lunedì 6 dicembre 2010

Un Incarico Scomodo

Il crepitio del fuoco andava lentamente scemando. Grossi pezzi di carbone perdevano rapidamente la loro sfumatura rossastra. Piccole fiammelle si agitavano agonizzanti su un letto di cenere cercando gli ultimi brandelli di legno di cui nutrirsi. Le ombre si amalgamarono col buio impietoso della notte. Un leggero alito portò via l'ultima parvenza di tepore rimasta, lasciando solo il freddo e il gelo a spartirsi l'aria. Nikolas non temeva le basse temperature. Nella sua terra aveva conosciuto il vero freddo, quello che ti gela le ossa. Era cresciuto sentendo il suo respiro condensarsi sulla pelle del suo viso. Quel mite venticello di fine novembre era come una calda vacanza estiva per il suo animo congelato.
Le terre della Stirpe di Mana erano considerate maledette. Il gelo sferzava quei luoghi come per punirli della colpa di cui si erano macchiati. Ormai erano passati più di duemila anni dal termine della Grande Guerra, eppure gli eredi di quella Stirpe venivano ancora additati come rinnegati. Nessuno si fidava di loro. Non ancora. Nikolas era il primo erede di quella gloriosa Stirpe a varcare i confini delle terre di Hoen dai tempi della fine della Guerra. Quando gli fu affidato l'incarico di andare a presidiare la capitale di quel regno da sempre considerato nemico, per un attimo si sentì mancare. Non era paura la sua, anzi, era fiero di quel compito. No, la sua era rabbia. La rabbia frustrata degli sconfitti. Una rabbia non sua, ma della sua gente, che tutta insieme si riversò nelle sue vene e nella sua anima lasciandolo sbigottito. Perché lui? Il Maestro sapeva delle sue origini. Era l'unico a saperlo. Nonostante ciò aveva deciso di mandare lui per quell'incarico. Non riusciva ad apprezzare la sottile ironia di un discendente dei Mana sul trono di Elengar.

Avevano avvistato la montagna sulla cui vetta si ergeva maestosa la capitale fin dal giorno del loro sbarco ad Yrida, la città frontiera. Il porto dal quale tutte le navi da e per il continente dovevano passare. L'unica città portuale sulla riva nord dello stretto. Il primo fronte di difesa delle terre di Hoen.
Avevano perso due giorni tra controlli e perquisizioni. Non si facevano sconti, neanche di fronte al sigillo regale. Il sigillo che Nikolas portava al collo. Un medaglione d'oro massiccio recante impresso lo stemma della Stirpe alla quale un tempo i suoi antenati avevano dichiarato guerra. Il peso di quell'ornamento era aggravato dal peso dell'ipocrisia che sentiva addosso mentre lo indossava. Eppure non l'aveva mai tolto, faceva parte del compito assegnatogli.
Il Maestro aveva una sola parola, e non era molto incline ad accettare obiezioni. Ma a Nikolas stava bene. Si trovava a suo agio ad eseguire gli ordini, di qualunque natura fossero. Aveva bisogno di una guida, di qualcuno che gli indicasse il cammino. Il Maestro aveva preso quel povero ragazzino mendicante che passava la sua esistenza ai margini della vita e lo aveva trasformato in un vero uomo. Un soldato eccellente. Il Capitano della guardia. Ora era stimato e temuto dai suoi uomini. Aveva un posto che poteva chiamare casa. Aveva trovato una ragione per vivere, per sopportare quel senso di inadeguatezza che il gelo delle sue terre aveva instillato fin dentro la sua anima.

Una volta oltrepassate le mura di Yrida, l'avevano vista. Alta e magnifica. Quasi irraggiungibile. La città di Elengar con le sue torri infinite era l'unica cosa che osasse interrompere la linea dell'orizzonte. Ogni giorno di cammino diventava sempre più imponente. Man mano che il drappello guidato da Nikolas si avvicinava alla montagna Hoen, la capitale diventava più nitida. Le sue torri perdevano quell'aspetto mistico di una mano ungulata che ghermisce il cielo. Iniziarono a distinguere le fattorie sul versante della montagna. Videro le piccole torrette di guardia che puntellavano le mura a ritmo regolare. Impararono a riconoscere gli ugelli che in tempo di guerra venivano usati per versare la pece e l'olio bollente sugli assedianti. Ci volle più di una settimana a cavallo perché potessero raggiungere le pendici di quella montagna solitaria.
Quella sarebbe stata la loro ultima notte all'addiaccio. All'alba Nikolas avrebbe svegliato i suoi uomini e avrebbero iniziato la scalata del versante meridionale. Se fossero riusciti a mantenere un buon passo avrebbero raggiunto la città nel primo pomeriggio. Finalmente un po' di riposo.
Stando a quanto gli era stato detto, la città imprendibile era stata presa. In realtà non era successo niente di grave: un ladruncolo si era introdotto all'interno della reggia e aveva sottratto alcuni oggetti di poco conto. Tra l'altro sembrava che il tizio per evitare la cattura si fosse suicidato. Caso chiuso. Il problema stava proprio nel fatto che qualcuno avesse trovato il modo di violare il ventre di quella che per il mondo intero era diventato il simbolo dell'impenetrabilità. Nella storia i figli del monte Hoen avevano radicato nel loro animo il senso della sicurezza. Da qui i controlli maniacali, le mura invalicabili intorno ad ogni città, le navi che pattugliavano le coste. Eppure qualcuno aveva trafitto quella sicurezza direttamente al cuore. Vista in quest'ottica quella che in principio sembrava una sciocchezza - quale reggia al mondo non è mai stata preda di furti - finì per diventare un caso politico. Il Maestro aveva giocato bene le sue carte e aveva convinto il re della Stirpe di Hoen a inviare un gruppo dei suoi fidati soldati per verificare le norme di sicurezza della città e, qualora ce ne fosse bisogno, rinforzarle.

Nikolas si sentiva come alla vigilia di un assalto. Il ché non era del tutto sbagliato visto chi era lui e dove si stava recando. Questa volta però non ci sarebbero state vittime. Ciononostante non riusciva a prendere sonno, erano giorni che non chiudeva occhio. Iniziò a sellare il cavallo per tenersi occupato. I suoi uomini erano rannicchiati nei loro giacigli di piume d'oca. Profondamente addormentati ma sempre con una mano sull'elsa della spada. Li conosceva bene ormai. Sarebbero scattati in piedi alla sua prima parola. Anni e anni di addestramenti serrati li avevano uniti. Ormai si intendevano alla perfezione. Era sufficiente uno sguardo per comunicare un ordine. Non potevano definirsi amici, no, il loro legame andava oltre, ognuno di loro avrebbe dato la vita per proteggere la squadra. Nessuno veniva mai lasciato indietro. O si avanzava uniti e compatti, o si moriva insieme nel tentativo.
Pilsk era il più giovane del gruppo. Lo avevano beccato a rubare nell'armeria dell'esercito pochi anni prima e per penitenza lo avevano arruolato. Il Maestro era scaltro: uno che riusciva ad aggirarsi indisturbato per i corridoi della caserma era sicuramente un valido elemento. Si beccò novecento frustate per quella bravata, poi però fu affidato alle 'amorevoli' cure del Capitano. Adesso se ne stava lì, accovacciato come un bambino vicino ai resti del fuoco e abbracciato ad una freccia. Ne teneva sempre una nel fodero della spada. Quel fodero avrebbe tenuto tranquillamente uno spadone a due mani, invece ospitava una freccia e uno stiletto. Quest'ultimo era completamente arrugginito, non era mai stato usato. Anche nel corpo a corpo Pilsk brandiva le sue frecce come fossero spade. Aveva una mira infallibile. Era in grado di colpire una noce da 500 iarde di distanza con vento a sfavore. Si diceva in giro che avesse discendenze elfiche, ma per il Capitano non era un problema. Nessuno meglio di lui conosceva l'amaro sapore della discriminazione.
Hector era il muro di difesa del gruppo. Aveva l'imponenza del tronco di una quercia secolare e tante cicatrici sulla pelle da farla sembrare la corteccia di un albero. Era alto più di due metri e combatteva con la grossa ascia che portava legata sulla schiena. Malgrado l'apparenza era di un'agilità incredibile. Entrò nell'Esercito Unificato ancor prima del Capitano. Nessuno conosceva la sua età ne la sua voce. Da quando fu affidato al comando di Nikolas non aveva mai proferito verbo. Le sue origini erano avvolte dal mistero come anche il perché si fosse unito spontaneamente all'esercito - di solito si veniva convocati, e nessuno era mai felice di questo onore.
Ariel era l'unico a non avere una spada. Non ne aveva bisogno. Il suo ruolo era quello del cerusico. Curava le ferite degli altri e si occupava di sfamarli. Un ottimo cuoco. Era riuscito a preparare un pasto decente anche mentre erano dispersi nelle paludi di Terahd. Sapeva produrre ogni tipo di antidoto e medicina. Lui ad Elengar c'era già stato. E si era diplomato a pieni voti alla scuola di magia. Il Maestro aveva voluto che ogni squadra fosse accompagnata da un mago. In battaglia Ariel sapeva attaccare bene quanto i suoi colleghi pur mantenendosi a debita distanza dal fronte. Era la retroguardia del gruppo. L'arma più preziosa nelle mani del Capitano.
Tak era Tak. Nikolas conosceva il suo segreto, ma una donna nell'esercito era qualcosa di anomalo. Il suo nome reale era Takalia. Nessuno però, fatta eccezione del Maestro e del Capitano, ne era a conoscenza. Tak era l'esperta di veleni e di mimetismo. Era stata per anni la spia personale del Maestro. Era riuscita ad ottenere tutte quelle informazioni che avevano permesso al loro capo di raggiungere le vette del potere. Ora che la posizione del Maestro era consolidata, era stata assegnata al Capitano. Da anni viveva come un uomo. Camuffava le sue forme grazie alla sua arte del travestimento. Prendeva ogni sera una mistura di sua invenzione che le abbassava il tono di voce. Portava i capelli sempre rasati, solo lo sguardo tradiva una femminilità dimenticata.
Quello era il suo gruppo. Il gruppo del Capitano Nikolas. Il più temuto di tutto l'Esercito Unificato. L'unico al quale il Maestro avrebbe affidato la sua stessa vita. L'unico che poteva accollarsi una missione tanto delicata.

Dalla vetta della montagna iniziò a scendere lenta una leggera nebbia che andò ad annegare la vallata. Il cielo iniziò a schiarirsi sotto una fitta coltre di nubi. L'ora del risveglio era arrivato. Il Capitano chiamò a raccolta i suoi uomini che, dopo pochi preparativi, erano pronti a partire. Montarono a cavallo e si incamminarono verso la loro meta. Verso il loro ultimo giorno di viaggio.
Si unirono alla lenta processione di fattori che portavano la loro merce in città. Raggiunsero il Grande Portone nel primo pomeriggio. Furono subito bloccati dalle guardie che mal tolleravano i forestieri. Solo il sigillo regale gli permise di avere accesso alla città. "Avrò bisogno di incontrare il vostro capitano. Ditegli che lo attendo tra un ora nella Sala del Trono." Nikolas si rivolse ad uno degli armigeri più giovani che subito scattò tra le vie del borgo per consegnare il messaggio.
Vagarono un po' senza meta tra i vicoli dell'alveare. A vederli sembravano sperduti, in realtà stavano studiando la città. Conoscere ogni via di fuga e ogni punto debole di una città era alla base di ogni strategia militare. Alla fine si fermarono alla stalla comunale dove smontarono i cavalli. Si separarono. Il Capitano si diresse verso la reggia mentre lasciò detto ai suoi di continuare l'ispezione della città a piedi.
La Sala del Trono era chiusa da diverse generazioni. Il paggio incaricato di accompagnare Nikolas fece fatica ad aprire le imponenti porte in rovere i cui cardini erano ormai profondamente arrugginiti. Era un luogo insolito per tenere una riunione militare. La scelta del Capitano era però studiata a fondo. Ricevendo qualcuno nella Sala del Trono indossando lo stemma regale avrebbe aiutato a definire facilmente il rapporto che si intende instaurare. Nikolas voleva imporsi sull'esercito locale facendo valere la sua autorità e oscurando quella del capitano di Elengar rendendolo un suo subalterno. Nessuno aveva ostacolato il suo cammino fin lì, addirittura alcuni cortigiani si erano inchinati al suo passaggio. Tutto quello spettacolo visto dagli occhi di un rinnegato aveva un ché di surreale. Andava contro l'ordine naturale delle cose. Eppure era lì, a farsi benedire dalle damigelle e omaggiare dai cavalieri. Un vinto sul trono dei vincitori.

Eric, il Capitano della Guardia di Elengar si presentò al cospetto di Nikolas senza farsi annunciare. Puntò dritto sull'avversario con una mano stretta a pugno su un fianco e l'altra saldamente aggrappata all'elsa della spada. Nikolas non si scompose. Si era comodamente adagiato sul trono e non azzardò nessuna reazione all'arrivo dell'altro. "Che ci fate voi qui? Nella mia città? Sul trono del mio sire?" Eric sembrava sul punto di esplodere.
"Ah, questa sediola è un trono? Non l'avrei mai detto! Sono qui per ordine del vostro sire" Nikolas fece segno al suo paggio che consegnò una pergamena al capitano Eric "Come potete leggere mi conferisce pieni poteri! I vostri poteri, per essere precisi. Da oggi sarete al mio servizio" concluse. "Cosa? E' uno scherzo!" Eric cercò di leggere la pergamena più in fretta possibile trattenendo a stento la nausea "Temo di no, mio caro amico! C'è stata garantita la vostra massima collaborazione! Siamo qui per il bene di Elengar!" Eric era furibondo, ma Nikolas intravvide nei suoi occhi un cenno di resa. Il suo furore doveva lasciare il posto al senso del dovere. Gli ordini del re andavano sempre onorati. "Non sono vostro amico, e nemmeno un vostro sottoposto..." Eric fissò intensamente il pavimento meditando su come terminare la frase, poi alzò gli occhi furenti e semplicemente se ne andò. Calcava su ogni passo come un elefante in una radura. Ora la città apparteneva al Capitano. Nikolas si prese un attimo per assaporare la sensazione.
Dopo aver oziato un po' nei suoi pensieri, raggiunse la sua squadra nell'alveare. Si incontrarono di fronte ad una taverna locale che il sole stava iniziando a tramontare. "Ehi Capo, come la vedi una bella mangiata? Ora qui ce la comandiamo, un po' di riposo ce lo siamo meritato". L'insolenza di Pilsk ormai faceva parte della quotidianità. Non avrebbe mai permesso a nessuno di rivolgerglisi in quella maniera. Ma Pilsk faceva parte della compagnia ed aveva dimostrato la sua lealtà in più di un'occasione, quindi Nikolas lasciava correre quelle sue esplosioni di gioventù. Abbozzò un sorriso e fece a tutti cenno di entrare.
Si diresse direttamente al bancone mentre gli altri prendevano posto intorno ad un tavolo. Voleva approfittarne per chiedere qualche informazione all'oste, ma fu preso in contropiede. Se c'era una cosa che a Nikolas proprio non riusciva, era di rivolgersi con disinvoltura alle donne. Ci riusciva con Tak solo perché l'aveva sempre vista prima come un compagno di squadra che come una vera donna. Inoltre lei faceva di tutto per nascondere la sua identità. Ma quella che gli si parò davanti era tutta un'altra cosa. Una ragazza bellissima. Folti capelli neri e ricci racchiudevano come un caschetto quei lineamenti delicati e quegli occhi del colore dell'ambra. Lei lo fissò con quel suo sguardo penetrante e per un attimo Nikolas perse il senso del tempo. Doveva essere molto giovane, decisamente più piccola di lui. Forse aveva quindici o sedici anni, ma aveva le fattezze di una donna. Il naso piccolo e le guance morbide, le labbra carnose e di un rosso vivo. Se ne stava lì a pulire in maniera eccessiva un unico boccale vuoto. Sembrava intimorita. Capitava spesso quando la gente lo guardava. Cercò di intavolare una discussione, ma capì subito di aver sbagliato tono, perché la ragazza si mise sulla difensiva e scappò alla prima occasione.
Era rimasto abbagliato da quella visione. Non gli era mai capitata una cosa del genere. Tutto sommato quella missione poteva avere qualche risvolto positivo. Andò a sedersi coi suoi commilitoni e finalmente si rilassò. Tra il vociare dei suoi uomini e gli sguardi rubati alla ragazza della birreria finalmente iniziò a sentirsi sciogliere un po' di quel gelo che lo attanagliava dentro.
Nikolas aveva ritrovato il sorriso.


2 commenti:

  1. AHahhaha Nikolas, tu sì che sai far colpo sulle donne! XDDD
    Cmq Kaila me la immaginavo COMPLETAMENTE diversa ho dovuto fare una brusca frenata e ridipingerla nella mia testa!
    Cmq questo capitolo mi è piaciuto moltissimo, davvero, forse è uno dei miei preferiti <3

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  2. Salve Marco e,già che ci sono, salve anche a Lei, Elisa.
    Tanto per cominciare,prima di qualsiasi cosa-commento-recensione etc. devo farvi sinceri auguri di buon matrimonio, cosa che non sono riuscita a fare su Comic Who. Mi viene voglia di dire: -Auguri signor Moriconi!
    Al che Lei mi risponderà: -No, non è così che funziona!
    E quindi io: -Sì, invece.
    -Sì... invece. :-)
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    Tornando alla storia: complimenti, adoro lo stile che usi e che, nonostante venga spesso ripetuto un suo passaggio, non risulti mai noioso. Non so come lei faccia, ma complimenti vivissimi.

    Nadia =)

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