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lunedì 13 dicembre 2010

Braccati

Se ne stava lì, ferma sul bordo della voragine a fissarmi. Bella, per carità, però forse un po' idiota. Era in controluce, quindi non riuscivo a vederla bene, ma sembrava avesse indosso un sacco di patate e dei pantaloni anni '60, probabilmente ricavati da un altro sacco di patate. Cercavo di sorriderle per farle capire che non ero pazzo. Mi stava venendo una paresi alla faccia. Intorno a me c'erano alcuni oggetti. Tutto ciarpame e paccottiglia. Eccolo. Quel grosso candelabro mi era finito diritto in testa. Una male cane. Forse aveva scambiato quel buco per una discarica, perché quelli che aveva buttato avevano tutta l'aria di essere rifiuti. Quelle cose inutili che si ritrovano aprendo le scatole dopo un trasloco e che non sai proprio dove metterle. Alla fine il secchio della spazzatura si rivela essere sempre il posto più adatto. Non capisco però come facesse a sapere di quel buco. Se non fosse per noi che ci siamo crollati dentro, quello doveva essere un bel terreno piatto e apparentemente solido.
"Ehi, dico a te, lassù. Avremmo bisogno di aiuto. Siamo bloccati qui sotto da ieri sera. Abbiamo una corda, ma ci serve che qualcuno la leghi ad un albero". La corda. Bella storia quella della corda. Peter e il prof l'avevano legata ad un albero prima di cadere, eppure adesso se ne stava lì per terra con la cima tutta bruciacchiata. Come se fosse stata tagliata con una fiamma e ributtata dentro al buco. Tutta colpa di Elliot. Sinceramente ancora non riesco a capire cosa abbia combinato. All'improvviso il suo sguardo era diventato vitreo. Camminava come uno zombie verso il centro della stanza e poi... Boh! Ricordo solo che stava canticchiando una specie di canzoncina in una lingua strana che per quel che mi riguarda poteva anche essere aramaico antico. Poi c'è stata l'esplosione, ma non un'esplosione vera, solo luce. Un lampo accecante e un sibilo fortissimo che ci ha fatto perdere conoscenza. Quando mi sono ripreso c'era solo Elliot in piedi al centro della stanza. Se ne stava lì fermo con lo sguardo basso. All'inizio avevo pensato fosse uno scherzo di cattivo gusto quindi gliele volevo suonare di santa ragione, però quando l'ho strattonato sembrava come se si fosse appena svegliato. Aveva sussultato. Lo sguardo era tornato normale, anzi, sembrava sperduto. Incredulo quanto me. "Che è successo?" mi aveva chiesto. "E che ne so io? Sei tu quello che è diventato strano!"
E pensare che lo stavo rivalutando. Tutto sommato si era comportato bene in quella situazione particolare. Non aveva perso lucidità nel momento del pericolo e mi aveva anche aiutato a sistemare Lara. La prima conseguenza pratica di quello strano lampo è che i fantasmi che avevano illuminato la stanza fino ad un attimo prima se l'erano squagliata. Evidentemente si erano spaventati. Poverini. A quanto pare non si limitavano ad illuminare la stanza, ma la riscaldavano anche. Una volta spariti, il freddo aveva riempito tutta la cupola. Un freddo umido, tipico delle cantine d'inverno. Una sensazione tremenda perché senti uno ad uno tutti gli arti che ti si intorpidiscono. Lara aveva iniziato a tremare e con quella brutta frattura rischiava di non superare la notte, così a turno l'abbiamo coperta con le nostre giacche. Il risultato è stato che Lara aveva smesso di battere i denti mentre noi avevamo iniziato.
Il Professor Stevens aveva acceso un bel fuocherello con alcuni rami secchi, ma non era servito a granché. Tutti quanti avevamo un cellulare, ma sembrava non esserci campo. Non c'era modo di chiamare aiuto. L'unica nostra speranza era quella ragazza. Imbambolata e più spaventata di noi. "Cosa ci fate lì dentro?" chiese. Un vero genio. "Facciamo una piccola vacanza, non si vede?" Non doveva essere molto pratica del concetto di sarcasmo perché il suo sguardo sembrò sempre più confuso. "Siamo caduti ieri sera. Eravamo su alla villa e scendendo il terreno ci è franato sotto i piedi". Forse era meglio cercare di evitare le battute ironiche, dopotutto era la nostra via d'uscita da quella situazione insostenibile. "Quale villa?" Ok, idiota era un po' riduttivo. Che vuol dire 'quale villa'! Casale Spavento si vede anche da un chilometro di distanza. Con certa gente è meglio andarci con i piedi di piombo "Senti, abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci leghi la corda ad un albero, così usciamo, portiamo la nostra amica in ospedale e non diciamo a nessuno che cos'hai buttato qui dentro". Quelle ultime parole dovevano aver colpito nel segno perché la ragazza sembrò riscuotersi dal torpore e ridiventare lucida. Legai la corda al candelabro che mi aveva colpito in testa e glielo lanciai. Lei lo prese al volo, slegò la corda e ributtò giù il candelabro. Per poco non mi colpiva di nuovo "Oh, scusa". Idiota e imbranata. Prese la corda e la legò ad un tronco. Essendo tagliata era più corta, ma sembrava essere sufficiente.
"Allora, Elliot e Peter salgono per primi. Io e il professore rimaniamo giù ad assicurarci che Lara non cada di nuovo". Lara era pallida in viso e aveva la fronte imperlata di sudore. Probabilmente aveva la febbre. Faceva fatica a respirare. Aveva assoluto bisogno di un dottore. Ci volle un po', ma alla fine riuscimmo a farla risalire dal buco. Una volta salita Lara fu il nostro turno. Il professore volle a tutti i costi far salire prima me. Come se finora fosse servito a qualcosa il suo aiuto.

Impiegai un po' per capire. E tuttora non sono sicuro di aver afferrato bene. La ragazza, Kaila, non era del tutto stupida. Effettivamente la villa non c'era. Scomparsa. Anzi, come se non fosse mai neanche esistita. Ma non era tanto quello a preoccuparmi, quanto il fatto che anche la nostra città sembrava essere sparita. Vicino al buco c'era una radura e da lì si vedeva chiaramente. Al posto della città era sorto una specie di borgo medievale. Uno di quelli che si vedono sui libri di storia. Inoltre in lontananza si vedeva una... beh, sembrerebbe proprio una montagna, ma in quella zona non c'erano montagne. Oddio, non che io sia un esperto di geografia, ma una montagna come quella l'avrei notata. Alta e a punta con sulla vetta delle specie di... torri? Avevano tutta l'aria di essere le dita di una mano, ma a rifletterci bene sembravano più le torri di un castello.
"Dove diavolo siamo finiti?" chiese Peter. "Direi esattamente dove eravamo ieri sera. Noi non ci siamo spostati" fece il prof andando da una parte all'altra della radura "guardate la collina, è identica a come era ieri sera. Gli stessi alberi, lo stesso buco. La cupola lì dentro non sembra diversa da ieri sera. E' come se tutto il resto del mondo fosse cambiato all'improvviso". Kaila sembrava decisamente perplessa. Non avevo sbagliato di molto ad identificare i suoi vestiti. Certo, non erano sacchi di patate, però ricordavano molto gli abiti da contadini che si vedevano al museo di storia medievale. Non dovevano venire dagli anni '60, ma più probabilmente dal '600. "E se fossimo tornati in dietro nel tempo?" Lo dissi quasi scherzando, ma gli altri sembravano prendere l'ipotesi sul serio. "No, non è possibile, altrimenti il buco si sarebbe richiuso" mi rispose Peter. Dovevo decisamente smetterla con le battute sarcastiche, sembravo essere l'unico ad avere un minimo di senso dell'umorismo.
"Beh, adesso che facciamo? In ogni caso dobbiamo far curare Lara, cercheremo più tardi di capire cos'è successo". Nessuno si preoccupava della ragazza. Tutti erano molto più interessati a capire dove fossimo finiti. Mi sentivo debole, come tutti del resto. La nottata ci aveva sfiancati e non avevamo nulla da mangiare. Il borgo sembrava essere molto lontano e se davvero eravamo finiti indietro nel tempo dubito che avremmo potuto comprare del cibo coi nostri soldi. "Avete fame?" disse Elliot. "No, perché io sto morendo e qui ho parecchia roba". Non lo capisco quel ragazzo. Non si era portato neanche una torcia elettrica, però aveva tanto cibo in quello zaino da poter sfamare un esercito. Anche Lara si riprese un po' dopo aver mangiato e bevuto un succo di frutta. Elliot la aiutò sia a mangiare che a bere come un bravo infermierino. Bah, all'inizio mi era sembrato di capire che si odiassero, ma evidentemente mi ero sbagliato. Quei due sembravano parecchio legati. Lui era estremamente servile e lei era tutta un sorriso.

Il problema principale per potersene andare da lì era trovare il modo di spostare la barella di Lara. Con l'aiuto del professore e di Kaila ci procurammo una serie di rami per rinforzare la struttura della lettiga e un paio di bastoni particolarmente lunghi da usare per trasportarla a braccio. Kaila sembrava sempre sul punto di dirmi qualcosa, ma poi abbassava lo sguardo e si allontanava. Forse avrei dovuto darle corda, ma non era il momento. All'improvviso poi sparì esattamente com'era comparsa. Il tramonto calò in fretta e probabilmente ci saremmo dovuti accampare lì. Kaila tornò con alcune strane foglie e delle bacche. Non esattamente quello che mi aspettavo per cena. "Non si mangiano queste. Servono per la gamba della vostra amica. Sono erbe curative". Beh, almeno Lara sarebbe arrivata viva fino all'indomani.
Preparammo un grande falò che ci permettesse di combattere il freddo della notte e consumammo in fretta i pochi avanzi che Elliot aveva conservato. "Da dove venite?" chiese Kaila. Avrei voluto risponderle, ma sinceramente non sapevo cosa dirle. "Io vengo da quella città laggiù. Quella sulla cima del monte. Si chiama Elengar. Non la conoscete, vero?" Sembrava sapere cosa stesse accadendo. "Tu sai come siamo finiti qui?" chiese il professore. "Sinceramente no, ma comincio a credere che quel lampo di luce che ho visto ieri sera foste voi. Probabilmente vi siete teletrasportati". Il lampo era un dato di fatto, l'aveva visto anche lei, ma l'idea del teletrasporto era davvero insolita. "Non sai cosa sia un accendino, ma sai cos'è il teletrasporto?". Sembrava che la cosa la facesse ridere. "Certo che lo so, è una magia che permette ad oggetti e persone di spostarsi da un luogo ad un altro. Non sono una strega ma qualcosa sulla magia la so anche io". Dopo questa le avevo davvero sentite tutte. Pazza, come altro definirla. Adesso si era messa a blaterare di magia come se fosse la cosa più normale del mondo. Certo che da quel poco che so sul Fantasy, quello che Elliot aveva pronunciato all'interno della cupola aveva tutta l'aria di essere un incantesimo.

Fu rapido come un fulmine. Ne riuscii a sentire solo il sibilo. Il rumore sordo del metallo che si conficcava nel legno attirò il mio sguardo. Una freccia si era conficcata nell'albero accanto a quello al quale ero appoggiato. Mi voltai verso gli altri "Qualcuno ci sta... sparando... come diavolo si dice quando ti tirano una freccia?". Kaila scattò in piedi. Buttò il resto della sua acqua sul fuoco per spegnerlo. "Presto! Dobbiamo scappare! Mi hanno seguita!".
"Chi diavolo sono? E come facciamo con Lara?"
"Non lo so, ma se vuoi puoi rimanere a chiederglielo. Dobbiamo risalire la collina".
Oh che bello, anche Kaila sapeva essere sarcastica. Peccato per la pessima scelta dei tempi. Elliot ed io sollevammo di peso la portantina con Lara sopra e iniziammo a correre dietro a Kaila. Veloce la ragazza. In pochi minuti ci aveva quasi seminato. Frecce su frecce continuavano a conficcarsi nei tronchi degli alberi lungo il nostro cammino. O il tizio aveva una pessima mira o stava cercando di farci cadere in una trappola. "Non ce la facciamo a correre più veloce con Lara in queste condizioni". Peter, che ci aveva superato, si fermò di colpo. "Dividiamoci! Io sono di sicuro il più veloce, posso cercare di attirarmeli dietro e darvi il tempo di scappare. Ci vediamo domattina dall'altro lato della collina". Non ricordavo fosse così coraggioso. Lui era quello che si defilava sempre quando mi avvicinavo ad Elliot. "Non fare l'eroe, quelli ti ammazzano". Non sembrava rendersi conto del pericolo. Prima che riuscissimo a farlo ragionare era già scattato verso valle. "Fermati!" Il professore sembrava disperato. Perdere un alunno in una bravata notturna non doveva essere una cosa carina da scrivere sul curriculum. "Voi andate avanti e proteggete Lara, a lui ci penso io". Scattò all'inseguimento di Peter lasciandoci da soli con Kaila. La ragazza si fermava di tanto in tanto per permetterci di raggiungerla, ma le braccia iniziavano a cedere.
Il rumore delle frecce sembrava aver deviato percorso. Forse Peter e il prof erano riusciti nel loro intento, ma Elliot ed io eravamo al limite. Non saremmo riusciti a trascinarci dietro la barella per molto ancora. A valle calò il silenzio. Kaila ci fece segno di raggiungerla, aveva trovato una specie di piccola rientranza nella roccia che poteva fornirci riparo. Nascondemmo per bene Lara e ci accucciammo tra le rocce. Le braccia erano puro dolore e facevo fatica a respirare. Difficilmente sarei riuscito e risollevare di nuovo quella barella.

Ci furono lunghi momenti di silenzio rotti solo dall'ululato di un lupo in lontananza. "Ehilà! Dove siete? E' inutile che vi nascondete, abbiamo catturato i vostri amici e tra poco sarà il vostro turno. Vogliamo solo la ragazza!".
Elliot ed io ci girammo verso Kaila che sembrava sorpresa quanto noi. "Allora, si può sapere chi sono? E cosa vogliono da te?"
"Fanno parte di un esercito speciale. Non ne so molto. Da poco controllano la guardia di Elengar. Quella roba che ho buttato nel buco l'avevo rubata nel palazzo reale. Devono averlo scoperto e mi avranno seguita". Perfetto, ci trovavamo in un mondo sconosciuto insieme ad una criminale ricercata. Beh, non importava molto di quali crimini si fosse macchiata, ci aveva salvato la vita e non l'avrei lasciata nelle mani di quei tizi. Il problema è che non sapevo proprio cosa fare. Avevamo lasciato tracce ovunque. Se quello era anche solo un cacciatore mediocre, ci avrebbe trovato in pochi minuti.
Elliot si alzò in piedi all'improvviso. "Scemo, torna giù, ti farai beccare!" Si muoveva con quel passo incerto che già aveva mostrato nella cupola. Lo afferrai per un braccio e lui si voltò di scatto. Aveva di nuovo quello sguardo vitreo ed esanime. Sembrava un morto che camminava. Devo ammettere di essermi spaventato. Ovviamente solo per un attimo. Mica ho paura dei morti io. Però lasciai andare la presa ed Elliot ricominciò a camminare. Raggiunse il centro del sentiero e si fermò. Un bersaglio facilissimo. Vidi la freccia avvicinarsi a lui quasi al rallentatore. No, un momento. Non ero io a vederla al rallentatore. Era proprio la freccia che stava rallentando. Elliot aveva alzato la mano davanti a sé e il palmo gli si era leggermente illuminato. La freccia si fermò a mezz'aria e prese fuoco. In quello stesso istante da ogni albero o cespuglio di fronte ad Elliot si alzarono enormi fiamme. Un vero e proprio muro di fuoco si formò di fronte al ragazzo. Si estendeva per centinaia di metri in entrambe le direzioni. Dovevo decisamente riconsiderare come attendibile l'ipotesi del teletrasporto magico.
Il pericolo era passato. Nessuno sarebbe riuscito ad oltrepassare quell'inferno. Potevamo scappare. Dovevamo trovare il modo di liberare Peter e il prof, ma se Elliot poteva usare la magia, forse ce l'avremmo fatta. Andai da lui per congratularmi sinceramente. Gli diedi una pacca sulla spalla e lui trasalì. "Che è successo? E da dove viene il fuoco?"
"Sei stato tu, non ricordi?"
"Io? Ma che stai dicendo, io ero con te nel nascondiglio... un momento, come ci sono arrivato qui?"
"Eri tipo in trans. Non so come hai fatto, ma ci hai salvato. Ora andiamo. Dobbiamo scappare".
Kaila sembrava sorpresa quanto me. Forse neanche in quel mondo assurdo era così usuale vedere un mago all'opera. Comunque l'incombenza di Lara ci riportò alla realtà. Elliot ed io risollevammo la barella con enorme fatica e ricominciammo a muoverci. Andavamo piano. Un po' perché ci sentivamo più sicuri, un po' perché eravamo allo stremo delle forze.
La salita era finita, avevamo raggiunto la vetta. Là dove doveva sorgere Casale Spavento c'era solo una piccola radura. Al centro sgorgava una polla d'acqua. Un posto perfetto per recuperare un po' di energie. Appena depositata Lara a terra, quasi mi tuffai con la testa nell'acqua gelida. Avevo freddo, ma la sensazione era stupenda. Sembrava quasi di rinascere. Bevvi tutta l'acqua che riuscii ad ingoiare. Quando riemersi vidi che Kaila aveva seguito il mio esempio. I capelli bagnati le calavano sulla fronte e i suoi occhi risplendevano al buio.
Solo Elliot non si era tuffato. Dallo zaino aveva preso un bicchiere di carta e faceva la spola tra la pozza e Lara. Effettivamente la ragazza era quella che aveva più bisogno di rinfrescarsi. Doveva avere la febbre alta e Elliot faceva di tutto per abbassarle la temperatura. Tamponava la sua fronte con un fazzoletto imbevuto d'acqua e ogni volta che ne aveva bisogno le portava altra acqua.
Per un attimo le appoggiò la mano sul ventre e chiuse gli occhi con forza. Forse voleva provare a curarla con la magia, ma senza alcun esito. Rimanemmo lì per un po'. In lontananza si sentiva ancora il crepitio dell'incendio che Elliot aveva appiccato. Grosse nuvole di fumo si alzavano verso il cielo. L'odore del legno bruciato riempiva l'aria. Kaila si alzò e si scrollò via la terra dai pantaloni. "Dobbiamo andare. Quel fuoco non li terrà impegnati per molto". Ci alzammo controvoglia e ci stiracchiammo. Eravamo stanchi ma non era quello il momento di riposarsi, così ci incamminammo con Kaila in testa.
Avevamo appena iniziato a scendere dall'altro versante della collina quando all'improvviso la ragazza si immobilizzò. "Che succede?" fece Elliot andandole quasi a sbattere addosso. "Lupi!" rispose lei.
Davanti a noi si era schierato un intero branco di lupi. Dovevano essere almeno una dozzina e altri si stavano avvicinando dietro di noi. Eravamo completamente circondati. "Ok Elliot, questo è il momento di fare un'altra di quelle cose alla Harry Potter".
"Non ho la più pallida idea di come ci sia riuscito."
"Basta una scintilla. Un fuocherello. I lupi si spaventano facilmente con queste cose."
"Ti ripeto che non so farlo a comando. C'ho già provato prima."
I lupi si avvicinavano lentamente. Lara era una preda troppo facile. Era impossibile proteggerla in quella situazione. Non c'era via di scampo. Proprio nel momento in cui pensavamo di esserci salvati.
Bel modo di concludere la giornata.


giovedì 9 dicembre 2010

Hangwick



La pioggia può essere un'amichevole compagna di viaggio. Kaila iniziò ad apprezzare il ritmico sottofondo delle gocce che rimbalzavano sulla tettoia improvvisata costruita da Felz. Il loro viaggio era iniziato ormai da diverse ore, ma ancora non avevano raggiunto le pendici del monte Hoen. A vederlo dall'alto, quel mondo fatto di campi, foreste e corsi d'acqua sembrava così piccolo e irraggiungibile. Sul primo punto Kaila dovette ricredersi. Man mano che si avvicinavano cominciava ad avere l'idea delle immensità che le si paravano di fronte. Sul secondo punto, beh, dopo cinque ore di viaggio ancora non riuscivano a venire a capo di quegli interminabili tornanti, quindi sì, era decisamente irraggiungibile.
Le continue curve a gomito che si alternavano sotto le lente ruote del carro avevano iniziato a dare la nausea alla ragazza. Ad ogni tornante incontravano nuove fattorie, nuovi campi, nuovi profumi. Come la città di Elengar, anche l'intera montagna sembrava un immenso alveare dove le operose api procedevano nel loro incessante lavoro. La pioggia stava rendendo la strada impervia. Placidi rigoli d'acqua ghermivano la pigra terra battuta del sentiero trascinando a valle detriti e ciottoli. Ad ogni tornate piccole cascate si univano a formare quello che sembra un leggero torrente del colore del cioccolato. Quello allungato con il latte appena munto dalle mucche. Una prelibatezza che

nei giorni di festa
Ivan preparava per i figli sciogliendo in acqua calda quei pochi blocchi di cioccolato che riusciva a permettersi al mercato. Una bevanda tanto gustosa da rendere le fredde serate invernali più sopportabili.

Una leggera sensazione di fame colse Kaila all'improvviso. Non era esattamente fame. Qualcosa di più inusuale. Era golosità. Da giorni aveva come questa strana voglia di cose estremamente dolci. Ogni volta che il sorriso gentile tornava a far visita nei suoi sogni, al risveglio sentiva il richiamo della dispensa. Quella più in alto. Era lì che Ivan nascondeva le poche leccornie che entravano in casa. Le abitudini erano dure a morire, e il fatto che ormai sia Kaila che Felz fossero abbastanza alti da raggiungere quegli sportelli non aveva spinto l'uomo a trovare un nuovo nascondiglio per i dolciumi. Eppure non era il cioccolato ad attirarla. No, quello per tradizione si mangiava durante l'inverno con il latte caldo. Non avrebbe avuto lo stesso sapore preso così, senza tutto quel contorno familiare che rendeva le serate di festa tanto speciali. L'attenzione di Kaila veniva attratta dalle ciliege. Quelle sotto zucchero che lei e Felz preparavano in agosto, dopo la raccolta.

Era stata sua madre ad iniziare quella tradizione e Kaila trovava che il rito della preparazione delle ciliege fosse come un piccolo legame che la riportasse tra le braccia di quella donna da cui era stata separata troppo presto. E poi era troppo divertente stare lì ad aspettare il concerto di schiocchi che veniva dai tappi di latta una volta che il sole aveva sciolto tutto lo zucchero presente nel barattolo. Una volta Ivan le disse che quello era un vero e proprio sigillo. Come quelli che gli stregoni applicano alle magie per imporvi la loro volontà.

L'uso dei sigilli era una delle materie considerate più importanti tra quelle insegnate alla scuola di magia di Elengar. Kaila non riusciva a coglierne il fascino, pensava fossero solo una cosa buffa. Una superstizione. Eppure quel rito delle ciliege la mandava in estasi. Forse era quella la vera magia che si nascondeva dietro ai sigilli.



Aprì il suo grosso fagotto e ne trasse fuori un barattolo di ciliege. Era grande, ma era pieno solo a metà. Ultimamente il sogno del sorriso gentile si era ripetuto spesso. Allo sguardo perplesso di Felz, Kaila rispose con un sorriso imbarazzato. Si sentiva come quando da bambina veniva colta sul fatto mentre faceva qualche marachella. Il fratello però doveva trovare quello sguardo estremamente tenero, perché scoppiò a ridere e accarezzo la ragazza tra i capelli con affetto. Alla fine Kaila riuscì a vedere il mondo al di fuori dei confini del monte Hoen. Il barattolo no. L'ultimo tornante disse addio alle ultime ciliege pescate dai due affamati e golosi fratelli.

Il calore che quel succo provocava scendendo giù per la gola sciolse il ghiaccio che attanagliava l'animo della ragazza Evidentemente anche la lingua doveva essere in qualche modo congelata, perché man mano che le ciliege nel barattolo diminuivano, le chiacchiere tra i due aumentavano. Kaila iniziò a sentire la testa leggera, scevra da ogni tipo di preoccupazione. Un nuovo mondo si stava aprendo davanti ai suoi occhi e lei sentiva la necessita di assaporarne ogni singola goccia. Le domande si formavano da sole nella sua mente e lei non faceva nulla per trattenerle. Così iniziò a chiedere informazioni su ogni fattoria che incrociavano. Scoprì che in realtà non era necessario avere un bell'appezzamento di terra per poter coltivare in montagna. Molte fattorie infatti avevano grossi frutteti, altre invece si limitavano ad allevare animali. Quello che andava per la maggiore era l'ulivo. A quanto diceva Felz questo tipo di albero cresceva anche nelle condizioni più avverse e l'olio che se ne ricavava si vendeva molto bene e sul pane era un vero e proprio dono del cielo. Kaila rimase sorpresa del fatto che la loro fattoria fosse l'unica a coltivare il luppolo. A quanto pareva bisognava allontanarsi parecchio per trovare altri produttori di questa pianta così particolare. Questo aveva reso negli anni i loro affari molto prosperi.



La strada iniziò a stiracchiarsi abbandonando la monotonia dei tornanti. Il pendio si fece meno scosceso. Le fattorie diminuirono. Presto il percorso iniziò ad essere affiancato da grandi alberi con enormi chiome che formavano una sorta di galleria verde che forniva un minimo di riparo dalla pioggia. Il tamburellare incessante della pioggia divenne aritmico e il carro accelerò il passo. Erano finalmente giunti a valle. Felz identificò i grandi arbusti come castagni. Kaila adorava le castagne, ma non aveva mai visto da dove arrivassero. Si sporse dal carro per raccogliere un frutto da terra. "Ahi!" una piccola goccia di sangue si disegnò su uno dei polpastrelli della sua mano. "Quello è un riccio, fai attenzione perché punge. Se lo apri dentro dovresti trovare due o tre castagne" disse Felz. "Potevi dirmelo prima, ormai mi sono punta" rispose seccata Kaila mentre si succhiava la punta dell'indice. Felz scoppiò a ridere di cuore. Una risata contagiosa che alla fine riportò anche Kaila di buon umore. "Ho imparato qualcosa! D'ora in poi le castagne lascerò che sia tu a venirle a raccogliere" riprese la ragazza facendo la linguaccia al fratello.

Il viaggio continuò lieto e tranquillo verso est per tutto il pomeriggio. I due consumarono il pranzo a bordo del carro. Kaila aveva preparato il pane quella mattina e ne aveva portato con sé mezzo filone. Con un po' di cacio e qualche fico secco sconfissero la fame. Con un sorso di birra fecero strage della sete e della lucidità. Iniziarono a ridere per ogni sciocchezza. Kaila quasi cadde dal carro per le risate quando una farfalla si appoggiò tra i crespi capelli castani del fratello. Felz invece di scacciare l'insetto iniziò a schiaffeggiarsi la nuca. Era arrivato il momento di fermarsi, altrimenti sarebbero finiti dentro ad un fosso prima di riuscire a rendersene conto.

Col passare delle ore la pioggia si calmò. La luce iniziò a scemare. La stanchezza iniziava a farsi sentire. Un gruppo di case comparve all'orizzonte. Non c'erano locande, le uniche coseche avevano era un recinto di animali ed una grande stalla. Chiesero ospitalità per la notte e gli furono concesse un paio di balle di fieno nella stalla da dividere con le avide mucche. Mentre Felz asciugava i cavalli, Kaila accese un piccolo fuocherello e iniziò a scaldare un po' d'acqua. Aveva con se fagioli secchi e cipolle. L'odore della zuppa si sparse per tutto il piccolo villaggio e in poco tempo i musi bavosi delle mucche furono sostituiti dai musi sbavanti degli abitanti. Kaila abbrustolì un po' di pane e qualcuno portò un po' di olio da versarci sopra. In breve fu allestito un piccolo banchetto. Felz aprì uno dei barili di birra che avevano sul carro e la festa ebbe inizio. Continuarono a cantare e a danzare fino a notte fonda. Il cielo si rischiarò e qualche stella fece capolino. Quello che dapprima era un fuocherello si trasformò in un falò e tutti intorno iniziarono a raccontare storie e aneddoti di vita vissuta.

Man mano che la birra si faceva strada nel loro sangue, le storie diventavano sempre più surreali. Quando Felz disse che erano diretti ad Hangwick tutti trasalirono e iniziarono a narrare storie di stregonerie e di mostri. Di fantasmi di luce e di lupi dalle sembianze umane. Kaila scoppiò a piangere a forti singhiozzi terrorizzata. L'alcol le faceva immaginare cose incredibili. Quando fuori dalla porta della stalla vide delle figure muoversi nell'ombra si rintanò tra le braccia del fratello. "Tranquilla, è solo il vento che muove gli alberi".

Alla fine tutti tornarono alle proprie case. Una coppia di anziani signori invitò i due giovani forestieri a dormire nella loro umile dimora. Dopotutto si sentivano un po' in colpa per aver spaventato la ragazza, e poi volevano sdebitarsi per la bella serata. Felz accettò l'invito e si caricò in braccio la sorella ormai pesantemente addormentata.



Il viaggio riprese al mattino di buon ora. La gentile coppia che li aveva ospitati offrì loro la colazione. Kaila però non riuscì a mangiare quasi nulla. Aveva un mal di testa lancinante. Sentiva di avere qualcosa in mente, ma non riusciva ad afferrarla. Come sigillata. Eppure doveva essere una cosa importante. Il sole era tornato l'unico proprietario del cielo. La luce forte ferì gli occhi sensibili della ragazza che dovette affondare il volto tra le mani per proteggersi. Le ci volle un po' per abituarsi. Alla fine però riuscì ad ammirare lo spettacolo. Una sterminata pianura. I grandi campi di grano ormai mietuto si estendevano a perdita d'occhio. Neanche un filo d'erba interrompeva il profilo piatto di quei campi. Solo la montagna di Hoen si ergeva ad infrangere quell'armonia. Kaila riuscì solo a pensare che le mancavano i castagni.

La marcia lenta del carro cullò la ragazza facendola sprofondare in ripetuti sogni agitati. Vedeva delle figure che si agitavano trasformarsi in lupi che poi la aggredivano. I sogni la spaventavano al punto che cercò di tenersi sveglia in ogni modo. Felz ad Hangwick c'era già stato, quindi si fece raccontare com'era. Aveva uno strano interesse per le locande, la ragazza voleva sapere quante ce n'erano e quanto costavano. Kaila non aveva mai dormito fuori casa e l'idea di pagare per un alloggio le faceva strano. D'altra parte però voleva organizzare una cosa simile all'interno della birreria, quindi cercò di capire cosa comportava e quanto ci potevano ricavare. Molte delle idee di successo che avevano messo in pratica nella taverna erano nate dalla mente di Kaila, quindi Felz non tralasciò nessun particolare. Le descrisse le vie dell'antico borgo, le raccontò dove avevano alloggiato e mangiato. C'era una buona birreria che faceva una particolarissima birra 'affumicata'. Era una birra chiara semplice al singolo malto. Di grano a giudicare dal retrogusto. Però al termine della fermentazioni mettevano le botti nelle stesse camere di affumicazione usate per produrre lo speck e il provolone. Una volta terminato il processo la birra risultava imbrunita e aveva un aroma molto particolare. Sapeva di inverno e di casa. Di focolare e di famiglia. Dava uno strano senso di nostalgia e di benessere. E inoltre faceva venire una voglia matta di salsicce.



Al calare del sole si trovarono nei pressi del fiume Koar. Da lì veniva la terra che aveva dato vita alla loro fattoria. L'inconfondibile odore di limo le fece venire nostalgia di casa. Felz decise di accamparsi sulla riva del corso d'acqua. "Domattina attraverseremo il ponte e devieremo verso nord. Se tutto va bene entro sera saremo ad Hangwick". Kaila era ansiosa di arrivare in quella che sarebbe stata la prima città oltre Elengar che avesse mai visto. Quell'aroma di terra bagnata però la rapì completamente e quasi andò a tuffarsi nelle gelide acque del fiume. "Dove corri, guarda che fa freddo!" Felz la guardava correre lungo la riva con dolcezza. Assaporava ogni singolo istante che passava con la sorellina. Kaila dovette accorgersene perché lo chiamò a gran voce "Dai, vieni a prendermi se ci riesci!" I due corsero a perdifiato lungo l'argine e alla fine si sdraiarono a terra esausti. Le prime stelle della sera iniziavano a penetrare l'azzurro del cielo.

"Pensi mai alla mamma?" Kaila interruppe il silenzio affannoso col suo sguardo malinconico. Felz si mise su un fianco per poter guardare la sorella negli occhi. Una falce di luna si rifletteva nei suoi occhi dorati. "Ogni sera" rispose dopo un po'. "Raccontamela" fece Kaila illuminandosi "Beh, hai visto il ritratto del papà. Era più o meno così" rispose confuso il ragazzo. "No, no. Voglio sapere com'era lei. Che tipo era." Felz si sdraiò di nuovo con aria pensosa. "Una volta, da bambino, scappai di casa perché avevo litigato col papà. Non ricordo il perché ma on feci molta strada, avevo 5 anni. Mi andai a nascondere nella cantina. Piansi tutta la notte e finii per addormentarmi. Quando mi svegliai la mattina seguente, accanto a me trovai un involto. C'erano dei biscotti alle mandorle freschi. Li aveva fatti quella notte" la voce si interruppe infrangendosi nella commozione. Gli occhi del ragazzo si inumidirono. Il verde delle sue iridi si fece più intenso. Felz riprese fiato e si voltò di nuovo verso la sorella. "Lei era così! Sapeva sempre capire di cosa avevi bisogno! Aveva un animo gentile e generoso. Riusciva sempre a trovare il modo di farti tornare il sorriso."

Tra i due tornò il silenzio. Tornarono a fissare le stelle che man mano diventavano più vivide. Un alito di vento si alzò ad agitare l'erba intorno al greto del fiume. "Dai, torniamo al carro, altrimenti ci prendiamo un malanno". I due accesero un fuoco e passarono la serata a raccontarsi vecchie storie. Kaila era avida di ricordi della madre. Felz le raccontò ogni evento che gli veniva in mente mentre lei rideva e piangeva al contempo. Era felice e nostalgica. Si addormentarono che il fuoco ancora non si era spento. L'uno accanto all'altra. Coperti dalla stessa enorme trapunta. I sogni di Kaila tornarono ad invaderle la mente. Rivide il sorriso gentile, ma stavolta un velo di preoccupazione incrinò quella luce. Trasalì e si svegliò.

Era già mattino e Felz stava arrostendo delle pannocchie sul fuoco. "Buongiorno dormigliona" Kaila era agitata, ma la vista del fratello la calmò. Mangiarono in fretta e si rimisero in marcia. C'era qualcosa che le sfuggiva, ma neanche in quel momento riuscì a capire cosa. Fu una giornata particolarmente silenziosa.



Hangwick era un piccolo borgo nato ai piedi di una piccola collina di querce. Si dice che un tempo fosse la dimora dei novizi del Consiglio. Qui i più giovani aspiranti maghi venivano ad allenarsi e a completare i loro studi. Le mura della città erano composte da enormi blocchi di pietra estratti da una delle tante cave che infestavano il monte Hoen. Le case piccole erano sovrastate da altissimi tetti coperti da tegole in terracotta rossa. Questo dava alle abitazioni un aspetto a fungo. Non un bel porcino succoso, più un ovino rinsecchito. Di quelli che rimangono un po' duri a mangiarli crudi. Le strade erano completamente lastricate in pietra. Strade larghe, non quella specie di cunicoli che si trovavano ad Elengar. Quelle di Hangwick si potevano chiamare 'strade' senza il timore di essere presi in giro. Grossi lastroni piatti ne ricoprivano il manto. Avevano giusto una leggera pendenza verso entrami i lati della strada, dove due canali di scolo permettevano alle acque piovane di defluire silenziosamente senza lasciare tracce.



Tutto era pietra e terracotta. Ne un aiuola, ne un fiore. Non c'era la benché minima traccia di natura in quel borgo che trasudava antichità.

Da quel che narra la leggenda pare che la città fosse stata costruita da una comunità di nani -da qui le dimensioni tisiche delle case- che poi un bel giorno sparirono come neve al sole. Alcuni sostenevano che si fossero rintanati nelle gallerie sotterranee che infestavano la collina -anch'essa chiamata Hangwick- per nascondere un terribile morbo che li aveva affetti. Sta di fatto che su alcuni dei lastroni di pietra, ormai consumati da secoli di carovane e cavalli, si vede ancora oggi raffigurato lo stemma di un'ascia che incrocia una piccozza. Il marchio della comunità dei nani.

Kaila e Felz arrivarono nel tardo pomeriggio. Il pigro sole autunnale aveva già ceduto il passo alla più arzilla Luna. Una falce luminosa mieteva un cielo coperto di stelle. I due avevano viaggiato in silenzio e ininterrottamente tutto il giorno. Volevano assolutamente arrivare a destinazione. Quando Kaila vide le deboli luci della città si riaccese e il fiume di parole riprese incontrollato. Voleva assolutamente assaggiare la birra affumicata, ma non c'era tempo. Era tardi ed erano stanchi, inoltre Felz si sarebbe dovuto alzare all'alba il giorno dopo se voleva raggiungere Salingar prima del tramonto.

Alloggiarono nella locanda del Lupo Armato. Una buffa sagoma a forma di lupo vestito da armigero li accolse. Il padrone era un amico di Ivan, lì avrebbero avuto pasti caldi e letti puliti a buon prezzo. C'era anche una stalla privata che permetteva di mantenere al sicuro sia i cavalli che il prezioso carico che trasportavano. Fratello e sorella alloggiarono in due camere differenti. Cenarono controvoglia. Erano stanchissimi e deboli. Prima che il vociare dei commensali si fosse acquietato i due si erano già ritirati nelle loro stanze.

Kaila sprofondò in un sonno agitato. Si vide ghermita da un branco di lupi inferociti. Uno si stava avventando sul suo collo quando Kaila si svegliò scattando in piedi. Ancora ansimante si asciugò il sudore dalla fronte. Guardò fuori dalla finestra e vide delle figure muoversi. Gli venne istintivamente da pensare agli alberi che tanto l'avevano spaventata durante la prima sera di viaggio. Si rilassò al pensiero del fratello che cercava di tranquillizzarla. Si avvicinò alla finestra per guardare meglio. Si trovava al secondo piano della locanda, praticamente nel sotto tetto. Dalla sua camera aveva una perfetta vista della collina di Hangwick. Cercò di distinguere nuovamente quelle forme quando all'improvviso un enorme bagliore accese la foresta di querce che ricopriva la collina. Una luce intensa. Come un fulmine, però in mezzo agli alberi anziché tra le nubi. Kaila indietreggiò spaventata e andò ad inciampare nella sedia. Finì col sedere in terra tirandosi dietro la sedia.

Il rumore aveva svegliato Felz che si precipitò nella camera della sorella. "Che succede?" Gli occhi di Kaila erano spalancati, sembrava non essere in grado di articolare le parole. "C-ci sono i fantasmi!" Fu l'unica cosa che riuscì a dire. Felz si mise sdraiato accanto a lei e la abbracciò. "Tranquilla, è stato solo un brutto sogno. Adesso ci sono io qui con te". Il cuore di Kaila rallentò e si calmò. Si rilasso. I due rimasero per terrà finché le ossa non iniziarono a protestare furentemente. Alla fine si alzarono e tornarono nei rispettivi giacigli. La ragazza però passò la notte a fissare il soffitto.



Il mattino arrivò lentamente, tanto che Felz riuscì a batterlo sul tempo. Il ragazzo si era svegliato che l'alba ancora non era arrivata. Iniziò a prepararsi e chiamò la sorella. Kaila però non era in camera. Felz la trovò sul carro che infilava alcuni oggetti -la refurtiva- in una sacca da spalla. I due si salutarono in fretta. "Stasera torna qui alla locanda, io cercherò di ritornare domani in serata. Al massimo dopodomani. Fai attenzione nel bosco". Subito fuori le porte della città Kaila scese dal carro in movimento e si diresse verso la collina.

Quando il sole sorse Kaila era già protetta dai fitti rami delle querce. Grosse radici fuoriuscivano dal terreno creando come un enorme scalinata che rendeva la scalata più semplice. Alcuni scoiattoli scappavano da una parte all'altra rubando dal terreno qualche ghianda solitaria. La ragazza si fermò solo quando sentì le gambe cedere. Usignoli levavano il loro dolce canto in giro per il bosco. La stanchezza aveva fermato il suo passo, ma era ancora presto per liberarsi della refurtiva. Prese dal tascapane un barattolo di ciliege e ne mangiò alcune. Consumò metà della sua scorta di acqua per rinfrescarsi e lavarsi via la fatica. Trasaliva ad ogni rumore nel sottobosco. Aveva la sensazione paranoica che hanno tutti i fuggiaschi di essere seguita. Si voltava in continuazione per intercettare qualche sagoma, forma o movimento che potesse tradire un probabile inseguitore. Scoiattoli ed uccelli erano le uniche parti mobili di una natura statica. Neanche il vento osava inoltrarsi tra quegli alberi.

Riprese a camminare di buona lena e scalò il versante della collina per circa un'ora. Arrivò in una radura dove il sole riusciva a fare breccia tra le fronde possenti degli alberi. Si voltò per cercare di vedere quanta strada aveva fatto. La radura era ampia e concedeva una visuale sulla città sottostante. Kaila colse i contorni di quella che era la sua locanda. Il Lupo Armato. Da una di quelle finestre aveva visto un lampo di luce esplodere nella foresta. Si trovava nei pressi dell'origine di quel fenomeno inspiegabile.
Voleva portare a termine la sua missione nel minor tempo possibile. Kaila iniziò a correre con quanta forza le rimaneva nelle gambe. Sentiva il peso della refurtiva sbattere sul suo dorso ad ogni passo. Voleva liberarsene. Doveva liberarsene. Con la coda dell'occhio vide un buco nel terreno. Era poco lontano dal sentiero, ma abbastanza lontano dalla luce del sole. Perfetto per nascondere quei pericolosi oggetti. Kaila deviò la sua corsa per raggiungere l'obiettivo. Si tolse la sacca dalle spalle mentre stava ancora correndo. Con un gesto veloce del braccio ne svuotò il contenuto in quella specie di pozzo. "Ahio!" Un lamento arrivò dal pozzo. Il cuore di Kaila perse un colpo. Rimase impietrita. Si era fatta scoprire.
Si affacciò lentamente e timorosa. "Chi c'è la?". Un ragazzo si stava massaggiando la tempia dove uno degli oggetti di Kaila lo aveva colpito. Si voltò a guardarla e le sorrise. "Ehi dolcezza, che ne dici di darci una mano?". Il sorriso gentile era alla fine arrivato.


martedì 30 novembre 2010

Il Piano

L'alba si presentò con calma. La fitta coltre di nubi che ammantava il cielo iniziò a tingersi d'azzurro via via sfumando verso il grigio. Le ombre iniziarono a stiracchiarsi e a gettarsi oblique sulla valle. Le sagome delle torri si dipinsero sui pascoli ormai quasi completamente aridi. Una morbida nebbia argentata iniziò ad irrigare i campi scivolando debolmente lungo il pendio della montagna.
Man mano che il sole riscaldava l'aria, una leggera brezza di vento iniziò a sferzare le chiome degli alberi da frutta. Le nuvole iniziarono a diradarsi lasciando solo una leggera patina lattiginosa a coprire l'azzurro del cielo. La rugiada iniziò ad asciugarsi. In lontananza un gallo levò il suo canto.
Kaila se ne stava seduta sul tetto della sua fattoria a fissare il giorno in divenire. Da alcune settimane era diventata un'abitudine. Faceva fatica a prendere sonno, pertanto passava la maggior parte della notte a rimuginare sui suoi pensieri.
La fattoria della sua famiglia si trovava sul versante oscuro della montagna, quello che veniva illuminato solo dal tiepido sole del pomeriggio. Il terrapieno sul quale era stata costruita fu ricavato da un'antica cava di argilla. Il trisavolo di Kaila l'aveva fatta riempire con la fertile terra proveniente dalle rive del fiume Koar. Il clima asciutto e fresco era l'ideale per la coltivazione del luppolo, per di più il freddo invernale di quella zona favoriva la fermentazione dei malti. Una sezione della piccola cava era stata adibita a cantina dove venivano raccolti i barili della birra. La casa invece era stata eretta sul punto più estremo del terrapieno, quello a ridosso del burrone, così da permettere al sole di abbracciarla coi suoi raggi il più a lungo possibile.
Dal tetto della casa era possibile vedere tutta la vallata. Kaila passava le prime ore del giorno a fissare le ombre della città di Elengar che lentamente si accorciavano. Al canto del gallo si ridestava dai suoi pensieri e si sforzava di iniziare la sua giornata. Aveva circa un paio d'ore di tempo per preparare la colazione, spicciare le faccende di casa ed infine recarsi in città per aprire la birreria. Era stanca di quella quotidianità. Aveva provato il brivido dell'avventura. La paura, L'ansia ed infine il sollievo. Mentre volteggiava al di fuori delle mura della città aveva sentito il suo cuore leggero. Ogni segno di preoccupazione era scomparso. Aveva provato la felicità allo stato puro. Il giorno dopo però la vita aveva ripreso il suo normale corso, in più su di lei pendeva il peso della colpa. L'ansia di tutte quelle cianfrusaglie trafugate dalla Sala dell'Archivio e ora nascoste nella cantina del padre non le faceva prendere sonno. Doveva sbarazzarsene.
Voleva far sì che fosse impossibile ritrovarle. Ricordava di aver sentito parlare di una collina, poco oltre il villaggio di Hangwick, che si diceva essere infestata da spiriti maligni. Per secoli nessuno aveva cercato di inoltrarsi nel folto del bosco di querce che la ricopriva. I pochi sventurati che avevano tentato l'impresa non avevano mai fatto ritorno. Almeno così diceva la leggenda. Un posto del genere sarebbe stato perfetto, anche se qualcuno avesse trovato lì la refurtiva non l'avrebbe di certo associata al furto avvenuto ad Elengar. Magari avrebbero pensato ad un tesoro nascosto e protetto dagli spiriti, pertanto nessuno avrebbe osato toccarlo.
Il problema principale era la distanza. Hangwick si trovava a più di una settimana di cammino. Anche a cavallo non si impiegavano meno di tre giorni ad arrivarci. Come avrebbe potuto giustificare con la sua famiglia un'assenza tanto lunga? Inoltre una donna giovane che viaggia da sola con un fagotto sospetto sulle spalle rischiava di attirare l'attenzione dei viandanti. Per non parlare del pericolo che una fanciulla sola può correre durante le notti incerte in cui la luna si nasconde e i briganti escono dalle loro tane.
Il mattino giunse puntuale a interrompere i ragionamenti della ragazza. Era ora di rigettarsi nella consuetudine.

La casa era fredda. Ormai non si poteva più tenere il camino spento, la stagione non lo permetteva. Il pian terreno dell'abitazione era composto da un unico grande ambiente. Da un lato si trovava la cucina con il forno e i piani cottura. Avevano persino un lavabo per le stoviglie, cosa assai rara vista la difficoltà con cui le varie fattorie venivano collegate all'acquedotto cittadino. Come ogni cava di argilla che si rispetti però, la casa di Kaila sorgeva su una falda acquifera sotterranea dalla quale era possibile attingere l'acqua direttamente. Suo nonno aveva pagato un mago perché imponesse un sortilegio sulle acque sotterranee permettendogli di sgorgare direttamente in alcuni punti chiave della fattoria: La cantina, la latrina, il recinto degli animali, il pozzo di irrigazione e, appunto, il lavabo.
Kaila si avvicinò al grande focolare situato sul lato opposto rispetto alla cucina. Aveva imparato da suo padre a preservare la brace nascondendola sotto la cenere, così accendere il camino al mattino era un compito assai più semplice. Si limitò a disporre i ciocchi di legna su un letto di rami secchi. Con l'attizzatoio spostò la cenere scoprendo le braci ancora calde. Infine dispose sotto i rami un piccolo quantitativo di paglia che si incendiò all'istante. In pochi minuti l'ambiente iniziò a riscldarsi e il fuoco a scoppiettare allegro.
Con la molla di ferro prese poi uno dei ciocchi infuocati per portarlo nel forno, così da poter cuocere il pane. Dispose l'impasto lievitato che aveva preparato la sera prima all'interno del forno e si mise a lavare le stoviglie sporche della cena.
In breve il profumo del pane fresco iniziò a farsi strada lungo il salone, salì la rampa di scale e andò ad incunearsi nelle tre stanze da letto che componevano il piano superiore. Ivan e Felz si svegliarono.
Felz arrivò quasi immediatamente, Ivan si attardò un po'. Erano un paio di giorni che stava poco bene. Kaila mise dell'acqua pulita in un paiolo e la dispose sul fuoco così da poter preparare al padre un decotto contro il male dell'inverno. Ormai Ivan cominciava ad essere in là con l'età e risentiva facilmente degli sbalzi di temperatura tipici della stagione fredda. Per diverso tempo si era discusso di acquistare una dimora umile in città, magari vicino alla birreria, per permettergli di passare la vecchiaia in luoghi più al riparo dalle intemperie invernali. Quando Felz avesse preso moglie e si fosse stabilito nella fattoria con la sua nuova famiglia, Ivan e Kaila si sarebbero trasferiti all'interno delle mura di Elengar.

La mattina proseguì leggera tra le varie faccende di casa. Kaila fece il bucato, rassettò le camere ed infine pulì il soggiorno. Era giunto il momento di uscire per andare ad aprire la taverna in città. Felz era riuscito a convincere il padre a rimanere a casa per riguardarsi. L'incrollabile senso del dovere di Ivan era principalmente dovuto al fatto che a casa si annoiava, ma doveva accettare il fatto che la sua tosse poteva incutere timore negli avventori. Optò per rimettersi a letto dopo aver bevuto un infuso di valeriana e camomilla che Kaila gli aveva preparato. Gliene aveva preparata una brocca intera, così se il primo boccale non fosse stato sufficiente a rispedirlo nel mondo dei sogni, ci sarebbe risucito senz'altro il secondo, o il terzo.
Felz fece uscire i due cavalli dalla stalla e li legò al carro, poi prelevò alcuni barili di birra dalla cantina e li caricò sul pianale. Quando tutto fu pronto, lui e Kaila salirono a bordo e lasciarono la fattoria. La distanza era breve, la loro fattoria si trovava piuttosto in alto, ciononostante il percorso in salita fatto di innumerevoli tornanti, rendeva il viaggio abbastanza lungo. Dopo circa quaranta minuti raggiunsero l'ingresso delle mura. Gli armigeri di guardia erano sempre distratti se non addirittura addormentati, ma Kaila per sicurezza si calava sul volto l'enorme cappuccio del suo mantello. Meglio non rischiare di essere riconosciuta, anche se a conti fatti non era stato diramato nessun mandato di cattura nei confronti del ladro. Per quanto ne sapevano in città, quello era morto spiaccicato ai piedi della montagna. Quando suo fratello gli chiedeva il perché del cappuccio lei si limitava ad imprecare contro il freddo.
Smontarono il carro una volta raggiunto il retrobottega della taverna. Scaricarono i barili e portarono i cavalli nella stalla comunale. Il sole era ormai alto, anche se ancora coperto da una leggera coltre di nubi. Era giunto il momento di aprire al pubblico la birreria.

Mentre il periodo estivo portava clienti solo a sera, durante l'inverno si potevano trovare avventori ad ogni ora del giorno. Il freddo rendeva la birra molto più appetibile. Inoltre avevano fatto costruire una piccola cucina e avevano iniziato a servire anche la zuppa con le cotiche, lo stinco di maiale con le patate e altre prelibatezze prettamente invernali. Non dovevano neanche preoccuparsi di acquistare le carni dal macellaio, noto per i suoi prezzi esagerati, in quanto negli ultimi anni erano riusciti a tirare su un consistente allevamento di maiali e bovini all'interno della fattoria.
Questo aveva reso la birreria di Ivan uno dei locali più frequentati di tutta Elengar. Luogo di ritrovo di alcolizzati ed armigeri fuori servizio. Alcuni rimanevano persino a passare la notte distesi sulle lunghe panche di legno allestite nel locale. Al mattino Kaila offriva loro un boccale di tisana ai mirtilli mentre Felz ripuliva il bancone, così se ne andavano contenti pronti per tornare nuovamente una volta calata la notte. A breve avrebbero reso anche quel servizio a pagamento, così si sarebbero trasformati da semplice birreria a locanda vera e propria. Gli affari andavano sempre a gonfie vele con l'arrivo dell'inverno.
Quel mattino non vi fu un grande afflusso di gente, giusto i soliti due clienti fissi. Il Guercio se ne stava accasciato sul bancone col suo boccale tra le mani. Da quando era rimasto ferito durante un'esercitazione militare, il regno aveva iniziato a pagargli un piccolo vitalizio che gli permetteva di mantenersi senza lavorare, in più era stato congedato dall'esercito con tutti gli onori del caso. Da allora passava ogni giorno nella birreria a sperperare quella sua ricchezza e a piangersi addosso per la sua vita inutile. Uno dei clienti migliori.
Seduto ad uno dei tavoli invece se ne stava Drei il maniscalco. Da quando sua moglie era scappata con uno dei tappezzieri in visita da Salingar, non riusciva ad iniziare le sue giornate senza un'adeguata dose di alcohol nelle vene.
A Kaila piaceva quel lavoro. Dietro ogni persona, sotto ogni espressione, si nascondeva una storia. Lei se ne stava spesso dietro al bancone a dare ascolto agli avventori che dopo il secondo boccale di birra alle castagne iniziavano a raccontargli tutti i fatti più intimi. Sapeva ogni evento che accadeva nel regno quasi in tempo reale, ma nessuno gli aveva ancora accennato al drappello di soldati che stava per fare visita alla città.

Arrivarono nel primo pomeriggio. Lasciarono i cavalli alle scarse cure dello stalliere della città ed iniziarono a girare per le strade dell'alveare. Entrarono nella birreria quando erano da poco suonate le 4 del pomeriggio. Erano in cinque. Avevano un equipaggiamento leggero, da viaggio. Sopra una cotta di maglia indossavano una casacca nera con uno stemma che Kaila non aveva mai visto. Una croce bianca circondata da quattro cerchi argentati. Tutti portavano una lunga spada al fianco destro. Roba buona. Fatta con un buon acciaio. Non come le spade di ferro arrugginito degli armigeri di Elengar. Uno di loro portava al collo un grosso ciondolo che raffigurava lo stemma della stirpe di Hoen. Il lasciapassare regale. Il soldato che lo indossava doveva essere il Capitano del drappello ed era stato mandato dal re in persona. Aveva lunghi capelli neri che arrivavano fin sotto le spalle. Li teneva legati in una coda. Non dovevano essere molto comodi in battaglia, ma d'altra parte erano in tempo di pace, pertanto non era più obbligatorio per i militari rasarsi i capelli. Aveva gli occhi di un azzurro così chiaro da sembrare argento. Quando si avvicinò al bancone Kaila notò che il suo volto era ricoperto da lentiggini molto chiare, a malapena si distinguevano dalla sua pelle d'avorio. Era molto alto, più di suo fratello Felz e anche seduto era comunque più alto di Kaila.
Mentre gli altri quattro componenti si accomodarono ad uno dei tavoli, il capo si sistemò al bancone. "Stiamo cercando informazioni" ruppe il silenzio col suo accento particolare, sembrava si sforzasse per rendere la sua calata meno riconoscibile, ma doveva venire dal continente al di là dello stretto, probabilmente dalle terre dell'est. "Che genere di informazioni?" chiese Kaila cercando di simulare disinteresse. "Il vostro Re vuole scoprire come sia stato possibile che qualcuno si introducesse nel suo palazzo". Kaila iniziò a pulire nervosamente un boccale cercando di evitare lo sguardo di ghiaccio del Capitano. "Ho sentito che il ladro è morto, si è buttato dalle mura" cercò di tagliare corto la ragazza.
"Non è quello che vogliamo sapere. Il vostro Re vuole capire come abbia fatto. Elengar dovrebbe essere la città impenetrabile, invece un tizio qualunque è entrato all'interno delle mura, ha superato la vigilanza e si è introdotto a palazzo" calcava quasi con disgusto sulle parole 'vostro Re', evidentemente non era un'autorità che riconosceva. Per qualche ragione si sentiva superiore. "Siamo stati inviati per rendere questa città nuovamente sicura" concluse sottolineando con un ghigno di compiacimento le ultime parole. Kaila sentì un brivido di paura. Si prospettavano tempi duri per la città. Doveva assolutamente disfarsi della refurtiva. "Non ho il genere di informazioni che vi servono, ma posso servirvi dell'ottima birra" rispose con la voce più amabile che la sua ansia le permettesse. "Non beviamo mai quando siamo in servizio, ma i miei uomini hanno fame" Kaila colse al volo la scusa per dileguarsi in cucina.

Era palese che in poco tempo la pigra monotonia che regnava nella città arroccata avrebbe subito un bello scossone. I nuovi arrivati non sembravano intenzionati ad andarsene. Si erano stabiliti a palazzo e da subito avevano iniziato a dare ordini in nome del Re. Furono costituite squadre di vigilanti per controllare le strade della città. Il numero di guardie alle porte e sulle mura di cinta fu aumentato. Anche durante il giorno armigeri in servizio pattugliavano le strade e stazionavano severi di fronte alle locande. Non sarebbe passato molto tempo prima dell'istituzione del coprifuoco. I forestieri dovevano già abbandonare la città prima del decimo rintocco della sera, ora in cui le grandi porte venivano chiuse. Già dopo una settimana il flusso di avventori calò drasticamente nella taverna di Ivan. Inoltre Nikolas, il Capitano, veniva personalmente ogni sera a presidiare il loro bancone. Non beveva mai e di rado lo si sentiva parlare. Se ne stava lì ad incutere timore e a far scappare la clientela.
La situazione era diventata ingestibile e Kaila sentiva la necessità di liberarsi di tutti quegli oggetti che aveva nascosto tra i fusti di birra. Una sera si decise ad agire, ma non poteva farlo da sola. Mentre Felz sistemava dei nuovi barili di birra in fermentazione in cantina, Kaila gli si avvicinò "Ti devo parlare" gli disse quasi sussurrando. "Perché parli piano? L'esercito non ci può sentire da qui" disse scherzando Felz, ma quando vide la sorella trasalire si fece serio "Che succede?" chiese. In tutta risposta Kaila gli fece segno di seguirla e lo condusse nella zona più buia della cantina, dove aveva nascosto la refurtiva.
Avvicinò una fiaccola agli oggetti e li mostrò al fratello. "Da dove viene questa roba?" chiese il ragazzo terrorizzato. "Hai presente il furto all'Archivio?" disse la ragazza fingendo divertimento "Sei stata tu? Oh dei del cielo! Ti impiccheranno per questo" Kaila fece segno di abbassare la voce e il fratello si zittì. Felz era visibilmente in angoscia "Ho preso questa roba solo perché non capissero cosa volevo veramente" cercò di giustificarsi Kaila "Il diario della mamma!" commentò Felz che aveva già capito tutto. Kaila si limitò ad abbassare lo sguardo come un cane bastonato.
"Dobbiamo liberarcene" fece il ragazzo. "Lo so, volevo portarli sulla collina di Hangwick. Quel posto si dice sia stregato, nessuno li andrebbe a cercare in quel bosco. Però non so come arrivarci". Kaila vide il fratello concentrarsi su un pensiero. Fissava distrattamente gli oggetti e si accarezzava il mento. Forse stava elaborando quel piano che lei non era riuscita a formulare. "Un modo ci sarebbe. Col papà pensavamo di andare a Salingar a vendere della birra. Se qui mettono il coprifuoco ce ne rimarrà parecchia invenduta. Possiamo convincerlo a far venire te al suo posto. Hangwick è sulla strada. Potremmo riempire un barile con gli oggetti, così mentre io proseguo per Salingar tu vai a nascondere la refurtiva."
Il piano sembrava perfetto. Sarebbe stato difficile convincere Ivan a rimanere a casa, ma le sue condizioni di salute avrebbero giocato a loro favore. Avrebbero chiamato una badante per prendersi cura del vecchio durante la loro assenza. Col fratello dalla sua parte finalmente Kaila riuscì a tranquillizzarsi. Avrebbero buttato via quella roba e tutto sarebbe tornato alla normalità. La ragazza corse in casa, entrò in camera sua e si chiuse la porta alle spalle. Si appoggiò allo stipite e lasciò che l'ansia le scivolasse via di dosso. Andò alla cassettiera e nascosto tra i vestiti ritrovò il diario che tanta pena le stava dando. Sentì la chiave sul petto scaldarsi della sua luce argentea mentre prendeva in mano il prezioso quaderno. Dal giorno del furto ancora non aveva avuto il coraggio di aprirlo, ma una volta sistemata quella faccenda si ripromise di trovare il tempo di leggere le ultime parole che la madre le aveva lasciato in eredità.
Si sdraiò sul letto e finalmente riuscì a prendere sonno. Il piano l'aveva trovato, ora doveva solo metterlo in pratica.


lunedì 8 novembre 2010

Il Furto

Elengar era conosciuta in tutto il mondo come la città del vento. Le sue alte torri si inseguivano l'un l'altra nella loro corsa verso le nuvole come per cercare di graffiare il cielo.
All'origine dei tempi era la sede del Supremo Consiglio dei Maghi delle terre di Hoen, ma adesso, di quell'antico fasto, restavano solo le torri. La città in realtà era poco più di una fortezza arroccata sul monte Hoen, da cui prese il nome la Stirpe che vi abitava. Da principio ospitava solo la reggia del sovrano, le sale del Consiglio e la Grande Biblioteca. Quest'ultima era famosa in tutte le terre note come la depositaria di tutto il sapere del mondo. Nel tempo la Biblioteca aveva accolto studiosi provenienti da ogni terra e aveva dato lavoro a moltissimi maghi che si occupavano della salvaguardia e della manutenzione dei preziosi plichi. Visto il gran via vai di gente, presto iniziarono ad essere concessi permessi per edificare case, casette e casupole all'interno delle mura fortificate e all'ombra delle possenti torri. Lo spazio piuttosto risicato messo a disposizione fu completamente tappezzato da abitazioni di ogni genere. Questo non scoraggiò il flusso di immigranti che iniziarono a erigere un nuovo strato di case sopra il precedente. E poi un altro. E poi un altro ancora. Alla fine Elengar divenne una sorta di alveare umano, ognuno col suo spazietto risicato e sempre all'ombra delle possenti torri. Gli stretti vicoli e i consunti ponticelli che univano l'alveare si riempirono di umidità e di aria viziata. In breve tutto fu invaso da muschi e piante rampicanti che conferivano un aspetto magico allo squallore di quei luoghi. Meno magiche, ma più in linea con lo squallore, furone le orde di ratti, furetti e malattie che flagellarono la città fortificata. Il Consiglio fu costretto a bloccare i permessi di edificazione e a schierare un esercito di maghi guaritori per le vie della città.
Non potendo più costruire all'interno delle mura, le case iniziarono a spuntare qua e là su entrambi i versanti della montagna. Grosse porzioni di roccia furono scavate per permettere la costruzione di orti, fattorie e pascoli. Alla fine fu esteso il protettorato del Consiglio a tutta la montagna e nuove mura furono costruite a valle per proteggere la nuova Elengar.
Durante la Grande Guerra, la Guerra delle Stirpi, la vallata ai piedi del monte Hoen non fu mai avvicinata. Non tanto per via dell'enorme potere del Consiglio. Quando mai quelli si sono schiodati dai loro scranni. No, fu grazie a quelle torri assurdamente alte costruite su una città assurdamente alta. Nessuno poteva sbarcare sulle spiagge delle terre protette dal Consiglio senza che l'esercito di Elengar lo venisse a sapere.
Adesso le cose erano parecchio cambiate. Nella Grande Biblioteca erano tenuti solo libri di storia, annali, cronache e almanacchi. Il Grande Consiglio dei Maghi al termine della Grande Guerra perse il suo potere politico. Fu costituito un Consiglio dei Sovrani con sede al di la del mare, al centro delle Terre di Nessuno, dove, in maniera imparziale e senza l'uso di magia, venivano dipanate le questioni diplomatiche tra i vari regni. Il Consiglio, privo di una qualsiasi utilità, decise di dedicarsi ad altro. Fu così istituita una scuola di magia all'interno di quella che era la reggia di Hoen, anche se di reggia non si poteva più parlare visto che il Re ormai viveva altrove. Le abitazioni-alveare all'interno delle mura furono riservate agli aspiranti stregoni. Solo la Sala del Consiglio mantenne un qualche potere istituzionale, trasformandosi in Sala del Giudizio. Una sorta di foro dove veniva amministrata la giustizia della regione. Le segrete della fortezza divennero un luogo di detenzione mentre la vecchia Sala degli Almanacchi fu rinominata in Sala dell'Archivio e vi furono stipati tutti quegli oggetti requisiti ai detenuti o ai condannati a morte.
Quello era l'obiettivo di Kaila.

Fin da bambina Kaila non aveva mai avuto paura delle altezze. Ogni occasione era buona per arrampicarsi da qualche parte. Ivan, il padre, la rincorreva su tetti, alberi, cornicioni, spuntoni di roccia. Lui sempre terrorizzato, lei sempre divertita. Per quanto questa attività preoccupasse Ivan, Kaila non era mai caduta. Mai neanche un graffio, figuriamoci un braccio rotto. No, i suoi piedi non finivano mai in fallo. Anche ad occhi chiusi lei sapeva che i suoi passi non l'avrebbero mai tradita. Kaila non era in grado di spiegare questa sua capacità, ma era come se l'aria le parlasse. Le diceva come muoversi, dove appoggiarsi, a quale ramo aggrapparsi. Sapeva perfino distinguere quali erano gli appoggi sicuri e quali quelli che sarebbero franati sotto il suo peso. Forse un'eredità della sua Stirpe. Non c'era crepaccio, ponte o torre che la spaventasse. Non c'era salto, volo o caduta che la preoccupasse. Kaila era la ragazza equilibrista. Avrebbe avuto un radioso futuro nel circo, ma difficilmente Ivan glielo avrebbe permesso. E poi lei aveva paura degli orsi.
Per introdursi nella cittadella fortificata di Elengar aveva scelto la via del cielo, come sua abitudine. Al mattino presto si era recata all'ingresso della cittadella. Aveva indossato gli abiti da mercante del fratello e un grosso mantello nero il cui cappuccio le cadeva sul volto nascondendone l'identità. Si era presentata davanti agli armigeri semi addormentati di guardia al Grande Portone. Dopo aver ricevuto una forma di pane e mezza caciotta, l'avevano fatta passare senza fare domande. Era pur sempre l'ora di colazione e non si poteva certo cominciare la giornata a stomaco vuoto.
La torre di nord-est era quella più vicina alla Sala del Giudizio. Da lì sopra avrebbe avuto una visuale perfetta sul cortile interno e sull'ingresso delle segrete. Inoltre la torre era completamente abbandonata in quanto l'edera selvatica aveva fatto crollare buona parte delle scale interne. Un problema non da poco per gli armigeri della città. Un simpatico diversivo per la ragazza equilibrista. Una volta in cima alla torre Kaila si accucciò a terra, tirò fuori la sua sacca da sotto il mantello e prese qualcosa da mangiare. Voleva agire col favore delle tenebre. Inoltre quella era la prima notte di Luna nuova. Decise quindi di bivaccare sulla torre fino allo scoccare della mezzanotte. Al primo rintocco si sarebbe mossa, non prima.

L'attesa fu lunga. Il vento batté contro la torre incessantemente per tutto il giorno. Il freddo iniziò a poco a poco a minare la convinzione della ragazza. Ogni volta che era sul punto di rinunciare prendeva tra le mani il ciondolo-chiave. Le bastava fissare quel tenue bagliore per recuperare tutte le energie. Ripeteva tra sé e sé il piano come un mantra. Allo scoccare della mezzanotte il cortile interno veniva sigillato e quindi non ci sarebbero stati guardiani. Da li si poteva accedere alle segrete attraverso una grata che dava su una scala interna. Avrebbe dovuto forzare la serratura, ma avrebbe avuto accesso al dedalo di gallerie che si muovevano sotto la reggia di Hoen. Aveva con sé una piccola mappa che aveva disegnato di suo pugno basandosi sulle informazioni che aveva trovato sui libri di storia conservati nella Grande Biblioteca. Negli ultimi mesi non aveva fatto altro se non leggere cataste monumentali di pergamene dalle quali estrapolare qualche informazione sulla struttura interna della reggia. A volte le informazioni che trovava erano incongruenti, in certi casi anche contraddittorie. Quindi doveva continuare a cercare conferme su altri libri o facendo qualche domanda distratta agli armigeri ubriachi che venivano a poltrire nella birreria del padre. Alla fine aveva tracciato il percorso che l'avrebbe portata sotto la Sala dell'Archivio. Da lì, un montacarichi di servizio le avrebbe permesso di salire al piano superiore entrando direttamente nella sala senza essere vista.
Una volta trafugato il diario di sua madre avrebbe preso alcuni oggetti a caso per far si di smistare i sospetti. Se qualcuno si fosse accorto del furto, avrebbe pensato ad un ladruncolo che aveva arrabattato le prime cose che gli sembravano di valore. Non certo ad un colpo mirato a rubare il diario, e quindi presumibilmente nessuno l'avrebbe collegata al furto. Si sarebbe preoccupata in seguito di liberarsi della refurtiva in eccesso, per non rischiare che gliela trovassero in casa. Per uscire avrebbe usato la finestra che dava sulla Piazzetta, il centro della cittadella. Una volta scesa doveva tornare sulla torre di nord-est, recuperare il suo sacco e riscendere fino all'altezza delle mura, da li sarebbe scesa verso il lato esterno dove sarebbe stata libera.

C'erano tre falle potenziali nel suo piano, e avevano tutte a che fare con l'altezza. Per arrivare nel cortile interno della reggia avrebbe dovuto saltarci dentro. Per rallentare la caduta avrebbe dovuto utilizzare i pali conficcati orizzontali nel muro con gli stendardi del Consiglio. Il problema è che c'erano diverse centinaia di braccia a separare lei dagli stendardi. Cadere da quell'altezza non è esattamente come cadere dal tetto di una fattoria. In quel caso male che va ti rompi un braccio, o una gamba, o entrambe, ma si sopravvive. Kaila non era sicura di cavarsela altrettanto bene se avesse mancato anche solo uno di quei pali.
Per scendere dalla finestra della Sala dell'Archivio, la distanza era minore, ma gli appigli per rallentare la caduta erano molto più esili: grondaie, edera, ganci per tenere aperte le finestre. Infine calarsi dalle mura era la parte più difficile, perché lì di appigli non ce ne sarebbero stati. Solo qualche rientranza nel muro. Al massimo qualche blocco di pietra sporgente.
Kaila faceva molto affidamento sulle sue capacità, ma più si avvicinava la notte più si sentiva agitata. Iniziò a fare avanti e indietro tra le guglie della torre nella speranza di calmarsi, ma con scarsi risultati. Ogni tanto guardava giù per convincersi che ce l'avrebbe fatta ma vedeva solo le lanterne per le vie della città che man mano si affievolivano. Nessun conforto le giungeva da quel firmamento di fiaccole.
All'improvviso arrivò. Secco e violento il suono del rintocco della campana si espanse per le vie del borgo fin giù per tutta la vallata. Kaila sussultò. Il suo cuore perse un colpo. Le sue gambe e le sue mani si irrigidirono. Doveva farcela. Era arrivata fino a quel punto, non doveva tirarsi indietro.
Prese il ciondolo e lo fissò. Brillava come non mai. Kaila non riuscì a spiegarsene il perché ma qualcuno avrebbe potuto notarlo dalla città-alveare, quindi si affrettò a nasconderlo. Il ciondolo però aveva fatto il miracolo. Quella luce le era entrata dentro. Il suo cuore ora era calmo e il respiro non più affannoso. Poteva muoversi. Doveva muoversi. Era già in ritardo di due rintocchi. Salì sul cornicione, inspirò quanta più aria poté e chiuse gli occhi.

Non si accorse di preciso del momento esatto in cui i suoi piedi si staccarono dalla torre. Percepì solo il vuoto, l'aria e poi quella luce argentea che le aveva riempito la mente. Strinse il pugno quasi d'istinto e sentì il freddo acciaio del palo sotto le sue dita. Tenne forte la presa mentre sentiva il suo corpo girare intorno all'asta. Riaprì gli occhi nel momento in cui sentì di essere pronta a balzare nuovamente verso il prossimo palo. La sensazione di volare la inebriò completamente. Raggiunse il secondo palo. Poi il terzo. La caduta non era più così veloce. Spiccò l'ultimo balzo e questa volta arrivò a terra. Intatta. In piedi. Solo le ginocchia un po' piegate nello sforzo di fermarsi completamente. Ce l'aveva fatta. La sensazione della terra sotto i piedi le diede un capogiro. Il peso di ciò che aveva appena fatto le cadde addosso con tutta la sua violenza, ma lei riuscì a sostenerlo. Aveva compiuto un'impresa unica. Peccato non poterla raccontare a nessuno.
Le prime difficoltà non tardarono ad arrivare. La grata era esattamente dove doveva essere, il problema è che nessuno la usava da tempo immemore. Ci vollero diversi minuti perché Kaila riuscisse a sbloccarla. Aveva una serratura grande. Forzando i due perni interni con dei bastoncini di metallo doveva essere possibile aprirla, ma la ruggine aveva completamente bloccato l'ingranaggio. Uno dei bastoncini si ruppe, ma come ultimo gesto ebbe la cortesia di spaccare il chiavistello. Ci aveva messo troppa forza e adesso qualcuno avrebbe notato che quella grata non si richiudeva più. Un problema per volta. Aveva ancora il suo piano di sicurezza per sviare i sospetti. Poteva ancora farcela. Oltrepassò la grata e usò il bastoncino spezzato per bloccare la serratura meglio che poteva. Per qualche giorno avrebbe retto e se nessuno usava quell'ingresso poteva persino passarla liscia.
La mappa si rivelò meno accurata del previsto. Un paio di volte si ritrovò in un vicolo cieco e più volte rischiò di essere intercettata dagli armigeri di guardia alle prigioni. Prese la borraccia che aveva con sé ed iniziò a spegnere tutte le fiaccole per permettere al buio di favorire il suo passaggio. Alla fine si ritrovò di fronte ad una specie di piccola porticina con sopra il simbolo di una montagna con sopra una falce di Luna. Il simbolo del Consiglio. Kaila si infilò nel montacarichi. Incredibilmente trovò estremamente semplice far salire il piano mobile tirando la corda presente all'interno del vano. Come se ci fosse una qualche magia strana che riducesse il suo peso. Arrivò al termine della salita e vide una serie di ruote di diverse dimensioni attraverso le quali passava la corda che aveva tirato. Niente magia quindi, solo uno strano marchingegno.

La Sala dell'Archivio era, a prima vista, un unico ammasso di cianfrusaglie. Impossibile sperare di trovare qualcosa. La stanza si estendeva in lunghezza e al centro c'era un enorme tavolo con decine e decine di scranni. Un arredamento assai poco consono al tipo di funzione che la stanza doveva svolgere. In passato probabilmente era servita ad altro. Sul tavolo erano ammonticchiate cataste di cose, ma sembrava esserci una logica. Si avvicinò alla prima montagnetta e trovò diversi monili. Ne prese un paio, quelli più grossi. Servivano per il suo piano di sicurezza. Più in là trovò una catasta di lettere. Non sembravano molto vecchie. L'orribile idea che i reperti troppo vecchi venissero distrutti si affacciò nella mente della ragazza, ma cercò di scacciarla subito per non scoraggiarsi. Trovò le cose più strane. Cataste di armi seguite da cataste di specchi seguite a loro volta da cataste di gioielli.
Kaila girò distrattamente intorno al tavolo alla ricerca di un qualche registro nella speranza che tutto ciò che veniva riposto in quella sala fosse accuratamente archiviato. Non trovò nulla di simile, ma aggiunse alla sua collezione un paio di stiletti in oro e un bellissimo ferma-capelli in argento.
Mentre si aggirava tra i vari mucchi di roba sempre più sfiduciata, Kaila sentì un calore enorme venirgli dal petto. La luminosità del ciondolo iniziò a risplendere anche attraverso il mantello nero. Stava vibrando, come d'eccitazione. L'aveva trovato. Il diario e la chiave si chiamavano a vicenda. In una catasta di libri vide un leggero bagliore argenteo. Ci si precipitò come un avvoltoio e iniziò a rovistare tra i volumi. Ce n'erano di tutti i tipi e su ogni argomento. Alcuni erano ricettari di cucina, altri erano registri contabili. In fondo c'era un piccolo quaderno con una copertina argentea che risplendeva fioco alla luce delle lanterne. C'era sopra il disegno stilizzato di una città costruita su una nuvola. Di fianco pendeva un lucchetto molto piccolo. La serratura era appena accennata. Perfetta per la sua chiave. Kaila lo prese al volo insieme ad altri due volumi a caso. Era fatta. Ora doveva andarsene.

Saltare dalle finestre della reggia poteva essere rischioso. Un balzo del genere poteva non passare inosservato. Kaila uscì dalla finestra più a nord. Salì sul cornicione e richiuse la vetrata dietro di se. Accanto a lei si ergeva una colonna in granito che andava da terra fino alla base del frontone triangolare che sovrastava l'intera struttura e che riportava un bassorilievo con gli stemmi della Stirpe di Hoen e del Gran Consiglio dei Maghi. La colonna aveva delle scanalature a spirale che permisero a Kaila di scendere a terra senza eccessivo sforzo e senza essere notata. Da lì la via fu semplice. I lampioni ormai spenti e il cielo completamente scuro nascosero la fuga della ragazza tra le vie dell'alveare. Kaila sentiva la felicità montarle dentro quando, voltando un angolo, si trovò di fronte due armigeri. Cavolo, non se n'era accorta. Erano gli stessi della mattina precedente, quelli che sonnecchiavano davanti alla porta. Non sembrava l'avessero riconosciuta e il cappuccio continuava a proteggere la sua identità. Il fagotto che la ladra portava con se però non passò di certo inosservato.
Kaila iniziò a correre a più non posso, non avrebbe fatto in tempo a recuperare il suo sacco. Se ne sarebbe occupata l'indomani. Forse però poteva fregare i suoi inseguitori.
Si infilò nella torre di nord-est che i due armati le erano ancora alle spalle. La scalinata rotta li rallentò ma non li fermò. Arrivata all'altezza delle mura Kaila iniziò a correre verso sud ma fece in modo di non seminare i suoi inseguitori. Quando questi le furono addosso lei con un balzo oltrepassò il parapetto e fu libera nel vuoto. Increduli, i due armigeri fissarono la sua caduta finché la lanterna che portavano con loro glielo permise. Kaila non seppe cosa ne conseguì, però il giorno dopo ci fu un gran vociare per le strade della città. Tutti parlarono di un ladro possente. Un uomo mascherato che aveva derubato gli archivi della città ma che, quasi acciuffato da due valorosi guerrieri, aveva scelto la strada del suicidio. No, il corpo non era stato ritrovato e no, non si sapeva come avesse fatto ad entrare. Nessuno seppe che fine avesse fatto la refurtiva e in cosa consistesse di preciso. Tutti però erano concordi sul fatto che se non fosse terminato in tragedia, quello sarebbe stato il furto del secolo.