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giovedì 9 dicembre 2010

Hangwick



La pioggia può essere un'amichevole compagna di viaggio. Kaila iniziò ad apprezzare il ritmico sottofondo delle gocce che rimbalzavano sulla tettoia improvvisata costruita da Felz. Il loro viaggio era iniziato ormai da diverse ore, ma ancora non avevano raggiunto le pendici del monte Hoen. A vederlo dall'alto, quel mondo fatto di campi, foreste e corsi d'acqua sembrava così piccolo e irraggiungibile. Sul primo punto Kaila dovette ricredersi. Man mano che si avvicinavano cominciava ad avere l'idea delle immensità che le si paravano di fronte. Sul secondo punto, beh, dopo cinque ore di viaggio ancora non riuscivano a venire a capo di quegli interminabili tornanti, quindi sì, era decisamente irraggiungibile.
Le continue curve a gomito che si alternavano sotto le lente ruote del carro avevano iniziato a dare la nausea alla ragazza. Ad ogni tornante incontravano nuove fattorie, nuovi campi, nuovi profumi. Come la città di Elengar, anche l'intera montagna sembrava un immenso alveare dove le operose api procedevano nel loro incessante lavoro. La pioggia stava rendendo la strada impervia. Placidi rigoli d'acqua ghermivano la pigra terra battuta del sentiero trascinando a valle detriti e ciottoli. Ad ogni tornate piccole cascate si univano a formare quello che sembra un leggero torrente del colore del cioccolato. Quello allungato con il latte appena munto dalle mucche. Una prelibatezza che

nei giorni di festa
Ivan preparava per i figli sciogliendo in acqua calda quei pochi blocchi di cioccolato che riusciva a permettersi al mercato. Una bevanda tanto gustosa da rendere le fredde serate invernali più sopportabili.

Una leggera sensazione di fame colse Kaila all'improvviso. Non era esattamente fame. Qualcosa di più inusuale. Era golosità. Da giorni aveva come questa strana voglia di cose estremamente dolci. Ogni volta che il sorriso gentile tornava a far visita nei suoi sogni, al risveglio sentiva il richiamo della dispensa. Quella più in alto. Era lì che Ivan nascondeva le poche leccornie che entravano in casa. Le abitudini erano dure a morire, e il fatto che ormai sia Kaila che Felz fossero abbastanza alti da raggiungere quegli sportelli non aveva spinto l'uomo a trovare un nuovo nascondiglio per i dolciumi. Eppure non era il cioccolato ad attirarla. No, quello per tradizione si mangiava durante l'inverno con il latte caldo. Non avrebbe avuto lo stesso sapore preso così, senza tutto quel contorno familiare che rendeva le serate di festa tanto speciali. L'attenzione di Kaila veniva attratta dalle ciliege. Quelle sotto zucchero che lei e Felz preparavano in agosto, dopo la raccolta.

Era stata sua madre ad iniziare quella tradizione e Kaila trovava che il rito della preparazione delle ciliege fosse come un piccolo legame che la riportasse tra le braccia di quella donna da cui era stata separata troppo presto. E poi era troppo divertente stare lì ad aspettare il concerto di schiocchi che veniva dai tappi di latta una volta che il sole aveva sciolto tutto lo zucchero presente nel barattolo. Una volta Ivan le disse che quello era un vero e proprio sigillo. Come quelli che gli stregoni applicano alle magie per imporvi la loro volontà.

L'uso dei sigilli era una delle materie considerate più importanti tra quelle insegnate alla scuola di magia di Elengar. Kaila non riusciva a coglierne il fascino, pensava fossero solo una cosa buffa. Una superstizione. Eppure quel rito delle ciliege la mandava in estasi. Forse era quella la vera magia che si nascondeva dietro ai sigilli.



Aprì il suo grosso fagotto e ne trasse fuori un barattolo di ciliege. Era grande, ma era pieno solo a metà. Ultimamente il sogno del sorriso gentile si era ripetuto spesso. Allo sguardo perplesso di Felz, Kaila rispose con un sorriso imbarazzato. Si sentiva come quando da bambina veniva colta sul fatto mentre faceva qualche marachella. Il fratello però doveva trovare quello sguardo estremamente tenero, perché scoppiò a ridere e accarezzo la ragazza tra i capelli con affetto. Alla fine Kaila riuscì a vedere il mondo al di fuori dei confini del monte Hoen. Il barattolo no. L'ultimo tornante disse addio alle ultime ciliege pescate dai due affamati e golosi fratelli.

Il calore che quel succo provocava scendendo giù per la gola sciolse il ghiaccio che attanagliava l'animo della ragazza Evidentemente anche la lingua doveva essere in qualche modo congelata, perché man mano che le ciliege nel barattolo diminuivano, le chiacchiere tra i due aumentavano. Kaila iniziò a sentire la testa leggera, scevra da ogni tipo di preoccupazione. Un nuovo mondo si stava aprendo davanti ai suoi occhi e lei sentiva la necessita di assaporarne ogni singola goccia. Le domande si formavano da sole nella sua mente e lei non faceva nulla per trattenerle. Così iniziò a chiedere informazioni su ogni fattoria che incrociavano. Scoprì che in realtà non era necessario avere un bell'appezzamento di terra per poter coltivare in montagna. Molte fattorie infatti avevano grossi frutteti, altre invece si limitavano ad allevare animali. Quello che andava per la maggiore era l'ulivo. A quanto diceva Felz questo tipo di albero cresceva anche nelle condizioni più avverse e l'olio che se ne ricavava si vendeva molto bene e sul pane era un vero e proprio dono del cielo. Kaila rimase sorpresa del fatto che la loro fattoria fosse l'unica a coltivare il luppolo. A quanto pareva bisognava allontanarsi parecchio per trovare altri produttori di questa pianta così particolare. Questo aveva reso negli anni i loro affari molto prosperi.



La strada iniziò a stiracchiarsi abbandonando la monotonia dei tornanti. Il pendio si fece meno scosceso. Le fattorie diminuirono. Presto il percorso iniziò ad essere affiancato da grandi alberi con enormi chiome che formavano una sorta di galleria verde che forniva un minimo di riparo dalla pioggia. Il tamburellare incessante della pioggia divenne aritmico e il carro accelerò il passo. Erano finalmente giunti a valle. Felz identificò i grandi arbusti come castagni. Kaila adorava le castagne, ma non aveva mai visto da dove arrivassero. Si sporse dal carro per raccogliere un frutto da terra. "Ahi!" una piccola goccia di sangue si disegnò su uno dei polpastrelli della sua mano. "Quello è un riccio, fai attenzione perché punge. Se lo apri dentro dovresti trovare due o tre castagne" disse Felz. "Potevi dirmelo prima, ormai mi sono punta" rispose seccata Kaila mentre si succhiava la punta dell'indice. Felz scoppiò a ridere di cuore. Una risata contagiosa che alla fine riportò anche Kaila di buon umore. "Ho imparato qualcosa! D'ora in poi le castagne lascerò che sia tu a venirle a raccogliere" riprese la ragazza facendo la linguaccia al fratello.

Il viaggio continuò lieto e tranquillo verso est per tutto il pomeriggio. I due consumarono il pranzo a bordo del carro. Kaila aveva preparato il pane quella mattina e ne aveva portato con sé mezzo filone. Con un po' di cacio e qualche fico secco sconfissero la fame. Con un sorso di birra fecero strage della sete e della lucidità. Iniziarono a ridere per ogni sciocchezza. Kaila quasi cadde dal carro per le risate quando una farfalla si appoggiò tra i crespi capelli castani del fratello. Felz invece di scacciare l'insetto iniziò a schiaffeggiarsi la nuca. Era arrivato il momento di fermarsi, altrimenti sarebbero finiti dentro ad un fosso prima di riuscire a rendersene conto.

Col passare delle ore la pioggia si calmò. La luce iniziò a scemare. La stanchezza iniziava a farsi sentire. Un gruppo di case comparve all'orizzonte. Non c'erano locande, le uniche coseche avevano era un recinto di animali ed una grande stalla. Chiesero ospitalità per la notte e gli furono concesse un paio di balle di fieno nella stalla da dividere con le avide mucche. Mentre Felz asciugava i cavalli, Kaila accese un piccolo fuocherello e iniziò a scaldare un po' d'acqua. Aveva con se fagioli secchi e cipolle. L'odore della zuppa si sparse per tutto il piccolo villaggio e in poco tempo i musi bavosi delle mucche furono sostituiti dai musi sbavanti degli abitanti. Kaila abbrustolì un po' di pane e qualcuno portò un po' di olio da versarci sopra. In breve fu allestito un piccolo banchetto. Felz aprì uno dei barili di birra che avevano sul carro e la festa ebbe inizio. Continuarono a cantare e a danzare fino a notte fonda. Il cielo si rischiarò e qualche stella fece capolino. Quello che dapprima era un fuocherello si trasformò in un falò e tutti intorno iniziarono a raccontare storie e aneddoti di vita vissuta.

Man mano che la birra si faceva strada nel loro sangue, le storie diventavano sempre più surreali. Quando Felz disse che erano diretti ad Hangwick tutti trasalirono e iniziarono a narrare storie di stregonerie e di mostri. Di fantasmi di luce e di lupi dalle sembianze umane. Kaila scoppiò a piangere a forti singhiozzi terrorizzata. L'alcol le faceva immaginare cose incredibili. Quando fuori dalla porta della stalla vide delle figure muoversi nell'ombra si rintanò tra le braccia del fratello. "Tranquilla, è solo il vento che muove gli alberi".

Alla fine tutti tornarono alle proprie case. Una coppia di anziani signori invitò i due giovani forestieri a dormire nella loro umile dimora. Dopotutto si sentivano un po' in colpa per aver spaventato la ragazza, e poi volevano sdebitarsi per la bella serata. Felz accettò l'invito e si caricò in braccio la sorella ormai pesantemente addormentata.



Il viaggio riprese al mattino di buon ora. La gentile coppia che li aveva ospitati offrì loro la colazione. Kaila però non riuscì a mangiare quasi nulla. Aveva un mal di testa lancinante. Sentiva di avere qualcosa in mente, ma non riusciva ad afferrarla. Come sigillata. Eppure doveva essere una cosa importante. Il sole era tornato l'unico proprietario del cielo. La luce forte ferì gli occhi sensibili della ragazza che dovette affondare il volto tra le mani per proteggersi. Le ci volle un po' per abituarsi. Alla fine però riuscì ad ammirare lo spettacolo. Una sterminata pianura. I grandi campi di grano ormai mietuto si estendevano a perdita d'occhio. Neanche un filo d'erba interrompeva il profilo piatto di quei campi. Solo la montagna di Hoen si ergeva ad infrangere quell'armonia. Kaila riuscì solo a pensare che le mancavano i castagni.

La marcia lenta del carro cullò la ragazza facendola sprofondare in ripetuti sogni agitati. Vedeva delle figure che si agitavano trasformarsi in lupi che poi la aggredivano. I sogni la spaventavano al punto che cercò di tenersi sveglia in ogni modo. Felz ad Hangwick c'era già stato, quindi si fece raccontare com'era. Aveva uno strano interesse per le locande, la ragazza voleva sapere quante ce n'erano e quanto costavano. Kaila non aveva mai dormito fuori casa e l'idea di pagare per un alloggio le faceva strano. D'altra parte però voleva organizzare una cosa simile all'interno della birreria, quindi cercò di capire cosa comportava e quanto ci potevano ricavare. Molte delle idee di successo che avevano messo in pratica nella taverna erano nate dalla mente di Kaila, quindi Felz non tralasciò nessun particolare. Le descrisse le vie dell'antico borgo, le raccontò dove avevano alloggiato e mangiato. C'era una buona birreria che faceva una particolarissima birra 'affumicata'. Era una birra chiara semplice al singolo malto. Di grano a giudicare dal retrogusto. Però al termine della fermentazioni mettevano le botti nelle stesse camere di affumicazione usate per produrre lo speck e il provolone. Una volta terminato il processo la birra risultava imbrunita e aveva un aroma molto particolare. Sapeva di inverno e di casa. Di focolare e di famiglia. Dava uno strano senso di nostalgia e di benessere. E inoltre faceva venire una voglia matta di salsicce.



Al calare del sole si trovarono nei pressi del fiume Koar. Da lì veniva la terra che aveva dato vita alla loro fattoria. L'inconfondibile odore di limo le fece venire nostalgia di casa. Felz decise di accamparsi sulla riva del corso d'acqua. "Domattina attraverseremo il ponte e devieremo verso nord. Se tutto va bene entro sera saremo ad Hangwick". Kaila era ansiosa di arrivare in quella che sarebbe stata la prima città oltre Elengar che avesse mai visto. Quell'aroma di terra bagnata però la rapì completamente e quasi andò a tuffarsi nelle gelide acque del fiume. "Dove corri, guarda che fa freddo!" Felz la guardava correre lungo la riva con dolcezza. Assaporava ogni singolo istante che passava con la sorellina. Kaila dovette accorgersene perché lo chiamò a gran voce "Dai, vieni a prendermi se ci riesci!" I due corsero a perdifiato lungo l'argine e alla fine si sdraiarono a terra esausti. Le prime stelle della sera iniziavano a penetrare l'azzurro del cielo.

"Pensi mai alla mamma?" Kaila interruppe il silenzio affannoso col suo sguardo malinconico. Felz si mise su un fianco per poter guardare la sorella negli occhi. Una falce di luna si rifletteva nei suoi occhi dorati. "Ogni sera" rispose dopo un po'. "Raccontamela" fece Kaila illuminandosi "Beh, hai visto il ritratto del papà. Era più o meno così" rispose confuso il ragazzo. "No, no. Voglio sapere com'era lei. Che tipo era." Felz si sdraiò di nuovo con aria pensosa. "Una volta, da bambino, scappai di casa perché avevo litigato col papà. Non ricordo il perché ma on feci molta strada, avevo 5 anni. Mi andai a nascondere nella cantina. Piansi tutta la notte e finii per addormentarmi. Quando mi svegliai la mattina seguente, accanto a me trovai un involto. C'erano dei biscotti alle mandorle freschi. Li aveva fatti quella notte" la voce si interruppe infrangendosi nella commozione. Gli occhi del ragazzo si inumidirono. Il verde delle sue iridi si fece più intenso. Felz riprese fiato e si voltò di nuovo verso la sorella. "Lei era così! Sapeva sempre capire di cosa avevi bisogno! Aveva un animo gentile e generoso. Riusciva sempre a trovare il modo di farti tornare il sorriso."

Tra i due tornò il silenzio. Tornarono a fissare le stelle che man mano diventavano più vivide. Un alito di vento si alzò ad agitare l'erba intorno al greto del fiume. "Dai, torniamo al carro, altrimenti ci prendiamo un malanno". I due accesero un fuoco e passarono la serata a raccontarsi vecchie storie. Kaila era avida di ricordi della madre. Felz le raccontò ogni evento che gli veniva in mente mentre lei rideva e piangeva al contempo. Era felice e nostalgica. Si addormentarono che il fuoco ancora non si era spento. L'uno accanto all'altra. Coperti dalla stessa enorme trapunta. I sogni di Kaila tornarono ad invaderle la mente. Rivide il sorriso gentile, ma stavolta un velo di preoccupazione incrinò quella luce. Trasalì e si svegliò.

Era già mattino e Felz stava arrostendo delle pannocchie sul fuoco. "Buongiorno dormigliona" Kaila era agitata, ma la vista del fratello la calmò. Mangiarono in fretta e si rimisero in marcia. C'era qualcosa che le sfuggiva, ma neanche in quel momento riuscì a capire cosa. Fu una giornata particolarmente silenziosa.



Hangwick era un piccolo borgo nato ai piedi di una piccola collina di querce. Si dice che un tempo fosse la dimora dei novizi del Consiglio. Qui i più giovani aspiranti maghi venivano ad allenarsi e a completare i loro studi. Le mura della città erano composte da enormi blocchi di pietra estratti da una delle tante cave che infestavano il monte Hoen. Le case piccole erano sovrastate da altissimi tetti coperti da tegole in terracotta rossa. Questo dava alle abitazioni un aspetto a fungo. Non un bel porcino succoso, più un ovino rinsecchito. Di quelli che rimangono un po' duri a mangiarli crudi. Le strade erano completamente lastricate in pietra. Strade larghe, non quella specie di cunicoli che si trovavano ad Elengar. Quelle di Hangwick si potevano chiamare 'strade' senza il timore di essere presi in giro. Grossi lastroni piatti ne ricoprivano il manto. Avevano giusto una leggera pendenza verso entrami i lati della strada, dove due canali di scolo permettevano alle acque piovane di defluire silenziosamente senza lasciare tracce.



Tutto era pietra e terracotta. Ne un aiuola, ne un fiore. Non c'era la benché minima traccia di natura in quel borgo che trasudava antichità.

Da quel che narra la leggenda pare che la città fosse stata costruita da una comunità di nani -da qui le dimensioni tisiche delle case- che poi un bel giorno sparirono come neve al sole. Alcuni sostenevano che si fossero rintanati nelle gallerie sotterranee che infestavano la collina -anch'essa chiamata Hangwick- per nascondere un terribile morbo che li aveva affetti. Sta di fatto che su alcuni dei lastroni di pietra, ormai consumati da secoli di carovane e cavalli, si vede ancora oggi raffigurato lo stemma di un'ascia che incrocia una piccozza. Il marchio della comunità dei nani.

Kaila e Felz arrivarono nel tardo pomeriggio. Il pigro sole autunnale aveva già ceduto il passo alla più arzilla Luna. Una falce luminosa mieteva un cielo coperto di stelle. I due avevano viaggiato in silenzio e ininterrottamente tutto il giorno. Volevano assolutamente arrivare a destinazione. Quando Kaila vide le deboli luci della città si riaccese e il fiume di parole riprese incontrollato. Voleva assolutamente assaggiare la birra affumicata, ma non c'era tempo. Era tardi ed erano stanchi, inoltre Felz si sarebbe dovuto alzare all'alba il giorno dopo se voleva raggiungere Salingar prima del tramonto.

Alloggiarono nella locanda del Lupo Armato. Una buffa sagoma a forma di lupo vestito da armigero li accolse. Il padrone era un amico di Ivan, lì avrebbero avuto pasti caldi e letti puliti a buon prezzo. C'era anche una stalla privata che permetteva di mantenere al sicuro sia i cavalli che il prezioso carico che trasportavano. Fratello e sorella alloggiarono in due camere differenti. Cenarono controvoglia. Erano stanchissimi e deboli. Prima che il vociare dei commensali si fosse acquietato i due si erano già ritirati nelle loro stanze.

Kaila sprofondò in un sonno agitato. Si vide ghermita da un branco di lupi inferociti. Uno si stava avventando sul suo collo quando Kaila si svegliò scattando in piedi. Ancora ansimante si asciugò il sudore dalla fronte. Guardò fuori dalla finestra e vide delle figure muoversi. Gli venne istintivamente da pensare agli alberi che tanto l'avevano spaventata durante la prima sera di viaggio. Si rilassò al pensiero del fratello che cercava di tranquillizzarla. Si avvicinò alla finestra per guardare meglio. Si trovava al secondo piano della locanda, praticamente nel sotto tetto. Dalla sua camera aveva una perfetta vista della collina di Hangwick. Cercò di distinguere nuovamente quelle forme quando all'improvviso un enorme bagliore accese la foresta di querce che ricopriva la collina. Una luce intensa. Come un fulmine, però in mezzo agli alberi anziché tra le nubi. Kaila indietreggiò spaventata e andò ad inciampare nella sedia. Finì col sedere in terra tirandosi dietro la sedia.

Il rumore aveva svegliato Felz che si precipitò nella camera della sorella. "Che succede?" Gli occhi di Kaila erano spalancati, sembrava non essere in grado di articolare le parole. "C-ci sono i fantasmi!" Fu l'unica cosa che riuscì a dire. Felz si mise sdraiato accanto a lei e la abbracciò. "Tranquilla, è stato solo un brutto sogno. Adesso ci sono io qui con te". Il cuore di Kaila rallentò e si calmò. Si rilasso. I due rimasero per terrà finché le ossa non iniziarono a protestare furentemente. Alla fine si alzarono e tornarono nei rispettivi giacigli. La ragazza però passò la notte a fissare il soffitto.



Il mattino arrivò lentamente, tanto che Felz riuscì a batterlo sul tempo. Il ragazzo si era svegliato che l'alba ancora non era arrivata. Iniziò a prepararsi e chiamò la sorella. Kaila però non era in camera. Felz la trovò sul carro che infilava alcuni oggetti -la refurtiva- in una sacca da spalla. I due si salutarono in fretta. "Stasera torna qui alla locanda, io cercherò di ritornare domani in serata. Al massimo dopodomani. Fai attenzione nel bosco". Subito fuori le porte della città Kaila scese dal carro in movimento e si diresse verso la collina.

Quando il sole sorse Kaila era già protetta dai fitti rami delle querce. Grosse radici fuoriuscivano dal terreno creando come un enorme scalinata che rendeva la scalata più semplice. Alcuni scoiattoli scappavano da una parte all'altra rubando dal terreno qualche ghianda solitaria. La ragazza si fermò solo quando sentì le gambe cedere. Usignoli levavano il loro dolce canto in giro per il bosco. La stanchezza aveva fermato il suo passo, ma era ancora presto per liberarsi della refurtiva. Prese dal tascapane un barattolo di ciliege e ne mangiò alcune. Consumò metà della sua scorta di acqua per rinfrescarsi e lavarsi via la fatica. Trasaliva ad ogni rumore nel sottobosco. Aveva la sensazione paranoica che hanno tutti i fuggiaschi di essere seguita. Si voltava in continuazione per intercettare qualche sagoma, forma o movimento che potesse tradire un probabile inseguitore. Scoiattoli ed uccelli erano le uniche parti mobili di una natura statica. Neanche il vento osava inoltrarsi tra quegli alberi.

Riprese a camminare di buona lena e scalò il versante della collina per circa un'ora. Arrivò in una radura dove il sole riusciva a fare breccia tra le fronde possenti degli alberi. Si voltò per cercare di vedere quanta strada aveva fatto. La radura era ampia e concedeva una visuale sulla città sottostante. Kaila colse i contorni di quella che era la sua locanda. Il Lupo Armato. Da una di quelle finestre aveva visto un lampo di luce esplodere nella foresta. Si trovava nei pressi dell'origine di quel fenomeno inspiegabile.
Voleva portare a termine la sua missione nel minor tempo possibile. Kaila iniziò a correre con quanta forza le rimaneva nelle gambe. Sentiva il peso della refurtiva sbattere sul suo dorso ad ogni passo. Voleva liberarsene. Doveva liberarsene. Con la coda dell'occhio vide un buco nel terreno. Era poco lontano dal sentiero, ma abbastanza lontano dalla luce del sole. Perfetto per nascondere quei pericolosi oggetti. Kaila deviò la sua corsa per raggiungere l'obiettivo. Si tolse la sacca dalle spalle mentre stava ancora correndo. Con un gesto veloce del braccio ne svuotò il contenuto in quella specie di pozzo. "Ahio!" Un lamento arrivò dal pozzo. Il cuore di Kaila perse un colpo. Rimase impietrita. Si era fatta scoprire.
Si affacciò lentamente e timorosa. "Chi c'è la?". Un ragazzo si stava massaggiando la tempia dove uno degli oggetti di Kaila lo aveva colpito. Si voltò a guardarla e le sorrise. "Ehi dolcezza, che ne dici di darci una mano?". Il sorriso gentile era alla fine arrivato.


martedì 7 dicembre 2010

Pioggia Battente

Felz si alzò di buon ora. La luce ancora non filtrava dalle imposte e il profumo di pane fresco non si spandeva nell'aria. Kaila probabilmente stava ancora dormendo. Si mise a sedere sul letto per non rischiare di riaddormentarsi. Era stanco, mai come in questi giorni c'era stato tanto da fare. Aveva ripulito la taverna e riportato indietro buona parte dei barili di birra. Aveva preparato dei secchi con il mangime degli animali. Dosi ben ponderate per durare abbastanza tempo da permettergli di arrivare a Salingar e tornare indietro senza rischiare di ritrovare le bestie morte di fame. Suo padre Ivan avrebbe potuto facilmente sfamarle versando il contenuto dei secchi nella mangiatoia ogni giorno.
Aveva portato i cavalli dal maniscalco per ferrare gli zoccoli e aveva contattato diverse badanti per trovare quella più adatta ad occuparsi del padre durante la loro assenza. Alla fine aveva optato per Olga, la corpulenta cuoca della caserma di Elengar. In questo periodo di ristrutturazione dell'esercito aveva perso il lavoro e quindi aveva iniziato a fare la badante. Quella mattina Felz sarebbe andato in città a prenderla per portarla a casa. Prima però doveva passare dalla birreria per appendere il cartello che avvisava gli avventori della temporanea chiusura.
La tentazione di rimettersi a dormire fu grande, ma alla fine riuscì ad alzarsi. Una volta fuori dall'uscio di casa si fermò un attimo ad ammirare il panorama. In venticinque anni non si era mai alzato così presto. Nonostante la sua sorellina gli avesse più volte parlato della cascata di nebbia che in autunno ricopre il versante del monte Hoen, lui non l'aveva mai vista. Era uno spettacolo incredibile. Surreale. Un leggero chiarore iniziò a dare colore alle cose. Il canto del gallo in lontananza confermava l'arrivo dell'alba. Del sole però non c'era traccia. Troppo impegnato a nascondersi dietro un fitto strato di nubi scure. L'eco leggero di un tuono arrivò a preannunciare l'avvicinarsi di un temporale. Pessimo momento per mettersi in viaggio. Ormai però era tutto organizzato e più tempo passava e più Kaila rischiava di essere scoperta. Sarebbero partiti comunque, ma prima avrebbe inchiodato qualche asse sul carro per fare da tettoia contro la pioggia.

I cavalli erano ancora addormentati e ci vollero parecchie carrube perché diventassero collaborativi. Li portò fuori dalla stalla e li legò al carro. Alcuni rumori arrivarono da dentro casa. Probabilmente Kaila si stava svegliando. Forse al suo ritorno avrebbe trovato del pane fresco. Il freddo era liquido. Si infiltrava fin dentro le ossa. Le mani si intorpidivano e i piedi arrancavano.
Il tragitto verso Elengar fu breve. Senza carico, i cavalli coprirono il percorso in meno di venti minuti. La città era ancora addormentata. Il silenzio rendeva ogni passo oltremodo rumoroso. Davanti al Grande Portone le guardie erano sveglie e vigili. Cosa insolita a quell'ora del mattino. I grandi cambiamenti si notano dalle piccole cose. Insieme ai due armigeri di guardia c'era un ragazzino con una casacca nera. Portava sulle spalle faretra e arco, mentre al fianco, dal fodero della spada, spuntava quello che sembrava essere l'impennaggio di una freccia. Sul petto portava l'insegna dell'Esercito Unificato e probabilmente era lì per controllare l'operato delle guardie del Portone.
Sembrava annoiato da quell'incarico. Era completamente assorto nel compito di limare la punta di una freccia. Gli armigeri però non sembravano rilassarsi, ogni tanto lanciavano qualche occhiata indietro per controllare la sua posizione. Felz fece cenno di saluto con il capo ad entrambi. I due militari si limitarono a spostarsi lasciando libero il passaggio. Mentre attraversava il Portone colse con la coda dell'occhio lo sguardo del ragazzino. Aveva una specie di ghigno stampato sulla faccia mentre lo fissava.

Decise come prima cosa di passare alla birreria. La strada era completamente sgombra e silenziosa. Gli stoppini dei lampioni erano già stati spenti. La luce mozzata di quel mattino uggioso rendeva difficile distinguere le forme. La taverna di famiglia si trovava sul corso principale che dal Grande Portone arriva fino al piazzale della Reggia. Felz però era solito entrare dall'ingresso posteriore, e per raggiungerlo era necessario addentrarsi nell'alveare di case che componevano la cittadella esterna.
Il silenzio era snervante. Il ragazzo dell'Esercito aveva messo Felz di cattivo umore. Si sentiva come un ladro braccato. Il ché non era troppo lontano dalla verità. Solo che il ladro era sua sorella. Kaila era sempre stata una ragazza amabile, dolce e disponibile. Eppure da sempre nei suoi occhi c'era un velo di malinconia. Una tristezza nascosta e radicata che sembrava non conoscere conforto. Era sempre taciturna. Da piccola si rintanava nei luoghi più ameni pur di essere lasciata in pace. Più di una volta lui e suo padre si erano presi un bello spavento vedendola arrampicarsi su alberi, tetti e rocce. Non era mai caduta e mai aveva dimostrato timore. Quando si arrampicava sulla vetta del suo piccolo mondo sembrava ritrovare la calma, la serenità. La tristezza però, quella non se n'era andata mai.
Poi un giorno era cambiata. Aveva ritrovato il sorriso e la spensieratezza. Aveva trovato qualcosa per cui vivere. Felz non avrebbe mai sospettato che potesse essere stata sua sorella a commettere il furto, ma quando Kaila glielo confessò non ne rimase sorpreso. In fondo aveva sempre saputo il perché di quella tristezza inconsolabile. Lo sapeva perché in parte la condivideva. Entrambi sapevano che nella loro vita mancava qualcosa. Qualcosa che gli era stato strappato via da piccoli. E non era solo l'affetto della madre ciò di cui si sentivano privati. No, loro sentivano di aver perso le loro origini. Certo, Kaila accusava maggiormente questa mancanza, ma anche Felz non vi era rimasto indifferente. Forse fu questo il motivo che lo spinse a non arrabbiarsi con la sorella e a cercare in tutti i modi di aiutarla. In fondo anche lui voleva conoscere il contenuto di quel diario.

Un gatto attraversò la strada all'improvviso e Felz sussultò. Non era abituato a perdersi nei suoi pensieri. Era un tipo pratico e meticoloso. Non certo un sognatore. Dal giorno del furto probabilmente era cambiato qualcosa anche in lui e adesso iniziava ad accorgersene.
Raggiunse il retrobottega della taverna. Il vicolo era stretto. Il carro ci passava per poche spanne. Era uno di quei vicoli senza uscita dove non ci sono finestre a fare capolino sulla strada. Felz legò i cavalli davanti all'ingresso ed entrò nel locale. Tutto era perfettamente in ordine e da terra si alzava profumo di pulito. Tutte le sedie erano disposte a rovescio sul bancone e sui tavoli. Tutte le bottiglie erano state portate in cucina e i boccali di vetro erano stati riposti negli armadietti sotto il bancone. Con una mano sfiorò il bancone e si sorprese a pensare alla sua vita. Tutto il suo mondo esisteva all'interno di quelle quattro mura. Aveva dedicato ogni suo giorno, ogni suo momento, ogni suo respiro a quel locale. Si chiese se fosse davvero quello il suo posto. Se non avesse sprecato il suo tempo per seguire una stupida tradizione di famiglia. Non aveva neanche avuto il tempo di trovarsi una moglie per colpa di quella maledetta taverna.
Cercò di cacciare via quel pensiero e andò a prendere il cartello che Kaila aveva preparato. Doveva semplicemente appenderlo sulla porta e andarsene. Almeno per qualche giorno avrebbe condiviso qualche momento piacevole con sua sorella. Non avevano mai avuto del tempo da trascorrere insieme. Quando Kaila era abbastanza grande per correre e giocare, Felz aveva ormai iniziato a lavorare con il padre alla birreria. Avrebbe approfittato di quella vacanza improvvisata per cercare di recuperare un po' del tempo perduto.
"Andate da qualche parte?" La voce arrivò improvvisa. Felz non si era accorto di avere qualcuno alle spalle. Non aveva sentito nessuno avvicinarsi, nonostante il silenzio accentuasse ogni singolo rumore. Perse la presa sul cartello che cadde a terra. Si chinò per raccoglierlo senza voltarsi. Sapeva a chi apparteneva quella voce. In città c'era un nuovo Capitano e spesso lo aveva visto seduto al suo bancone. Mai una volta aveva consumato qualcosa. L'unica cosa che riusciva a fare era spaventare la clientela. "Gli affari non vanno bene, andiamo a vendere le scorte di birra in un'altra città" rispose in tono asciutto. Senza far trapelare tutto l'astio che aveva in gola. "Capisco. E per quanto rimarrete chiusi?". Felz non era stupido, aveva visto come quell'uomo guardava sua sorella e sinceramente non gli piaceva. Avrebbe voluto rispondergli a tono, magari anche dargli una bella lezione. Non solo allontanava i clienti, ma stava rovinando la vita della sorella. Purtroppo però il coraggio non era una delle sue virtù quindi lasciò cadere l'argomento. "Partiremo oggi, ma potremmo doverci fermare lungo la strada. Il tempo non promette nulla di buono."
"Potrei mandarvi una scorta, non si sa mai quali pericoli potreste incontrare nel tragitto, e io sono pieno di uomini scansafatiche che non hanno alcun impiego se non sperperare il denaro del regno. Un po' di moto gli farebbe bene". Ci mancava solo la scorta. Dei militari che accompagnano dei fuggiaschi a seppellire della refurtiva. Forse avrebbe anche trovato la cosa divertente in altre circostanze. "Non ci serve il tuo aiuto". Rispose Felz ormai sul punto di esplodere. Si rese conto di aver calcato troppo l'accento su 'tuo' e capì al volo che l'atteggiamento del Capitano era cambiato. Gli si fece vicino. Felz sentì il suo fiato sul collo. "Non ti conviene avermi come nemico" gli sussurrò gelido nell'orecchio. "Vi auguro un buon viaggio" aggiunse sprezzante mentre si allontanava nei vicoli dell'alveare.

Gocce d'acqua iniziarono a cadere leggere. Poi via via sempre più intense. Un tuono squarciò il silenzio. Tambureggiante e battente, la pioggia riempì l'aria. Grosse pozze iniziarono a formarsi lungo la strada. Piccoli ruscelli cominciarono a solcare i vicoli della città. La rabbia di Felz aveva raggiunto il limite. Nessuno avrebbe messo le mani su sua sorella.
Corse nel retrobottega. Prese alcune tavole di legno che avevano tenuto da parte per accendere il fuoco e iniziò a costruire la tettoia per il carro. Batteva sui chiodi con tutta la rabbia che aveva in corpo. Sfogava la sua impotenza contro quelle poche assi di legno. I tuoni si facevano sempre più forti e facevano da sottofondo al suo animo inquieto. Il lavoro che ne uscì fuori non era perfetto, ma sarebbe bastato a proteggerli dalla pioggia. Caricò sul carro i pochi barili di birra rimasti nel locale e montò la tettoia. Era ora di partire.
Raggiunse l'abitazione della badante che le strade erano già diventate un torrente in piena. Olga era sull'uscio ad aspettare e quando vide arrivare il ragazzo si illuminò in volto. "Pensavo che non venivi più. Con 'sto tempo scuro!" Felz non rispose e la donna notò lo sguardo cupo del ragazzo. Rimasero in silenzio per tutto il tragitto di ritorno. Ci volle del tempo perché le strade erano quasi impraticabili.
"Non è meglio se partite domani? E' pericoloso andare in giro con 'sta pioggia" cercò di farlo ragionare Olga, ma Felz voleva mettere più leghe possibile tra sua sorella e il Capitano e voleva farlo il più in fretta possibile. Voleva fuggire. Una volta raggiunta la fattoria, corse verso la cantina sotto la pioggia per caricare il carro con più barili possibili. Fece attenzione a riporre quello con la refurtiva in fondo a tutti gli altri, così da rimanere al sicuro da eventuali controlli. Il carro si stava lentamente riempiendo d'acqua piovana. Coprì le botti con quanti più teli riuscì a trovare per proteggerli dalla pioggia e alla fine tornò alla stalla.

Kaila lo stava aspettando. Era avvolta nel suo grande mantello col cappuccio calato fin sopra gli occhi. Aveva in mano un grosso fagotto che sosteneva a fatica. Sembrava allegra e spensierata. Quasi non si accorse dell'aria funerea del fratello. "Qui ci sono le provviste per il viaggio. So che tu e papà di solito vi fermate nelle locande, ma preferisco di gran lunga la mia cucina... e poi mi è venuta una strana voglia di ciliege sotto zucchero". Sembrava il ritratto della felicità. Tutta quell'allegria era contagiosa e Felz si ritrovò a scherzare con la sorella come se non fosse successo nulla. Iniziò a sentirsi più sereno. Erano al sicuro e si sarebbero allontanati. Per almeno un paio di settimane sarebbero stati tranquilli. In quel mentre li aveva raggiunti anche Ivan che, come Olga, cercò di convincerli ad aspettare la fine del temporale prima di intraprendere un viaggio così lungo. I due non vollero sentire ragioni e partirono senza altri indugi.
La pioggia era incessante, ma la tettoia teneva. Per Kaila questo era il primo viaggio. Non aveva mai visto il mondo oltre le pendici della montagna e tutto sembrava meraviglioso. Continuava a chiedere informazioni su tutto. Dalla durata del viaggio a quali villaggi avrebbero incontrato lungo il cammino. Chiese dove avrebbero dormito e si informò sui costi delle varie locande di cui Felz le parlava. Sembrava una fonte inesauribile di domande.
Ogni tanto qualche tuono interrompeva le loro discussioni, ma nessuno dei due sembrava darci peso. Il Capitano, l'Esercito, la refurtiva. Tutto sembrava un problema lontanissimo e intangibile. Finalmente avevano il tempo di stare insieme e non lo avrebbero sprecato rimuginando sui loro problemi.
Il viaggio era iniziato.


martedì 30 novembre 2010

Il Piano

L'alba si presentò con calma. La fitta coltre di nubi che ammantava il cielo iniziò a tingersi d'azzurro via via sfumando verso il grigio. Le ombre iniziarono a stiracchiarsi e a gettarsi oblique sulla valle. Le sagome delle torri si dipinsero sui pascoli ormai quasi completamente aridi. Una morbida nebbia argentata iniziò ad irrigare i campi scivolando debolmente lungo il pendio della montagna.
Man mano che il sole riscaldava l'aria, una leggera brezza di vento iniziò a sferzare le chiome degli alberi da frutta. Le nuvole iniziarono a diradarsi lasciando solo una leggera patina lattiginosa a coprire l'azzurro del cielo. La rugiada iniziò ad asciugarsi. In lontananza un gallo levò il suo canto.
Kaila se ne stava seduta sul tetto della sua fattoria a fissare il giorno in divenire. Da alcune settimane era diventata un'abitudine. Faceva fatica a prendere sonno, pertanto passava la maggior parte della notte a rimuginare sui suoi pensieri.
La fattoria della sua famiglia si trovava sul versante oscuro della montagna, quello che veniva illuminato solo dal tiepido sole del pomeriggio. Il terrapieno sul quale era stata costruita fu ricavato da un'antica cava di argilla. Il trisavolo di Kaila l'aveva fatta riempire con la fertile terra proveniente dalle rive del fiume Koar. Il clima asciutto e fresco era l'ideale per la coltivazione del luppolo, per di più il freddo invernale di quella zona favoriva la fermentazione dei malti. Una sezione della piccola cava era stata adibita a cantina dove venivano raccolti i barili della birra. La casa invece era stata eretta sul punto più estremo del terrapieno, quello a ridosso del burrone, così da permettere al sole di abbracciarla coi suoi raggi il più a lungo possibile.
Dal tetto della casa era possibile vedere tutta la vallata. Kaila passava le prime ore del giorno a fissare le ombre della città di Elengar che lentamente si accorciavano. Al canto del gallo si ridestava dai suoi pensieri e si sforzava di iniziare la sua giornata. Aveva circa un paio d'ore di tempo per preparare la colazione, spicciare le faccende di casa ed infine recarsi in città per aprire la birreria. Era stanca di quella quotidianità. Aveva provato il brivido dell'avventura. La paura, L'ansia ed infine il sollievo. Mentre volteggiava al di fuori delle mura della città aveva sentito il suo cuore leggero. Ogni segno di preoccupazione era scomparso. Aveva provato la felicità allo stato puro. Il giorno dopo però la vita aveva ripreso il suo normale corso, in più su di lei pendeva il peso della colpa. L'ansia di tutte quelle cianfrusaglie trafugate dalla Sala dell'Archivio e ora nascoste nella cantina del padre non le faceva prendere sonno. Doveva sbarazzarsene.
Voleva far sì che fosse impossibile ritrovarle. Ricordava di aver sentito parlare di una collina, poco oltre il villaggio di Hangwick, che si diceva essere infestata da spiriti maligni. Per secoli nessuno aveva cercato di inoltrarsi nel folto del bosco di querce che la ricopriva. I pochi sventurati che avevano tentato l'impresa non avevano mai fatto ritorno. Almeno così diceva la leggenda. Un posto del genere sarebbe stato perfetto, anche se qualcuno avesse trovato lì la refurtiva non l'avrebbe di certo associata al furto avvenuto ad Elengar. Magari avrebbero pensato ad un tesoro nascosto e protetto dagli spiriti, pertanto nessuno avrebbe osato toccarlo.
Il problema principale era la distanza. Hangwick si trovava a più di una settimana di cammino. Anche a cavallo non si impiegavano meno di tre giorni ad arrivarci. Come avrebbe potuto giustificare con la sua famiglia un'assenza tanto lunga? Inoltre una donna giovane che viaggia da sola con un fagotto sospetto sulle spalle rischiava di attirare l'attenzione dei viandanti. Per non parlare del pericolo che una fanciulla sola può correre durante le notti incerte in cui la luna si nasconde e i briganti escono dalle loro tane.
Il mattino giunse puntuale a interrompere i ragionamenti della ragazza. Era ora di rigettarsi nella consuetudine.

La casa era fredda. Ormai non si poteva più tenere il camino spento, la stagione non lo permetteva. Il pian terreno dell'abitazione era composto da un unico grande ambiente. Da un lato si trovava la cucina con il forno e i piani cottura. Avevano persino un lavabo per le stoviglie, cosa assai rara vista la difficoltà con cui le varie fattorie venivano collegate all'acquedotto cittadino. Come ogni cava di argilla che si rispetti però, la casa di Kaila sorgeva su una falda acquifera sotterranea dalla quale era possibile attingere l'acqua direttamente. Suo nonno aveva pagato un mago perché imponesse un sortilegio sulle acque sotterranee permettendogli di sgorgare direttamente in alcuni punti chiave della fattoria: La cantina, la latrina, il recinto degli animali, il pozzo di irrigazione e, appunto, il lavabo.
Kaila si avvicinò al grande focolare situato sul lato opposto rispetto alla cucina. Aveva imparato da suo padre a preservare la brace nascondendola sotto la cenere, così accendere il camino al mattino era un compito assai più semplice. Si limitò a disporre i ciocchi di legna su un letto di rami secchi. Con l'attizzatoio spostò la cenere scoprendo le braci ancora calde. Infine dispose sotto i rami un piccolo quantitativo di paglia che si incendiò all'istante. In pochi minuti l'ambiente iniziò a riscldarsi e il fuoco a scoppiettare allegro.
Con la molla di ferro prese poi uno dei ciocchi infuocati per portarlo nel forno, così da poter cuocere il pane. Dispose l'impasto lievitato che aveva preparato la sera prima all'interno del forno e si mise a lavare le stoviglie sporche della cena.
In breve il profumo del pane fresco iniziò a farsi strada lungo il salone, salì la rampa di scale e andò ad incunearsi nelle tre stanze da letto che componevano il piano superiore. Ivan e Felz si svegliarono.
Felz arrivò quasi immediatamente, Ivan si attardò un po'. Erano un paio di giorni che stava poco bene. Kaila mise dell'acqua pulita in un paiolo e la dispose sul fuoco così da poter preparare al padre un decotto contro il male dell'inverno. Ormai Ivan cominciava ad essere in là con l'età e risentiva facilmente degli sbalzi di temperatura tipici della stagione fredda. Per diverso tempo si era discusso di acquistare una dimora umile in città, magari vicino alla birreria, per permettergli di passare la vecchiaia in luoghi più al riparo dalle intemperie invernali. Quando Felz avesse preso moglie e si fosse stabilito nella fattoria con la sua nuova famiglia, Ivan e Kaila si sarebbero trasferiti all'interno delle mura di Elengar.

La mattina proseguì leggera tra le varie faccende di casa. Kaila fece il bucato, rassettò le camere ed infine pulì il soggiorno. Era giunto il momento di uscire per andare ad aprire la taverna in città. Felz era riuscito a convincere il padre a rimanere a casa per riguardarsi. L'incrollabile senso del dovere di Ivan era principalmente dovuto al fatto che a casa si annoiava, ma doveva accettare il fatto che la sua tosse poteva incutere timore negli avventori. Optò per rimettersi a letto dopo aver bevuto un infuso di valeriana e camomilla che Kaila gli aveva preparato. Gliene aveva preparata una brocca intera, così se il primo boccale non fosse stato sufficiente a rispedirlo nel mondo dei sogni, ci sarebbe risucito senz'altro il secondo, o il terzo.
Felz fece uscire i due cavalli dalla stalla e li legò al carro, poi prelevò alcuni barili di birra dalla cantina e li caricò sul pianale. Quando tutto fu pronto, lui e Kaila salirono a bordo e lasciarono la fattoria. La distanza era breve, la loro fattoria si trovava piuttosto in alto, ciononostante il percorso in salita fatto di innumerevoli tornanti, rendeva il viaggio abbastanza lungo. Dopo circa quaranta minuti raggiunsero l'ingresso delle mura. Gli armigeri di guardia erano sempre distratti se non addirittura addormentati, ma Kaila per sicurezza si calava sul volto l'enorme cappuccio del suo mantello. Meglio non rischiare di essere riconosciuta, anche se a conti fatti non era stato diramato nessun mandato di cattura nei confronti del ladro. Per quanto ne sapevano in città, quello era morto spiaccicato ai piedi della montagna. Quando suo fratello gli chiedeva il perché del cappuccio lei si limitava ad imprecare contro il freddo.
Smontarono il carro una volta raggiunto il retrobottega della taverna. Scaricarono i barili e portarono i cavalli nella stalla comunale. Il sole era ormai alto, anche se ancora coperto da una leggera coltre di nubi. Era giunto il momento di aprire al pubblico la birreria.

Mentre il periodo estivo portava clienti solo a sera, durante l'inverno si potevano trovare avventori ad ogni ora del giorno. Il freddo rendeva la birra molto più appetibile. Inoltre avevano fatto costruire una piccola cucina e avevano iniziato a servire anche la zuppa con le cotiche, lo stinco di maiale con le patate e altre prelibatezze prettamente invernali. Non dovevano neanche preoccuparsi di acquistare le carni dal macellaio, noto per i suoi prezzi esagerati, in quanto negli ultimi anni erano riusciti a tirare su un consistente allevamento di maiali e bovini all'interno della fattoria.
Questo aveva reso la birreria di Ivan uno dei locali più frequentati di tutta Elengar. Luogo di ritrovo di alcolizzati ed armigeri fuori servizio. Alcuni rimanevano persino a passare la notte distesi sulle lunghe panche di legno allestite nel locale. Al mattino Kaila offriva loro un boccale di tisana ai mirtilli mentre Felz ripuliva il bancone, così se ne andavano contenti pronti per tornare nuovamente una volta calata la notte. A breve avrebbero reso anche quel servizio a pagamento, così si sarebbero trasformati da semplice birreria a locanda vera e propria. Gli affari andavano sempre a gonfie vele con l'arrivo dell'inverno.
Quel mattino non vi fu un grande afflusso di gente, giusto i soliti due clienti fissi. Il Guercio se ne stava accasciato sul bancone col suo boccale tra le mani. Da quando era rimasto ferito durante un'esercitazione militare, il regno aveva iniziato a pagargli un piccolo vitalizio che gli permetteva di mantenersi senza lavorare, in più era stato congedato dall'esercito con tutti gli onori del caso. Da allora passava ogni giorno nella birreria a sperperare quella sua ricchezza e a piangersi addosso per la sua vita inutile. Uno dei clienti migliori.
Seduto ad uno dei tavoli invece se ne stava Drei il maniscalco. Da quando sua moglie era scappata con uno dei tappezzieri in visita da Salingar, non riusciva ad iniziare le sue giornate senza un'adeguata dose di alcohol nelle vene.
A Kaila piaceva quel lavoro. Dietro ogni persona, sotto ogni espressione, si nascondeva una storia. Lei se ne stava spesso dietro al bancone a dare ascolto agli avventori che dopo il secondo boccale di birra alle castagne iniziavano a raccontargli tutti i fatti più intimi. Sapeva ogni evento che accadeva nel regno quasi in tempo reale, ma nessuno gli aveva ancora accennato al drappello di soldati che stava per fare visita alla città.

Arrivarono nel primo pomeriggio. Lasciarono i cavalli alle scarse cure dello stalliere della città ed iniziarono a girare per le strade dell'alveare. Entrarono nella birreria quando erano da poco suonate le 4 del pomeriggio. Erano in cinque. Avevano un equipaggiamento leggero, da viaggio. Sopra una cotta di maglia indossavano una casacca nera con uno stemma che Kaila non aveva mai visto. Una croce bianca circondata da quattro cerchi argentati. Tutti portavano una lunga spada al fianco destro. Roba buona. Fatta con un buon acciaio. Non come le spade di ferro arrugginito degli armigeri di Elengar. Uno di loro portava al collo un grosso ciondolo che raffigurava lo stemma della stirpe di Hoen. Il lasciapassare regale. Il soldato che lo indossava doveva essere il Capitano del drappello ed era stato mandato dal re in persona. Aveva lunghi capelli neri che arrivavano fin sotto le spalle. Li teneva legati in una coda. Non dovevano essere molto comodi in battaglia, ma d'altra parte erano in tempo di pace, pertanto non era più obbligatorio per i militari rasarsi i capelli. Aveva gli occhi di un azzurro così chiaro da sembrare argento. Quando si avvicinò al bancone Kaila notò che il suo volto era ricoperto da lentiggini molto chiare, a malapena si distinguevano dalla sua pelle d'avorio. Era molto alto, più di suo fratello Felz e anche seduto era comunque più alto di Kaila.
Mentre gli altri quattro componenti si accomodarono ad uno dei tavoli, il capo si sistemò al bancone. "Stiamo cercando informazioni" ruppe il silenzio col suo accento particolare, sembrava si sforzasse per rendere la sua calata meno riconoscibile, ma doveva venire dal continente al di là dello stretto, probabilmente dalle terre dell'est. "Che genere di informazioni?" chiese Kaila cercando di simulare disinteresse. "Il vostro Re vuole scoprire come sia stato possibile che qualcuno si introducesse nel suo palazzo". Kaila iniziò a pulire nervosamente un boccale cercando di evitare lo sguardo di ghiaccio del Capitano. "Ho sentito che il ladro è morto, si è buttato dalle mura" cercò di tagliare corto la ragazza.
"Non è quello che vogliamo sapere. Il vostro Re vuole capire come abbia fatto. Elengar dovrebbe essere la città impenetrabile, invece un tizio qualunque è entrato all'interno delle mura, ha superato la vigilanza e si è introdotto a palazzo" calcava quasi con disgusto sulle parole 'vostro Re', evidentemente non era un'autorità che riconosceva. Per qualche ragione si sentiva superiore. "Siamo stati inviati per rendere questa città nuovamente sicura" concluse sottolineando con un ghigno di compiacimento le ultime parole. Kaila sentì un brivido di paura. Si prospettavano tempi duri per la città. Doveva assolutamente disfarsi della refurtiva. "Non ho il genere di informazioni che vi servono, ma posso servirvi dell'ottima birra" rispose con la voce più amabile che la sua ansia le permettesse. "Non beviamo mai quando siamo in servizio, ma i miei uomini hanno fame" Kaila colse al volo la scusa per dileguarsi in cucina.

Era palese che in poco tempo la pigra monotonia che regnava nella città arroccata avrebbe subito un bello scossone. I nuovi arrivati non sembravano intenzionati ad andarsene. Si erano stabiliti a palazzo e da subito avevano iniziato a dare ordini in nome del Re. Furono costituite squadre di vigilanti per controllare le strade della città. Il numero di guardie alle porte e sulle mura di cinta fu aumentato. Anche durante il giorno armigeri in servizio pattugliavano le strade e stazionavano severi di fronte alle locande. Non sarebbe passato molto tempo prima dell'istituzione del coprifuoco. I forestieri dovevano già abbandonare la città prima del decimo rintocco della sera, ora in cui le grandi porte venivano chiuse. Già dopo una settimana il flusso di avventori calò drasticamente nella taverna di Ivan. Inoltre Nikolas, il Capitano, veniva personalmente ogni sera a presidiare il loro bancone. Non beveva mai e di rado lo si sentiva parlare. Se ne stava lì ad incutere timore e a far scappare la clientela.
La situazione era diventata ingestibile e Kaila sentiva la necessità di liberarsi di tutti quegli oggetti che aveva nascosto tra i fusti di birra. Una sera si decise ad agire, ma non poteva farlo da sola. Mentre Felz sistemava dei nuovi barili di birra in fermentazione in cantina, Kaila gli si avvicinò "Ti devo parlare" gli disse quasi sussurrando. "Perché parli piano? L'esercito non ci può sentire da qui" disse scherzando Felz, ma quando vide la sorella trasalire si fece serio "Che succede?" chiese. In tutta risposta Kaila gli fece segno di seguirla e lo condusse nella zona più buia della cantina, dove aveva nascosto la refurtiva.
Avvicinò una fiaccola agli oggetti e li mostrò al fratello. "Da dove viene questa roba?" chiese il ragazzo terrorizzato. "Hai presente il furto all'Archivio?" disse la ragazza fingendo divertimento "Sei stata tu? Oh dei del cielo! Ti impiccheranno per questo" Kaila fece segno di abbassare la voce e il fratello si zittì. Felz era visibilmente in angoscia "Ho preso questa roba solo perché non capissero cosa volevo veramente" cercò di giustificarsi Kaila "Il diario della mamma!" commentò Felz che aveva già capito tutto. Kaila si limitò ad abbassare lo sguardo come un cane bastonato.
"Dobbiamo liberarcene" fece il ragazzo. "Lo so, volevo portarli sulla collina di Hangwick. Quel posto si dice sia stregato, nessuno li andrebbe a cercare in quel bosco. Però non so come arrivarci". Kaila vide il fratello concentrarsi su un pensiero. Fissava distrattamente gli oggetti e si accarezzava il mento. Forse stava elaborando quel piano che lei non era riuscita a formulare. "Un modo ci sarebbe. Col papà pensavamo di andare a Salingar a vendere della birra. Se qui mettono il coprifuoco ce ne rimarrà parecchia invenduta. Possiamo convincerlo a far venire te al suo posto. Hangwick è sulla strada. Potremmo riempire un barile con gli oggetti, così mentre io proseguo per Salingar tu vai a nascondere la refurtiva."
Il piano sembrava perfetto. Sarebbe stato difficile convincere Ivan a rimanere a casa, ma le sue condizioni di salute avrebbero giocato a loro favore. Avrebbero chiamato una badante per prendersi cura del vecchio durante la loro assenza. Col fratello dalla sua parte finalmente Kaila riuscì a tranquillizzarsi. Avrebbero buttato via quella roba e tutto sarebbe tornato alla normalità. La ragazza corse in casa, entrò in camera sua e si chiuse la porta alle spalle. Si appoggiò allo stipite e lasciò che l'ansia le scivolasse via di dosso. Andò alla cassettiera e nascosto tra i vestiti ritrovò il diario che tanta pena le stava dando. Sentì la chiave sul petto scaldarsi della sua luce argentea mentre prendeva in mano il prezioso quaderno. Dal giorno del furto ancora non aveva avuto il coraggio di aprirlo, ma una volta sistemata quella faccenda si ripromise di trovare il tempo di leggere le ultime parole che la madre le aveva lasciato in eredità.
Si sdraiò sul letto e finalmente riuscì a prendere sonno. Il piano l'aveva trovato, ora doveva solo metterlo in pratica.


venerdì 5 novembre 2010

Il Diario

La notte era ormai calata da diverse ore. Le stelle erano più vivide che mai a quell'altezza, senza le luci della città ad adombrarle. Pulsavano di una luce fredda e al contempo misteriosa disegnando strane geometrie nel cielo. Come una danza magica volta a richiamare la loro regina, la loro signora che le aveva abbandonate senza lasciar traccia. Era la prima notte di Luna nuova, il momento perfetto per agire. Il buio totale ammantava tutto come una calda coperta fatta di oscurità e protezione. Nessuno avrebbe notato quello strano mantello nero che si aggirava indomito tra le guglie di protezione della torre più alta in attesa del momento giusto per muoversi.
Le fiaccole lungo le strade lentamente si spensero augurando la buona notte a tutta la cittadella fortificata. Kaila ripassò mentalmente il piano, era un buon piano, così almeno si era ripetuta fino a convincersene. Erano mesi che ci lavorava, che pianificava ogni singolo respiro, ogni singolo battito del suo cuore, ogni singolo movimento dei suoi muscoli. Fino a quel momento era andato tutto bene, ma quella era la parte facile del piano. Se avesse commesso qualche errore in quel frangente avrebbe dovute prendere seriamente in considerazione l'idea di cambiare mestiere. Non che quello della ladra fosse il suo vero mestiere. Era più un lavoro occasionale, uno di quei lavori saltuari che si fanno una sola volta nella vita giurandosi che mai e poi mai si sarebbe più corso un rischio del genere. Insomma, Kaila era alla sua prima esperienza e aveva intenzione di iniziare col botto. Di fare il colpo che ogni ladro sogna di fare prima o poi nella sua vita, e poi basta. Mai più. Non lei, la contadinella che passa la vita tra la piantagione di luppolo e la birreria del padre. Non lei, la dolce ragazza che un giorno sarebbe andata in sposa al figlio del panettiere. Era quella la sua vita. Stasera lei sarebbe stata un'estranea persino per se stessa, Kaila la Ladra. E il bello è che in città tutti la conoscevano e tutti la amavano, e quindi nessuno si sarebbe preso il disturbo di sospettare di lei, ammesso che non si facesse beccare. E questa era la parte difficile del piano, quella che sarebbe iniziata da li a poco, al primo rintocco della campana.

Tutto era cominciato circa un anno prima: al termine della raccolta del luppolo suo padre Ivan e suo fratello maggiore Felz partirono alla volta della città di Salingar dove avrebbero barattato metà del raccolto con diverse varietà di malti che avrebbero miscelato per preparare la birra. Sulla porta della birreria fu appeso il solito cartello che informava gli avventori che sarebbero rimasti chiusi per circa due settimane, e così Kaila rimase sola in casa a fare la guardia ai polli e alle anatre.
Era abitudine che, mentre gli uomini di casa si occupavano dello scambio del luppolo, lei avrebbe avuto l'onere di fare il cambio di stagione. Avrebbe portato in soffitta i panni troppo leggeri da usare in periodo estivo sostituendoli con gli abiti più pesanti, quelli di lana e di cuoio che avrebbero tenuto caldo durante l'inverno che stava arrivando. Il lavoro era lungo e metodico. Bisognava prima lavare ed asciugare tutti i panni estivi. Andavano poi piegati accuratamente cospargendoli con poca farina di mais che avrebbe impedito all'umidità invernale di far germogliare la muffa sui vestiti. I panni piegati venivano poi riposti in due bauli leggeri di cuoio rinforzato avendo cura di riempirli il più possibile così da lasciare nel baule meno aria possibile. Infine avrebbe aggiunto qua e la tra i vari strati di stoffa dei rametti di fiori di lavanda che servivano a tener lontano le tarme. Era sufficiente un solo baule per stipare tutti i panni del padre e del fratello, mentre il secondo baule era completamente riservato a lei.
In famiglia non erano molto ricchi, ma il padre adorava vederla girare per il paese come un'aristocratica signora, quindi metteva ogni soldo da parte per farle la dote e, ogni tanto, per comprarle qualche vestito nuovo, di quelli buoni, non come gli stracci che indossava lui. Nel tempo i vestiti si erano accumulati e adesso Kaila poteva persino cambiarsi d'abito una volta a settimana.
Una volta portati i bauli estivi in soffitta, era il momento di portare quelli invernali al lavatoio, ma mentre cercava di tirar giù da un ripiano l'ultimo dei bauli, il suo, quello più grosso che si incastrava sempre, fece troppa forza e venne giù tutto lo scaffale. Kaila rovinò a terra e su di lei si riversò tutto il contenuto dei ripiani, compresi i ripiani stessi. Non si era fatta molto male nella caduta, i bauli che aveva ordinatamente posato sul pavimento avevano attutito la caduta dello scaffale, ma qualcosa di pesante le era caduto in testa, e quello si che le aveva fatto male. Era un baule più piccolo degli altri. La ragazza non l'aveva mai visto, probabilmente era nascosto sul ripiano più in alto dove lei non arrivava. per di più nella caduta si era aperto e adesso il contenuto era completamente rovesciato sul pavimento. Kaila si tirò via da sotto lo scaffale e cercò di alzarsi. La fronte le pulsava fortissimo dove il baule l'aveva colpita, le girava anche un po' la testa, tanto che dovette appoggiarsi ad una delle colonne che reggevano il tetto per evitare di cadere di nuovo. Si toccò dove le faceva male e fu come se un ago rovente le si fosse conficcato nella fronte, la testa girò ancora più forte e quasi perse l'equilibrio. Scivolò a sedere con la schiena lungo la colonna e aspettò un po' che il dolore si affievolisse. Si ritrovò accucciata accanto al baule e al suo contenuto e la cosa che le saltò subito agli occhi fu un disegno, o meglio, l'angolo di un disegno che sporgeva dal baule rivoltato. Lo trasse a sé e rimase a bocca aperta.
Kaila sapeva che da giovane il padre era un bravo disegnatore, molti venivano alla sua fattoria per chiedere un ritratto, ma lei non lo aveva mai visto disegnare. Suo fratello le aveva raccontato che aveva smesso quando la loro madre era morta e aveva bruciato tutti i dipinti che aveva realizzato. Quello si era salvato, ed era anche evidente il perché, era un disegno meraviglioso, che ritraeva sua madre seduta su una sedia a dondolo intenta a cullare un neonato. Il neonato aveva un vestitino con una 'K' ricamata sopra. Era la sua iniziale. Quel neonato doveva essere lei, e la madre, oh com'era bella, e quanto era radioso il suo sorriso. Quello doveva essere il baule in cui il padre aveva nascosto tutti i ricordi che aveva della defunta moglie.
Per un attimo Kaila pensò di aver profanato una sacra reliquia, ma poi la curiosità ebbe la meglio e, ancora dolorante, si avvicinò al baule e cominciò a studiarne il contenuto.
Oltre a qualche disegno aveva trovato un paio di vesti, una delle quali doveva essere quella che sua madre aveva indossato il giorno del matrimonio. Trovò l'anello con cui suo padre l'aveva sposata. Trovò anche alcuni sacchetti contenenti petali ormai secchi di fiori che Kaila non riuscì ad identificare. Mentre riponeva tutto nel baule con meticolosità quasi reverenziale, vide un piccolo luccichio proveniente da una tavola del pavimento. Qualcosa uscito dal baule si era conficcato nel legno, Kaila lo raccolse e vide che era una chiave d'argento, piccolissima, impensabile che potesse aprire qualcosa, per di più non c'era niente nel baule che richiedesse di essere aperto con una chiave. Decise di tenersela, prese la catenina che portava al collo, se la tolse e vi infilò la chiave. Finché non avesse scoperto cosa poteva aprire, quella chiave sarebbe stata il suo ciondolo, il suo ricordo di una madre che purtroppo non aveva avuto modo di conoscere.

I giorni passarono e Ivan e Felz fecero ritorno a casa con un carico abbondante, nei giorni successivi avrebbero iniziato a preparare i barili di birra per la fermentazione, quindi sarebbero stati indaffarati, e comunque la taverna andava riaperta, quindi a Kaila spettò il compito di stare dietro al bancone. In lei si fece forte la voglia di chiedere informazioni al padre a proposito della madre e di quella piccola chiave, ma per qualche motivo rimandava sempre. Aveva paura, di cosa non lo sapeva, ma ogni volta che provava ad avvicinare il padre si bloccava.
Decise di rivolgersi al fratello, dopotutto lei era ancora piccola quando la madre morì, ma il fratello aveva compiuto sei anni, doveva pur ricordarsi qualcosa. Così si fece coraggio e andò nella stanza di Felz. "Tu ti ricordi di quando è morta la mamma?" la domanda a bruciapelo aveva spiazzato il ragazzo che impiegò qualche istante a riprendersi "Perché me lo chiedi?" cercò di evadere la richiesta. "Beh, in soffitta ho trovato un baule con dentro le cose della mamma, c'erano anche dei disegni di papà, e poi c'era questa" Kaila tirò fuori dalla veste il ciondolo-chiave e lo mostrò al fratello che assunse un aria quasi seccata. "Senti Kai, quella chiave dovrebbe sparire, non la dovrebbe trovare nessuno, buttala nel fiume appena puoi". La ragazza fissò quell'innocuo pezzo di metallo senza capire come potesse essere così pericolosa. Il fratello, cogliendo il dubbio negli occhi di Kaila cercò di spiegare. "Vedi, la mamma non era di queste terre, veniva da Andalia, la città nel cielo, la città perduta. Quello che so è che quelli della sua Stirpe erano perseguitati perché avevano degli strani poteri, è per questo che la mamma è stata ammazzata". Ammazzata. Kaila sapeva che la madre era morta di febbre nera, e invece era stata ammazzata. Crollò a sedere sul letto alla notizia, con lo sguardo perso nel vuoto. "Non te l'abbiamo mai detto perché non volevamo che vivessi nella rabbia e nell'odio come noi". Kaila rimase a sedere ancora qualche istante a giocare nervosamente con la piccola chiave tra le mani. "A cosa serve la chiave?" chiese ancora "Non lo so, dico sul serio, ma se è della mamma avrà qualche potere magico, guarda come luccica, qui non ci sono luci forti che possano giustificare quella strana luminosità". Questo Kaila non l'aveva ancora notato, ma in effetti era vero. L'aveva sempre guardata di giorno, e comunque l'aveva sempre tenuta sotto le vesti al riparo da sguardi indiscreti, eppure adesso che l'aveva in mano non riusciva a spiegarsi come aveva fatto a non notare quella luce fioca e argentea che la chiave emanava.
Si congedò dal fratello con un sorriso forzato e se ne tornò nella sua stanza, al buio, a fissare la chiave che rischiarava debolmente il palmo della sua mano. Neanche si accorse delle lacrime che avevano cominciato a scendere sulle sue guance, prima piano, poi sempre più copiose e accompagnate da qualche singhiozzo. Pianse per ore, poi, sfinita, si addormentò. Sognò una luce immensa e poi un sorriso, un sorriso senza volto, come se fosse libero dai vincoli corporei ma legato direttamente ad un'anima. Un'anima gentile di uno sfavillante colore dorato. Un'anima che l'avrebbe aiutata, a fare cosa, ancora non lo sapeva, ma la fece sentire bene.

Per alcuni giorni Kaila evitò di incrociare lo sguardo del fratello che, dal canto suo, aveva deciso di lasciarle il tempo di metabolizzare le sue parole. Una sera, mentre infuriava la tempesta, lei rimase da sola nella birreria con il padre. Con quel freddo maledetto e la mole d'acqua che veniva giù, nessuno avrebbe rinunciato al calduccio del proprio focolare. Non per quella sera almeno, neanche per assaggiare la birra di Ivan, rinomata in tutto il paese. L'occasione era perfetta, il padre era piuttosto allegrotto, anche grazie a qualche pinta di birra di troppo. Era il coraggio l'unica cosa che mancava all'appello, quello di Kaila ovviamente, perché di quello di Ivan non si poteva dubitare, soprattutto dopo che lo aveva spinto ad aprire la taverna anche con quel tempo del cavolo.
Kaila fece un respiro profondo e iniziò a parlare, tutto d'un fiato, così da evitare di perdersi nel discorso e di iniziare a pentirsi di aver aperto bocca. "Ecco, ho trovato questa chiave... stava nel baule della mamma... non volevo, è che mi è caduto in testa... e ho trovato la chiave... so com'è morta la mamma, me l'ha detto Felz... mi ha detto di buttarla... ma io non ce l'ho fatta... non ti arrabbiare... volevo sapere... ecco... insomma, la chiave aprirà qualcosa, certo, è una chiave... ma non ho trovato niente e... non volevo frugare, è che mi è caduto in testa e... e si è aperto... ma poi l'ho rimesso a posto... però ho tenuto la chiave..." La voce della ragazza si spense con le lacrime che le riempivano gli occhi, lo sguardo basso per non incontrare quello del padre. All'improvviso due possenti mani le si appoggiarono sulle spalle, ma con delicatezza. Sussultò un attimo, poi alzò gli occhi a cercare quelli del padre. Le stava sorridendo, ma era un sorriso triste. C'era tristezza nei suoi occhi, però non era arrabbiato. Era quello sguardo, di quello aveva paura, era quello che le impediva di parlare. Non era la rabbia che temeva, ma la tristezza. Quella tristezza che inevitabilmente arriva quando si riporta a galla un dolore forte.
"Quella chiave apre il diario di tua madre. Vedi, gli Edori, la Stirpe da cui discendeva tua madre, avevano il potere della preveggenza, e questo spaventava molta gente, gente stupida, così tua madre si teneva per se le sue profezie. O meglio, le scriveva su un diario, era un piccolo quaderno con poche pagine, ci appuntava solo quelle che riteneva più importanti. No, so cosa stai per chiedere, io non le ho mai lette e no, non ho il diario con me. Quello le fu confiscato, prima che me la impiccassero come eretica. Se lo sono tenuti nel loro archivio nella speranza di riuscire ad aprirlo. Idioti. Quella chiave è magica, come lo è il diario, senza quella chiave non si potrà mai aprire, quindi finché quella chiave sarà al sicuro, nessuno potrà leggere quelle profezie."
Kaila si sedé su una panca e così fece il padre, così che lei potesse appoggiarle la testa sulla spalla. "Dov'è successo?" "Qui ad Elengar, sono passati ormai tredici anni" Kaila continuò a fissare la chiave che teneva in mano, quel bagliore adesso la turbava. Fece per restituirla al padre, ma Ivan prese la mano della ragazza e la chiuse intorno alla chiave "Questa chiave ti appartiene, tua madre voleva che l'avessi tu". "Come fai a saperlo?" chiese lei perplessa "Quel diario lei ce l'aveva da prima che la conoscessi, eppure, guardala bene, intendo la chiave, avvicinatela". Kaila fissò quella chiave da pochi pollici di distanza e, per la seconda volta, rimase stupida, un altro dettaglio così evidente le era sfuggito: il passachiavi, il foro che permette ad una chiave di essere inserita in un portachiavi, era forgiato a forma di 'K', ancora una volta la sua iniziale. Kaila sorrise. Guardò il padre e sorrise di nuovo, di gusto. Era felice. Sua madre le aveva lasciato un dono. "Dai su, andiamocene a casa che tanto stasera non si batte cassa".
Quella notte Kaila non pianse come si sarebbe aspettata, non odiò neanche, come invece si aspettava il fratello. No, quella sera Kaila iniziò la sua metamorfosi che l'avrebbe fatta diventare una ladra. Quel diario era suo e aveva il diritto di riprenderselo. Lo avrebbe fatto ad ogni costo. Fuori la bufera si era calmata e dalle nuvole fece capolino la Luna. Un piccolo raggio di quella luce argentea passò dalla finestra di Kaila fino ad arrivare alla chiave che iniziò ad irradiare tutta la stanza con quella stessa luce. Avrebbe ripreso quel diario, a costo di diventare una ladra. Era il suo destino. Era quello che avrebbe voluto sua madre. Questo fu il suo ultimo pensiero, poi venne il sonno. Un sonno agitato e pieno di luce, e c'era di nuovo l'anima gentile che l'avrebbe aiutata. Era forse una profezia? Aveva anche lei i poteri della madre? Forse rubare il diario sarebbe stato più facile del previsto. No, quello l'avrebbe fatto da sola. L'anima gentile sarebbe arrivata dopo. Poi di nuovo quella luce immensa, potente, magica e tutto divenne confuso, come se si fosse alzata una fitta nebbiolina dorata. Kaila alzò lo sguardo e la vide, immensa, nel cielo. Era Andalia. La terra degli Edori. La terra della sua Stirpe. E lei l'avrebbe ritrovata.