kaila spettò il compito di stare dietro al bancone. In lei si fece forte la voglia di chiedere informazioni al padre a proposito della madre e di quella piccola chiave, ma per qualche motivo rimandava sempre. Aveva paura, di cosa non lo sapeva, ma ogni volta che provava ad avvicinare il padre si bloccava.
Decise di rivolgersi al fratello, dopotutto lei era ancora piccola quando la madre morì, ma il fratello aveva compiuto sei anni, doveva pur ricordarsi qualcosa. Così si fece coraggio e andò nella stanza di Felz. "Tu ti ricordi di quando è morta la mamma?" la domanda a bruciapelo aveva spiazzato il ragazzo che impiegò qualche istante a riprendersi "Perché me lo chiedi?" cercò di evadere la richiesta. "Beh, in soffitta ho trovato un baule con dentro le cose della mamma, c'erano anche dei disegni di papà, e poi c'era questa" Kaila tirò fuori dalla veste il ciondolo-chiave e lo mostrò al fratello che assunse un aria quasi seccata. "Senti Kai, quella chiave dovrebbe sparire, non la dovrebbe trovare nessuno, buttala nel fiume appena puoi". La ragazza fissò quell'innocuo pezzo di metallo senza capire come potesse essere così pericolosa. Il fratello, cogliendo il dubbio negli occhi di Kaila cercò di spiegare. "Vedi, la mamma non era di queste terre, veniva da Andalia, la città nel cielo, la città perduta. Quello che so è che quelli della sua Stirpe erano perseguitati perché avevano degli strani poteri, è per questo che la mamma è stata ammazzata". Ammazzata. Kaila sapeva che la madre era morta di febbre nera, e invece era stata ammazzata. Crollò a sedere sul letto alla notizia, con lo sguardo perso nel vuoto. "Non te l'abbiamo mai detto perché non volevamo che vivessi nella rabbia e nell'odio come noi". Kaila rimase a sedere ancora qualche istante a giocare nervosamente con la piccola chiave tra le mani. "A cosa serve la chiave?" chiese ancora "Non lo so, dico sul serio, ma se è della mamma avrà qualche potere magico, guarda come luccica, qui non ci sono luci forti che possano giustificare quella strana luminosità". Questo Kaila non l'aveva ancora notato, ma in effetti era vero. L'aveva sempre guardata di giorno, e comunque l'aveva sempre tenuta sotto le vesti al riparo da sguardi indiscreti, eppure adesso che l'aveva in mano non riusciva a spiegarsi come aveva fatto a non notare quella luce fioca e argentea che la chiave emanava.
Si congedò dal fratello con un sorriso forzato e se ne tornò nella sua stanza, al buio, a fissare la chiave che rischiarava debolmente il palmo della sua mano. Neanche si accorse delle lacrime che avevano cominciato a scendere sulle sue guance, prima piano, poi sempre più copiose e accompagnate da qualche singhiozzo. Pianse per ore, poi, sfinita, si addormentò. Sognò una luce immensa e poi un sorriso, un sorriso senza volto, come se fosse libero dai vincoli corporei ma legato direttamente ad un'anima. Un'anima gentile di uno sfavillante colore dorato. Un'anima che l'avrebbe aiutata, a fare cosa, ancora non lo sapeva, ma la fece sentire bene.

Per alcuni giorni Kaila evitò di incrociare lo sguardo del fratello che, dal canto suo, aveva deciso di lasciarle il tempo di metabolizzare le sue parole. Una sera, mentre infuriava la tempesta, lei rimase da sola nella birreria con il padre. Con quel freddo maledetto e la mole d'acqua che veniva giù, nessuno avrebbe rinunciato al calduccio del proprio focolare. Non per quella sera almeno, neanche per assaggiare la birra di Ivan, rinomata in tutto il paese. L'occasione era perfetta, il padre era piuttosto allegrotto, anche grazie a qualche pinta di birra di troppo. Era il coraggio l'unica cosa che mancava all'appello, quello di Kaila ovviamente, perché di quello di Ivan non si poteva dubitare, soprattutto dopo che lo aveva spinto ad aprire la taverna anche con quel tempo del cavolo.
Kaila fece un respiro profondo e iniziò a parlare, tutto d'un fiato, così da evitare di perdersi nel discorso e di iniziare a pentirsi di aver aperto bocca. "Ecco, ho trovato questa chiave... stava nel baule della mamma... non volevo, è che mi è caduto in testa... e ho trovato la chiave... so com'è morta la mamma, me l'ha detto Felz... mi ha detto di buttarla... ma io non ce l'ho fatta... non ti arrabbiare... volevo sapere... ecco... insomma, la chiave aprirà qualcosa, certo, è una chiave... ma non ho trovato niente e... non volevo frugare, è che mi è caduto in testa e... e si è aperto... ma poi l'ho rimesso a posto... però ho tenuto la chiave..." La voce della ragazza si spense con le lacrime che le riempivano gli occhi, lo sguardo basso per non incontrare quello del padre. All'improvviso due possenti mani le si appoggiarono sulle spalle, ma con delicatezza. Sussultò un attimo, poi alzò gli occhi a cercare quelli del padre. Le stava sorridendo, ma era un sorriso triste. C'era tristezza nei suoi occhi, però non era arrabbiato. Era quello sguardo, di quello aveva paura, era quello che le impediva di parlare. Non era la rabbia che temeva, ma la tristezza. Quella tristezza che inevitabilmente arriva quando si riporta a galla un dolore forte.
"Quella chiave apre il diario di tua madre. Vedi, gli Edori, la Stirpe da cui discendeva tua madre, avevano il potere della preveggenza, e questo spaventava molta gente, gente stupida, così tua madre si teneva per se le sue profezie. O meglio, le scriveva su un diario, era un piccolo quaderno con poche pagine, ci appuntava solo quelle che riteneva più importanti. No, so cosa stai per chiedere, io non le ho mai lette e no, non ho il diario con me. Quello le fu confiscato, prima che me la impiccassero come eretica. Se lo sono tenuti nel loro archivio nella speranza di riuscire ad aprirlo. Idioti. Quella chiave è magica, come lo è il diario, senza quella chiave non si potrà mai aprire, quindi finché quella chiave sarà al sicuro, nessuno potrà leggere quelle profezie."
Kaila si sedé su una panca e così fece il padre, così che lei potesse appoggiarle la testa sulla spalla. "Dov'è successo?" "Qui ad Elengar, sono passati ormai tredici anni" Kaila continuò a fissare la chiave che teneva in mano, quel bagliore adesso la turbava. Fece per restituirla al padre, ma Ivan prese la mano della ragazza e la chiuse intorno alla chiave "Questa chiave ti appartiene, tua madre voleva che l'avessi tu". "Come fai a saperlo?" chiese lei perplessa "Quel diario lei ce l'aveva da prima che la conoscessi, eppure, guardala bene, intendo la chiave, avvicinatela". Kaila fissò quella chiave da pochi pollici di distanza e, per la seconda volta, rimase stupida, un altro dettaglio così evidente le era sfuggito: il passachiavi, il foro che permette ad una chiave di essere inserita in un portachiavi, era forgiato a forma di 'K', ancora una volta la sua iniziale. Kaila sorrise. Guardò il padre e sorrise di nuovo, di gusto. Era felice. Sua madre le aveva lasciato un dono. "Dai su, andiamocene a casa che tanto stasera non si batte cassa".
Quella notte Kaila non pianse come si sarebbe aspettata, non odiò neanche, come invece si aspettava il fratello. No, quella sera Kaila iniziò la sua metamorfosi che l'avrebbe fatta diventare una ladra. Quel diario era suo e aveva il diritto di riprenderselo. Lo avrebbe fatto ad ogni costo. Fuori la bufera si era calmata e dalle nuvole fece capolino la Luna. Un piccolo raggio di quella luce argentea passò dalla finestra di Kaila fino ad arrivare alla chiave che iniziò ad irradiare tutta la stanza con quella stessa luce. Avrebbe ripreso quel diario, a costo di diventare una ladra. Era il suo destino. Era quello che avrebbe voluto sua madre. Questo fu il suo ultimo pensiero, poi venne il sonno. Un sonno agitato e pieno di luce, e c'era di nuovo l'anima gentile che l'avrebbe aiutata. Era forse una profezia? Aveva anche lei i poteri della madre? Forse rubare il diario sarebbe stato più facile del previsto. No, quello l'avrebbe fatto da sola. L'anima gentile sarebbe arrivata dopo. Poi di nuovo quella luce immensa, potente, magica e tutto divenne confuso, come se si fosse alzata una fitta nebbiolina dorata. Kaila alzò lo sguardo e la vide, immensa, nel cielo. Era Andalia. La terra degli Edori. La terra della sua Stirpe. E lei l'avrebbe ritrovata.