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lunedì 27 dicembre 2010

Inseguimento

Il paggio si stava lentamente avvicinando dal corridoio di nord-ovest. Statue e armature consunte si alternavano tra di loro. Le piccole fiammelle delle lanterne proiettavano le loro tremolanti luci sul pavimento creando strani giochi di ombre. L'ostentata opulenza di quella reggia stonava di fronte alla evidente decadenza della città-alveare. Da quando si erano trasferiti ad Elengar, Nikolas aveva iniziato a comportarsi come se fosse il re di quella città morente. Forte del suo sigillo imponeva il suo volere su una città pigra e senza forza di volontà.
Takalia odiava tutte quelle cerimonie. Stare lì immobile ad aspettare di essere ricevuta al cospetto di quell'uomo che fino a poco prima trattava come un fratello maggiore. Continuò a fissare il paggio avvicinarsi con calma senza muovere un muscolo. Era rosso in volto. Indossava diversi strati di merletti, tessuti vari ed infine un pesante mantello di broccato. Ci si sarebbe tranquillamente potuto ricoprire un intero accampamento militare con tutti quei tessuti che avvolgevano come un salame quel ragazzo. Avrà avuto più o meno 14 anni e probabilmente sarebbe morto soffocato sotto tutta quella stoffa prima di arrivare ai 15.
Arrivò tutto trafelato nonostante il lento incedere. Cercava di nascondere l'affanno respirando a fondo con il naso, ma in questo modo non era più in grado di parlare. Takalia continuò a fissarlo col suo sguardo penetrante senza dare segno di impazienza. Non aveva voglia di vedere Nikolas, quindi ogni scusa era buona per prolungare l'attesa. "Il Capitano Nikolas è disposto a ricevervi. Cortesemente potreste seguirmi?"
Takalia trovò molto buffa la scelta delle parole da parte del paggio. Era convinta che fosse stato Nikolas a farla chiamare, ora invece si dimostrava 'disposto' a riceverla. Il volto del ragazzo era completamente imperlato di sudore. Le guance erano due enormi chiazze rosse. Aveva i capelli incollati dal sudore. Dall'ampio bavero del mantello si alzava un pungente olezzo di rancido misto ad essenze di viole e di mughetto. Takalia dovette fare uno sforzo enorme per non dimostrare tutto il suo disgusto per quell'omuncolo unticcio.
Si incamminarono per i lunghi corridoi della reggia. Il paggio davanti a fare strada con la sua andatura pigra e Takalia subito dietro. Non vi fu scambio di parole tra i due per tutta la durata del viaggio. I corridoi si susseguirono lenti dietro di loro. Tante porte tutte uguali puntellavano le mura ad intervalli regolari. Dame e cortigiani chiacchieravano di futili faccende ad ogni angolo.

Arrivarono di fronte ad una enorme porta istoriata con sopra dei bassorilievi raffiguranti vari avvenimenti storici. Il paggio fece segno alla ragazza di attenderlo. Spinse con quel poco di forza che aveva nelle braccia sui possenti battenti aprendo la porta quel tanto che bastava da consentire il passaggio di un uomo. Una volta dentro il paggio si voltò indietro a fissare la porta riflettendo se fosse il caso di richiudersela alle spalle. L'etichetta avrebbe voluto così, ma poi avrebbe dovuto fare doppia fatica per cercare di riaprirla. Alla fine decise di lasciarla aperta e si diresse di corsa verso il centro della sala. Takalia dalla sua posizione non riusciva ad intravvedere il trono, era coperto da una figura esile dai capelli rossicci e arruffati che le dava le spalle. Teneva il peso appoggiato su un solo piede e aveva le braccia conserte dietro la schiena. Nikolas, oltre a lei, aveva convocato anche Pilsk. La faccenda iniziava a farsi sospetta.
Nei lunghi anni che aveva passato al servizio diretto del Maestro, Takalia aveva imparato a comprendere la gravità delle situazioni con velocità sorprendente. Nel mestiere della spia bisognava essere sempre pronti al peggio. Il più delle volte ci si doveva introdurre in luoghi molto ben sorvegliati senza poter fare conto su armi di qualunque genere. Il silenzio ed il buio erano gli unici compagni delle sue missioni. Takalia aveva imparato a riconoscere ogni rumore, ogni respiro, ogni spostamento d'aria. Ricostruiva nella sua mente il mondo circostante con precisione infinitesimale. Spesso il Maestro l'aveva paragonata ad un pipistrello per quella sua peculiarità. In meno di un battito di ciglia era in grado di interpretare i movimenti che la circondavano definendo le dinamiche di ogni situazione. Poteva prevedere ogni singolo cambiamento e agire di conseguenza.
Adesso la situazione non era del tutto diversa. I segnali erano chiari. Nikolas non voleva uno dei suoi soliti rapporti sull'andamento dell'addestramento del nuovo esercito o sullo stato di attività delle pattuglie. No, voleva affidarle una missione. La presenza di Pilsk indicava anche un certo grado di difficoltà del compito che stava per ricevere. Le spie di solito lavorano da sole, essere affiancati da un armato significa la possibilità di dover ingaggiare battaglia. Nikolas non era uno sprovveduto ed evidentemente aveva valutato i rischi e i benefici che sarebbero scaturiti dall'affiancare i due.
Tutto sommato l'idea le piacque. Erano ormai settimane che controllava le ronde sulle mura di cinta o che teneva lezioni di tattica al rinnovato esercito di Elengar. In tutta la sua vita non si era mai annoiata tanto e l'idea di un po' di movimento le stuzzicava la mente. Il paggio tornò indietro facendole segno di seguirla. Finalmente avrebbe avuto qualche informazione precisa.

Takalia appoggio delicatamente la mano sulla grande porta istoriata e con una leggera pressione la spalancò. Il paggio la guardò interdetto e un po' stupito. La ragazza era molto forte e adorava vedere lo sguardo di stupore che ogni volta si dipingeva sul volto di chi puntualmente finiva per sottovalutarla. Da tempo immemore ormai si addestrava per nascondere la sua femminilità. Si allenava duramente per rendere il suo corpo forte e tonico. Niente in lei, tranne forse il solo sguardo, faceva trasparire il suo essere donna. Quel poco seno che avevo lo teneva costantemente costretto all'interno di una fascia elastica. A vederla da lontano si sarebbe pensato ad un paio di pettorali molto ben allenati, non certo alle morbide forme di una ragazza.
Al suo ingresso Pilsk si girò a guardarla. Appena la vide sorrise e le fece cenno con la mano. Quel ragazzo era sempre allegro e spensierato, anche nei momenti più duri trovava il modo di sdrammatizzare con una battuta, il ché spesso faceva saltare i nervi a Nikolas. Takalia gli si fece vicino e ricambiò il sorriso. Pilsk le si avvicinò e le sussurrò nell'orecchio "Finalmente un po' di movimento". La ragazza aveva visto giusto, Nikolas voleva affidare loro una missione.
"Come sapete siamo venuti qui per via di un semplice furto. Qualcuno è riuscito ad introdursi in questa reggia più di due lune fa" iniziò Nikolas. Se ne stava seduto sul trono a consultare una mappa. Non aveva neanche alzato gli occhi dal foglio per guardare i due. Accanto al trono stava in piedi tronfio e sudato il paggio di corte. La stanza era enorme e completamente vuota. Il trono stava su un piccolo podio con tre gradini a separarlo dal pavimento. Dai lati partiva una fila di colonne che seguiva tutto il perimetro di quella stanza quadrata e sorreggeva l'enorme volta affrescata con al centro un sontuoso lucernario. Aldilà delle colonne si formava una specie di corridoio adombrato che sembrava voler nascondere alla vista le porte che davano accesso alle stanze regali.
"Credevo che il ladro fosse morto suicida" disse Pilsk. Nikolas alzò lo sguardo e sul suo volto si dipinse un sorriso a mezza bocca. "Ho ragione di credere che non sia morto".
"Ma ci sono dei testimoni" protestò Takalia con la sua voce mascolina.
"Certo, due armigeri che si sono fatti scappare il ladro sotto il naso. La loro testimonianza non è molto affidabile" sottolineò Nikolas "inoltre il cadavere non è mai stato trovato."
"Se ci hai chiamato qui immagino che tu voglia che scopriamo chi è il ladro" fece Pilsk.
"No, non credo ce ne sia bisogno. Oggi ho avuto uno scambio di parole con quello che ritengo sia il principale sospettato. Un ragazzo di nome Felz. Ha in programma un viaggio lontano da Elengar dove probabilmente cercherà di smerciare la refurtiva."
"E questo glielo avrebbe detto lui? Non mi sembra una mossa tanto intelligente, persino per un bifolco" sentenziò Takalia. Sapeva chi fosse quel Felz, aveva una birreria in città nella quale Nikolas passava quasi tutte le serate. Il sospetto che la missione avesse un secondo fine di natura personale iniziò a farsi strada nella mente della ragazza. Il Capitano aveva completamente perso la testa per la sorella di quel birraio, aveva perso di lucidità e di razionalità. Era diventato irascibile e lunatico. Non era più il valoroso condottiero che li aveva guidati in dozzine di campagne militari. Si era progressivamente trasformato in un annoiato monarca con una stupida infatuazione per una semplice plebea. Finché però la cosa riguardava solo Nikolas per Takalia non c'erano problemi, ma adesso voleva mobilitare anche i suoi uomini per il suo fine.
"Ovviamente ha accampato una scusa sciocca, ma è evidente che sta cercando di fuggire da qualcosa. Vorrei che lo seguiste e controllaste i suoi movimenti. Avremo bisogno di prove per inchiodarlo".
Pilsk e Takalia si guardarono sbigottiti. Erano increduli di fronte all'inutilità e alla superficialità di quella missione, per di più non erano affatto d'accordo con il loro Capitano e disapprovavano i suoi nuovi metodi. Pilsk provò a lanciare una protesta, ma fu subito zittito da Nikolas "Non vorrete certo mettere in discussione i miei ordini, vero? Lo seguirete e mi informerete di ogni cosa insolita che noterete. Qualora riusciate a coglierlo in flagranza di reato lo arresterete e lo scorterete qui a palazzo dove verrà interrogato."

I due soldati si congedarono dal loro Capitano e tornarono nei rispettivi alloggi per prepararsi alla partenza. Takalia era sconcertata dal comportamento di Nikolas. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non ne aveva l'autorità. Il Capitano aveva la piena fiducia del Maestro e quindi aveva diritto alla sua più completa obbedienza.
Partirono immediatamente. Nelle stalle trovarono due stalloni neri sellati e pronti per essere cavalcati. Due bestie imponenti e veloci che macinarono la strada che separava la città di Elengar dalla vallata sottostante in poco tempo. Corsero a tappe serrate per recuperare il vantaggio che Felz aveva su di loro e prima di sera arrivarono in vista del carro che Nikolas gli aveva descritto. Si tennero ad una certa distanza per non essere visti. I cavalli al trotto e i mantelli a coprire il volto. Con il calare della notte si fecero completamente invisibili.
Il carro si fermò presso un piccolo villaggio, probabilmente per passare la notte. La strada era circondata da campi a maggese. Non un albero né una roccia a fornire riparo ai due soldati. Takalia decise di smontare da cavallo a circa un miglio dal villaggio e di proseguire a piedi. Il carro era lento, il giorno dopo avrebbero avuto tutto il tempo di tornare a riprendere i cavalli e gettarsi nuovamente all'inseguimento. Intanto era importante trovare il modo di controllare cosa trasportasse. Prima avessero verificato l'infondatezza dei sospetti di Nikolas, prima se ne sarebbero potuti tornare a casa.
Si avvicinarono di soppiatto alla stalla nella quale avevano visto entrare il carro. Con il favore della notte avrebbero potuto intrufolarvisi. Appena furono abbastanza vicini da poter osservare l'interno del capanno notarono che Felz non era da solo, ma con la sorella, inoltre avevano organizzato una specie di festa che andò avanti fin quasi all'alba. Takalia rimase di guardia tutta la notte, mentre Pilsk a tratti si addormentava appoggiato al suo arco. I due se ne stavano a poca distanza dalla strada, sdraiati per terra per non essere visti. "Certo non sarebbe male partecipare. Guarda quanta birra che hanno!" Pilsk aveva uno sguardo sognante e in più di un'occasione fu tentato di alzarsi. In un momento di distrazione, il ragazzo riuscì a sottrarsi al controllo di Takalia e ad avvicinarsi alla stalla. "Dove diavolo vai?" chiese la ragazza.
"Sono tutti sbronzi persi, potrei mettermi a camminare sulle mani in mezzo a loro e non si accorgerebbero della mia presenza".
"Torna subito qui".
"Vado solo a fregare un pezzo di pane e una birra! Ho fame e sono stufo dei tuoi fichi secchi".
Takalia si avventò sul compagno e lo costrinse nuovamente pancia a terra. Quando alzò la testa il suo sguardo incrociò quello della sorella di Felz. "Cavolo, ci ha visti!"
"Chi?" chiese Pilsk.
"La ragazza, quella Kaila!" spiegò Takalia.
Pilsk sforzò gli occhi per cercare di vedere meglio "Ma che dici? Guardala, è completamente addormentata, probabilmente se la sta russando alla grande".

La festa finì, ma la notte non era più così oscura. Un leggero bagliore ad est indicava l'imminente sorgere del sole. Forse avrebbero avuto ancora una o due ore di tenebre. Alcuni fattori stavano entrando nella stalla per sbrigare il loro lavoro. Probabilmente a breve avrebbero iniziato a mungere le mucche e il carro non sarebbe più rimasto solo. Decisero di ritornare ai cavalli e rimandare il controllo.
Quando il sole fu alto e il carro lontano da loro, Pilsk si diresse al villaggio per ottenere informazioni. Non era certo al livello di Takalia, ma se la cavava coi travestimenti. Posò arco e frecce ed indossò una casacca di tela marrone. In testa aveva un cappello da pescatore e in spalla una sacca da viaggio che aveva riempito con la sua divisa e altre cianfrusaglie che aveva preso dalle bisacce del suo cavallo. Non era perfetto, ma sembrava un normalissimo viandante squattrinato.
Takalia rimase ad aspettare al margine della strada per circa un'ora quando finalmente Pilsk fece ritorno. "Simpatici questi bifolchi. Mi hanno anche regalato una pagnotta appena sfornata." disse il ragazzo lanciando un involto che Takalia prese al volo. "Allora? Che notizie porti?"
"Come sei formale... comunque niente di ché, erano tutti coi postumi di una sbornia colossale. Mi sa che oggi si lavorerà poco in quel villaggio."
"Possibile che tu non abbia scoperto nulla?" chiese Takalia spazientita.
"Un attimo, ci stavo arrivando" disse il ragazzo mentre si cambiava d'abito e indossava nuovamente la divisa. Takalia cercò di guardare altrove mascherando l'imbarazzo per le nudità del compagno. "Hanno detto che stavano andando a Salingar a vendere la birra, che poi è quello che hanno detto anche a Nikolas. Mah, da quel che mi hanno raccontato sembravano persone tranquille, di certo non dei ladri professionisti. Secondo me quelli non sanno neanche cosa sia un grimaldello, figuriamoci se si intrufolano in una reggia" concluse Pilsk risalendo a cavallo e rimettendosi in spalla il suo arco. "Ah, mi hanno detto che faranno tappa ad Hangwick, pare sia una cittadina a poche leghe da qui".

L'inseguimento proseguì lento. Takalia decise di non rischiare più avvicinandosi al carro. Continuarono a tenersi a debita distanza senza però perderli di vista. Ci vollero un paio di giorni per raggiungere la città di Hangwick. Per tutto il percorso Pilsk cercò di intavolare due chiacchiere con la ragazza. Parlò del tempo, del viaggio, della sua opinione su Nikolas e della sua stupida cotta. Niente. Takalia mantenne il più completo riserbo e non diede modo al compagno di iniziare una discussione, tanto che alla fine Pilsk si mise a cantare per impegnare il tempo. "Conosci qualche vecchia canzone marinara? Mio padre viveva per mare. Non ho mai passato molto tempo con lui, ma quelle poche volte che tornava da mia madre mi cantava un sacco di canzoni". E così il sottofondo musicale andò avanti per tutto il viaggio.
Arrivarono in vista di Hangwick che era già notte. Per le strade del borgo non c'era un anima e il silenzio era inquietante. Solo l'ululato di un lupo in lontananza. "Voglio avvicinarmi al carro. Questa potrebbe essere la nostra occasione migliore per dare un'occhiata" disse Takalia, ma Pilsk le fece notare che Felz e Kaila lo avevano appena chiuso in una specie di rimessa coperta. "Sono piuttosto bravo ad introdurmi nei luoghi chiusi, vedrai che non sarà un problema!" sottolineò la ragazza.
Mentre Pilsk si prendeva cura dei cavalli, Takalia aggirò il capanno per esaminarlo. Era in solida pietra e non c'erano finestre. Il tetto spiovente però doveva avere qualche apertura per permettere alla luce di entrare, quindi la ragazza decise di arrampicarsi.
Takalia non aveva mai visto tanta cura nella costruzione di un muro. Di solito erano sbozzati, con sporgenze di ogni tipo o con crepe tra i mattoni. Questo sembrava perfettamente liscio e solido. Non c'erano appigli per arrampicarsi se non una canalina di scolo per le acque piovane. Ci volle parecchio per riuscire a salire sul tetto, ma alla fine ce la fece. Nel momento in cui i suoi piedi furono saldamente al sicuro sul cornicione del tetto, una luce accecante le ferì gli occhi. Un lampo intenso si era propagato dal bosco sulla collina accanto al borgo e per poco non le faceva perdere l'equilibrio. Quando fu passato alzò lo sguardo e lo lasciò vagare alla ricerca della fonte di quella luce. Mille puntini luminosi affollavano il suo campo visivo, come se un esercito di formiche fatte coi pezzi di un arcobaleno infranto le camminassero dentro gli occhi. Cercò di strizzare le pupille per mettere a fuoco meglio e a quel punto se ne accorse. Alle sue spalle, dietro il vetro di una finestra, una ragazza la stava fissando. Per la seconda volta gli sguardi di Takalia e Kaila si incrociarono.

Takalia si gettò sulla canalina di scolo per scendere a terra. Corse con tutto il fiato che aveva in gola verso il suo compagno "Maledizione, mi ha visto di nuovo".
"Chi?" interrogò Pilsk.
"Chi secondo te? Kaila! Quella mocciosa!"
Pilsk si sforzò di guardare nella direzione della locanda che Takalia gli stava indicando ma non vide nessuno dietro le finestre.
"Sei sicura? A proposito, hai visto quel lampo di poco fa?" chiese il ragazzo.
"Certo che l'ho visto, è per quello che mi ha beccato! Avevo la vista annebbiata dalla luce e mi sono distratto a cercare di capire da dove veniva ! Non ci posso credere, mi ha visto per ben due volte! Nessuno era mai riuscito a vedermi, tutta questa inattività mi sta facendo perdere colpi!"
"Maddai, come ce l'avevi tu, anche lei avrà avuto la vista annebbiata, non si sarà accorta di te!" cercò di confortarla Pilsk.
"Non capisci! Sono più di dodici anni che faccio la spia! Mi sono introdotto in luoghi che tu neanche immagini, e alla fine mi sono fatto beccare da una stupida ragazzina! Per ben due volte!"
"Non farla così tragica Tak, a tutti capita una giornata storta"
"Sono due mesi che non facciamo nulla, che non ci alleniamo. Non svolgiamo un incarico da più di quattro lune. E' inevitabile ridursi in queste condizioni. Probabilmente neanche tu avrai più i riflessi di un tempo con l'arco."
"Ehi, non scherzare, io la mira ce l'ho nel sangue" esclamò il soldato.
"Si certo, come no! Senza allenamento tutti perdono l'abilità, e se non fosse per quell'idiota di Nikolas adesso saremmo in giro per il continente a portare a termine qualche incarico importante."
"E adesso Nikolas che c'entra?"
"Oh andiamo, come fai ad essere così stupido! Dovevamo arrivare ad Elengar, dare un'occhiata in giro e strigliare un po' il capo della guardia. In meno di un mese saremmo dovuti tornare dal Maestro a fare rapporto." Takalia era su tutte le furie e cominciò a riversare su Pilsk tutta la sua frustrazione "E invece guardaci, facciamo da balia ad un esercito pigro e teniamo d'occhio la ragazza di cui il nostro Capitano si è infatuato!"
"Beh, effettivamente Nikolas è cambiato parecchio" confermò Pilsk.
"Si è fatto corrompere dal potere e dalla ricchezza. E' diventato un inetto ipocrita e opportunista. Ormai non lo riconosco più. Se solo il Maestro sapesse, sono sicura che prenderebbe provvedimenti!" concluse la ragazza.
"Problemi di identità?" chiese Pilsk.
"Cosa?" disse perplessa Takalia.
"Hai detto 'sono sicurA'. Non suona molto virile" apostrofò il ragazzo.
"Avrai sentito male" glissò la ragazza.
"Sarà! Comunque è ora di nascondersi, quel Felz sta uscendo dalla locanda" concluse Pilsk.

I due uscirono fuori dalle mura della città e raggiunsero la biforcazione della strada che portava a Salingar in attesa del passaggio del carro. Trovarono riparo dietro una piccola macchia di arbusti. Felz e Kaila non si fecero attendere a lungo. Il rumore degli zoccoli dei cavalli riecheggiò nel silenzio dell'alba. Sempre più vicino. Takalia si sporse per osservare la scena e vide un'ombra scendere dal pianale del carro e schizzare in direzione della collina.
"Seguiamo la ragazza" sussurrò Takalia.
"Perché? Nikolas ci ha chiesto di seguire Felz e il suo carro" protestò Pilsk.
"Già, ma da quel carro è appena scesa una ragazza con un enorme cappuccio calato sul volto e con una sacca sulle spalle. Non ti viene qualche sospetto?" spiegò Takalia ma Pilsk continuava a sembrare perplesso. "Oh, andiamo, come arciere sarai bravo, ma come investigatore non vali un soldo di cacio. Probabilmente la refurtiva ce l'ha la ragazza e adesso dobbiamo scoprire dove la sta portando".
"Ma non eri tu quello che diceva che Nikolas si era inventato tutto e la storia del furto era solo una scusa per ottenere informazioni su quella ragazza?" osservò Pilsk.
Takalia non rispose. La questione era spinosa. Forse Nikolas non era impazzito. Aveva sicuramente subito il fascino del potere e della ricchezza, ma forse aveva visto giusto sul furto. Forse non si era infatuato di quella ragazza, ma aveva veramente avuto fin dall'inizio dei sospetti su quella coppia. Per un attimo sentì il peso delle sue accuse e si pentì di averle mosse. Avrebbe almeno dovuto concedere il beneficio del dubbio al suo Capitano.
I due si incamminarono cercando di seguire l'ombra della ragazza che correva tra i tronchi di quelle enormi querce. Il pendio della collina era abbastanza dolce, ma non c'era un sentiero preciso da seguire, quindi Pilsk propose di aspettare il sorgere del sole per poter seguire le tracce della ragazza senza rischiare di perdersi all'interno di quel bosco così intricato. Il soldato si rivelò essere un perfetto segugio. Con il favore della luce identificò ogni passo della ragazza e ne ricostruì il percorso. Prima del calare del sole riuscirono a raggiungerla, ma rimasero spiazzati da ciò che trovarono. Kaila non era sola. Un gruppo di ragazzi e un uomo di mezza età bivaccavano insieme a lei in una radura intorno ad un piccolo fuoco. Takalia si avvicinò per cercare di osservare meglio. Notò che c'era un'altra ragazza distesa su una lettiga in evidente stato confusionale, aveva una gamba fasciata e steccata. Tutti i nuovi arrivati avevano abiti strani. Sembravano usciti da un circo.
"Non sembra un esercito. In realtà hanno l'aria di essere fenomeni da baraccone, ma non sembrano pericolosi" spiegò Takalia a Pilsk.
"Hai visto la refurtiva? Magari la ragazza la sta vendendo" si informò il ragazzo.
"No, non l'ho vista, ma la sacca di Kaila ora e vuota. Inoltre hanno un ferito. Forse sono delle spie" ipotizzò Takalia.
"Beh, allora che aspettiamo, andiamo a catturarli" Pilsk sembrava emozionato e felice, come se non aspettasse altro.
"Sono in tanti, non sarà facile" obiettò Takalia.
"Ho un idea. In questi casi non serve catturare tutti, l'importante è cercare di prendere uno del gruppo per interrogarlo, poi magari cerchiamo anche di prendere Kaila, così Nikolas è contento".
"E l'idea dove sarebbe?" chiese Takalia ironica.
"Spaventiamoli. Se non sono organizzati probabilmente si sparpaglieranno e sarà più facile seguirne uno e catturarlo. Io inizio a perseguitarli con le mie frecce e tu li catturi. "

Pilsk si allontanò silenziosamente. Takalia sentì il sibilo sordo di una freccia provenire dal folto del bosco e poi tante voci concitate che si sovrapponevano. Decisamente non erano organizzati. La luce del fuoco si spense e il rumore pesante dei passi si sparse tra gli alberi. Pilsk riusciva a dirigere il gruppo in fuga nella direzione che voleva lanciando frecce sui lati del percorso. Takalia si mise in moto e cercò di raggiungere il gruppo mantenendosi nell'ombra quando improvvisamente da un cespuglio saltò fuori un ragazzo. Era strano, era difficile distinguerlo nel buio e riuscì a coglierla impreparata. Il ragazzo le si avventò addosso e la gettò in terra. Takalia fece per rialzarsi ma l'uomo che aveva visto nell'accampamento uscì da dietro un albero e le bloccò i movimenti. "Chi diavolo sei e cosa vuoi da noi?" Chiese il ragazzo mentre Takalia cercava di divincolarsi dalla presa salda dell'uomo. La teneva stretta da dietro con le braccia intorno al petto, mentre con un ginocchio le teneva le gambe bloccate contro il tronco di un albero. Takalia non rispose e continuò ad agitarsi. Non era abituata a farsi prendere di sorpresa e aveva perso la lucidità che di solito l'accompagnava. Non riusciva a concentrarsi e si era fatta prendere dal panico. Fece un respiro profondo e cercò di calmarsi per trovare il modo di contrastare l'uomo, ma non ce ne fu bisogno. Un urlo di dolore arrivò dalle sue spalle e la presa si allentò, Takalia si girò di scatto e di fronte a sé vide Pilsk con l'arco puntato e con una freccia incoccata. "Tranquillo, come vedi non ho perso la mira, l'ho solo colpito alla gamba" disse rivolto alla ragazza, dopodiché si voltò verso il suo assalitore e tese la corda dell'arco "Ora se volete farci il favore di stare buoni eviteremo inutili spargimenti di sangue".
Takalia si mise alle spalle di Pilsk mentre il ragazzo corse verso l'uomo ferito per cercare di soccorrerlo "Prof, come stai, va tutto bene?" chiese il giovane.
"Non preoccuparti, sto bene" cercò di mentire l'uomo.
Pilsk passò il suo stiletto e una corda a Takalia "Io vado a cercare Kaila, tu cerca di calmarti e lega questi due. Cura la ferita di quel tizio, altrimenti non ci arriva vivo ad Elengar." Detto questo sparì tra gli arbusti lasciando Takalia da sola.
Le tremava ancora la mano e si sentiva stupida. Si ricordò del suo primo incarico quando per poco non si fece catturare. Il Maestro la trasse in salvo uccidendo con una strana arma i tre armigeri che aveva alle costole. Anni e anni di allenamenti si erano annullati con pochi mesi di ozio. Si ripromise di ricominciare da zero l'addestramento una volta tornata a palazzo.
Legò i polsi dei due prigionieri e tolse la freccia dal polpaccio dell'uomo. L'urlo di dolore fece scappare alcune civette appostate sull'albero. Mentre fasciava la ferita si accorse che la luminosità era aumentata, si voltò verso la cima della collina e vide delle fiamme altissime che stavano divampando tra le fronde degli alberi ormai quasi del tutto spogli. Sentì il calore delle fiamme da quella distanza e poi fu solo dolore. "Scappa!" urlò l'uomo che con un calcio aveva atterrato Takalia. "Ma lei..." provò a dire il ragazzo ma l'altro lo interruppe "Pensa solo a scappare, io me la caverò".
Takalia cercò di voltarsi verso il ragazzo ma aveva ancora le idee confuse. Sentì solo il rumore dei passi veloci che si allontanavano e l'odore acre del sangue che le colava dal labbro. Il fumo riempì l'aria e il rumore del crepitio del fuoco si fece più forte. "Che diavolo è successo qui?" Pilsk era tornato col fiatone.
"Il ragazzo è scappato!" spiegò Takalia con lo sguardo basso.
"Non fa niente, dobbiamo scappare. Prendo io il tipo". Afferrò l'uomo per un lembo di quella strana veste e lo tirò in piedi. Di nuovo un urlo di dolore. "Non fare la femminuccia, appoggiati a me e non cercare di scappare altrimenti stavolta ti ammazzo" minacciò Pilsk incamminandosi.
"Ma da dove viene quel fuoco?" chiese Takalia.
"Non è di quello che devi preoccuparti. Siamo inseguiti dai lupi e a quanto pare il fuoco non li spaventa" urlò Pilsk mentre accelerava il passo verso valle.
Avrebbero avuto fin troppe cose da spiegare a Nikolas al loro ritorno.


lunedì 8 novembre 2010

Il Furto

Elengar era conosciuta in tutto il mondo come la città del vento. Le sue alte torri si inseguivano l'un l'altra nella loro corsa verso le nuvole come per cercare di graffiare il cielo.
All'origine dei tempi era la sede del Supremo Consiglio dei Maghi delle terre di Hoen, ma adesso, di quell'antico fasto, restavano solo le torri. La città in realtà era poco più di una fortezza arroccata sul monte Hoen, da cui prese il nome la Stirpe che vi abitava. Da principio ospitava solo la reggia del sovrano, le sale del Consiglio e la Grande Biblioteca. Quest'ultima era famosa in tutte le terre note come la depositaria di tutto il sapere del mondo. Nel tempo la Biblioteca aveva accolto studiosi provenienti da ogni terra e aveva dato lavoro a moltissimi maghi che si occupavano della salvaguardia e della manutenzione dei preziosi plichi. Visto il gran via vai di gente, presto iniziarono ad essere concessi permessi per edificare case, casette e casupole all'interno delle mura fortificate e all'ombra delle possenti torri. Lo spazio piuttosto risicato messo a disposizione fu completamente tappezzato da abitazioni di ogni genere. Questo non scoraggiò il flusso di immigranti che iniziarono a erigere un nuovo strato di case sopra il precedente. E poi un altro. E poi un altro ancora. Alla fine Elengar divenne una sorta di alveare umano, ognuno col suo spazietto risicato e sempre all'ombra delle possenti torri. Gli stretti vicoli e i consunti ponticelli che univano l'alveare si riempirono di umidità e di aria viziata. In breve tutto fu invaso da muschi e piante rampicanti che conferivano un aspetto magico allo squallore di quei luoghi. Meno magiche, ma più in linea con lo squallore, furone le orde di ratti, furetti e malattie che flagellarono la città fortificata. Il Consiglio fu costretto a bloccare i permessi di edificazione e a schierare un esercito di maghi guaritori per le vie della città.
Non potendo più costruire all'interno delle mura, le case iniziarono a spuntare qua e là su entrambi i versanti della montagna. Grosse porzioni di roccia furono scavate per permettere la costruzione di orti, fattorie e pascoli. Alla fine fu esteso il protettorato del Consiglio a tutta la montagna e nuove mura furono costruite a valle per proteggere la nuova Elengar.
Durante la Grande Guerra, la Guerra delle Stirpi, la vallata ai piedi del monte Hoen non fu mai avvicinata. Non tanto per via dell'enorme potere del Consiglio. Quando mai quelli si sono schiodati dai loro scranni. No, fu grazie a quelle torri assurdamente alte costruite su una città assurdamente alta. Nessuno poteva sbarcare sulle spiagge delle terre protette dal Consiglio senza che l'esercito di Elengar lo venisse a sapere.
Adesso le cose erano parecchio cambiate. Nella Grande Biblioteca erano tenuti solo libri di storia, annali, cronache e almanacchi. Il Grande Consiglio dei Maghi al termine della Grande Guerra perse il suo potere politico. Fu costituito un Consiglio dei Sovrani con sede al di la del mare, al centro delle Terre di Nessuno, dove, in maniera imparziale e senza l'uso di magia, venivano dipanate le questioni diplomatiche tra i vari regni. Il Consiglio, privo di una qualsiasi utilità, decise di dedicarsi ad altro. Fu così istituita una scuola di magia all'interno di quella che era la reggia di Hoen, anche se di reggia non si poteva più parlare visto che il Re ormai viveva altrove. Le abitazioni-alveare all'interno delle mura furono riservate agli aspiranti stregoni. Solo la Sala del Consiglio mantenne un qualche potere istituzionale, trasformandosi in Sala del Giudizio. Una sorta di foro dove veniva amministrata la giustizia della regione. Le segrete della fortezza divennero un luogo di detenzione mentre la vecchia Sala degli Almanacchi fu rinominata in Sala dell'Archivio e vi furono stipati tutti quegli oggetti requisiti ai detenuti o ai condannati a morte.
Quello era l'obiettivo di Kaila.

Fin da bambina Kaila non aveva mai avuto paura delle altezze. Ogni occasione era buona per arrampicarsi da qualche parte. Ivan, il padre, la rincorreva su tetti, alberi, cornicioni, spuntoni di roccia. Lui sempre terrorizzato, lei sempre divertita. Per quanto questa attività preoccupasse Ivan, Kaila non era mai caduta. Mai neanche un graffio, figuriamoci un braccio rotto. No, i suoi piedi non finivano mai in fallo. Anche ad occhi chiusi lei sapeva che i suoi passi non l'avrebbero mai tradita. Kaila non era in grado di spiegare questa sua capacità, ma era come se l'aria le parlasse. Le diceva come muoversi, dove appoggiarsi, a quale ramo aggrapparsi. Sapeva perfino distinguere quali erano gli appoggi sicuri e quali quelli che sarebbero franati sotto il suo peso. Forse un'eredità della sua Stirpe. Non c'era crepaccio, ponte o torre che la spaventasse. Non c'era salto, volo o caduta che la preoccupasse. Kaila era la ragazza equilibrista. Avrebbe avuto un radioso futuro nel circo, ma difficilmente Ivan glielo avrebbe permesso. E poi lei aveva paura degli orsi.
Per introdursi nella cittadella fortificata di Elengar aveva scelto la via del cielo, come sua abitudine. Al mattino presto si era recata all'ingresso della cittadella. Aveva indossato gli abiti da mercante del fratello e un grosso mantello nero il cui cappuccio le cadeva sul volto nascondendone l'identità. Si era presentata davanti agli armigeri semi addormentati di guardia al Grande Portone. Dopo aver ricevuto una forma di pane e mezza caciotta, l'avevano fatta passare senza fare domande. Era pur sempre l'ora di colazione e non si poteva certo cominciare la giornata a stomaco vuoto.
La torre di nord-est era quella più vicina alla Sala del Giudizio. Da lì sopra avrebbe avuto una visuale perfetta sul cortile interno e sull'ingresso delle segrete. Inoltre la torre era completamente abbandonata in quanto l'edera selvatica aveva fatto crollare buona parte delle scale interne. Un problema non da poco per gli armigeri della città. Un simpatico diversivo per la ragazza equilibrista. Una volta in cima alla torre Kaila si accucciò a terra, tirò fuori la sua sacca da sotto il mantello e prese qualcosa da mangiare. Voleva agire col favore delle tenebre. Inoltre quella era la prima notte di Luna nuova. Decise quindi di bivaccare sulla torre fino allo scoccare della mezzanotte. Al primo rintocco si sarebbe mossa, non prima.

L'attesa fu lunga. Il vento batté contro la torre incessantemente per tutto il giorno. Il freddo iniziò a poco a poco a minare la convinzione della ragazza. Ogni volta che era sul punto di rinunciare prendeva tra le mani il ciondolo-chiave. Le bastava fissare quel tenue bagliore per recuperare tutte le energie. Ripeteva tra sé e sé il piano come un mantra. Allo scoccare della mezzanotte il cortile interno veniva sigillato e quindi non ci sarebbero stati guardiani. Da li si poteva accedere alle segrete attraverso una grata che dava su una scala interna. Avrebbe dovuto forzare la serratura, ma avrebbe avuto accesso al dedalo di gallerie che si muovevano sotto la reggia di Hoen. Aveva con sé una piccola mappa che aveva disegnato di suo pugno basandosi sulle informazioni che aveva trovato sui libri di storia conservati nella Grande Biblioteca. Negli ultimi mesi non aveva fatto altro se non leggere cataste monumentali di pergamene dalle quali estrapolare qualche informazione sulla struttura interna della reggia. A volte le informazioni che trovava erano incongruenti, in certi casi anche contraddittorie. Quindi doveva continuare a cercare conferme su altri libri o facendo qualche domanda distratta agli armigeri ubriachi che venivano a poltrire nella birreria del padre. Alla fine aveva tracciato il percorso che l'avrebbe portata sotto la Sala dell'Archivio. Da lì, un montacarichi di servizio le avrebbe permesso di salire al piano superiore entrando direttamente nella sala senza essere vista.
Una volta trafugato il diario di sua madre avrebbe preso alcuni oggetti a caso per far si di smistare i sospetti. Se qualcuno si fosse accorto del furto, avrebbe pensato ad un ladruncolo che aveva arrabattato le prime cose che gli sembravano di valore. Non certo ad un colpo mirato a rubare il diario, e quindi presumibilmente nessuno l'avrebbe collegata al furto. Si sarebbe preoccupata in seguito di liberarsi della refurtiva in eccesso, per non rischiare che gliela trovassero in casa. Per uscire avrebbe usato la finestra che dava sulla Piazzetta, il centro della cittadella. Una volta scesa doveva tornare sulla torre di nord-est, recuperare il suo sacco e riscendere fino all'altezza delle mura, da li sarebbe scesa verso il lato esterno dove sarebbe stata libera.

C'erano tre falle potenziali nel suo piano, e avevano tutte a che fare con l'altezza. Per arrivare nel cortile interno della reggia avrebbe dovuto saltarci dentro. Per rallentare la caduta avrebbe dovuto utilizzare i pali conficcati orizzontali nel muro con gli stendardi del Consiglio. Il problema è che c'erano diverse centinaia di braccia a separare lei dagli stendardi. Cadere da quell'altezza non è esattamente come cadere dal tetto di una fattoria. In quel caso male che va ti rompi un braccio, o una gamba, o entrambe, ma si sopravvive. Kaila non era sicura di cavarsela altrettanto bene se avesse mancato anche solo uno di quei pali.
Per scendere dalla finestra della Sala dell'Archivio, la distanza era minore, ma gli appigli per rallentare la caduta erano molto più esili: grondaie, edera, ganci per tenere aperte le finestre. Infine calarsi dalle mura era la parte più difficile, perché lì di appigli non ce ne sarebbero stati. Solo qualche rientranza nel muro. Al massimo qualche blocco di pietra sporgente.
Kaila faceva molto affidamento sulle sue capacità, ma più si avvicinava la notte più si sentiva agitata. Iniziò a fare avanti e indietro tra le guglie della torre nella speranza di calmarsi, ma con scarsi risultati. Ogni tanto guardava giù per convincersi che ce l'avrebbe fatta ma vedeva solo le lanterne per le vie della città che man mano si affievolivano. Nessun conforto le giungeva da quel firmamento di fiaccole.
All'improvviso arrivò. Secco e violento il suono del rintocco della campana si espanse per le vie del borgo fin giù per tutta la vallata. Kaila sussultò. Il suo cuore perse un colpo. Le sue gambe e le sue mani si irrigidirono. Doveva farcela. Era arrivata fino a quel punto, non doveva tirarsi indietro.
Prese il ciondolo e lo fissò. Brillava come non mai. Kaila non riuscì a spiegarsene il perché ma qualcuno avrebbe potuto notarlo dalla città-alveare, quindi si affrettò a nasconderlo. Il ciondolo però aveva fatto il miracolo. Quella luce le era entrata dentro. Il suo cuore ora era calmo e il respiro non più affannoso. Poteva muoversi. Doveva muoversi. Era già in ritardo di due rintocchi. Salì sul cornicione, inspirò quanta più aria poté e chiuse gli occhi.

Non si accorse di preciso del momento esatto in cui i suoi piedi si staccarono dalla torre. Percepì solo il vuoto, l'aria e poi quella luce argentea che le aveva riempito la mente. Strinse il pugno quasi d'istinto e sentì il freddo acciaio del palo sotto le sue dita. Tenne forte la presa mentre sentiva il suo corpo girare intorno all'asta. Riaprì gli occhi nel momento in cui sentì di essere pronta a balzare nuovamente verso il prossimo palo. La sensazione di volare la inebriò completamente. Raggiunse il secondo palo. Poi il terzo. La caduta non era più così veloce. Spiccò l'ultimo balzo e questa volta arrivò a terra. Intatta. In piedi. Solo le ginocchia un po' piegate nello sforzo di fermarsi completamente. Ce l'aveva fatta. La sensazione della terra sotto i piedi le diede un capogiro. Il peso di ciò che aveva appena fatto le cadde addosso con tutta la sua violenza, ma lei riuscì a sostenerlo. Aveva compiuto un'impresa unica. Peccato non poterla raccontare a nessuno.
Le prime difficoltà non tardarono ad arrivare. La grata era esattamente dove doveva essere, il problema è che nessuno la usava da tempo immemore. Ci vollero diversi minuti perché Kaila riuscisse a sbloccarla. Aveva una serratura grande. Forzando i due perni interni con dei bastoncini di metallo doveva essere possibile aprirla, ma la ruggine aveva completamente bloccato l'ingranaggio. Uno dei bastoncini si ruppe, ma come ultimo gesto ebbe la cortesia di spaccare il chiavistello. Ci aveva messo troppa forza e adesso qualcuno avrebbe notato che quella grata non si richiudeva più. Un problema per volta. Aveva ancora il suo piano di sicurezza per sviare i sospetti. Poteva ancora farcela. Oltrepassò la grata e usò il bastoncino spezzato per bloccare la serratura meglio che poteva. Per qualche giorno avrebbe retto e se nessuno usava quell'ingresso poteva persino passarla liscia.
La mappa si rivelò meno accurata del previsto. Un paio di volte si ritrovò in un vicolo cieco e più volte rischiò di essere intercettata dagli armigeri di guardia alle prigioni. Prese la borraccia che aveva con sé ed iniziò a spegnere tutte le fiaccole per permettere al buio di favorire il suo passaggio. Alla fine si ritrovò di fronte ad una specie di piccola porticina con sopra il simbolo di una montagna con sopra una falce di Luna. Il simbolo del Consiglio. Kaila si infilò nel montacarichi. Incredibilmente trovò estremamente semplice far salire il piano mobile tirando la corda presente all'interno del vano. Come se ci fosse una qualche magia strana che riducesse il suo peso. Arrivò al termine della salita e vide una serie di ruote di diverse dimensioni attraverso le quali passava la corda che aveva tirato. Niente magia quindi, solo uno strano marchingegno.

La Sala dell'Archivio era, a prima vista, un unico ammasso di cianfrusaglie. Impossibile sperare di trovare qualcosa. La stanza si estendeva in lunghezza e al centro c'era un enorme tavolo con decine e decine di scranni. Un arredamento assai poco consono al tipo di funzione che la stanza doveva svolgere. In passato probabilmente era servita ad altro. Sul tavolo erano ammonticchiate cataste di cose, ma sembrava esserci una logica. Si avvicinò alla prima montagnetta e trovò diversi monili. Ne prese un paio, quelli più grossi. Servivano per il suo piano di sicurezza. Più in là trovò una catasta di lettere. Non sembravano molto vecchie. L'orribile idea che i reperti troppo vecchi venissero distrutti si affacciò nella mente della ragazza, ma cercò di scacciarla subito per non scoraggiarsi. Trovò le cose più strane. Cataste di armi seguite da cataste di specchi seguite a loro volta da cataste di gioielli.
Kaila girò distrattamente intorno al tavolo alla ricerca di un qualche registro nella speranza che tutto ciò che veniva riposto in quella sala fosse accuratamente archiviato. Non trovò nulla di simile, ma aggiunse alla sua collezione un paio di stiletti in oro e un bellissimo ferma-capelli in argento.
Mentre si aggirava tra i vari mucchi di roba sempre più sfiduciata, Kaila sentì un calore enorme venirgli dal petto. La luminosità del ciondolo iniziò a risplendere anche attraverso il mantello nero. Stava vibrando, come d'eccitazione. L'aveva trovato. Il diario e la chiave si chiamavano a vicenda. In una catasta di libri vide un leggero bagliore argenteo. Ci si precipitò come un avvoltoio e iniziò a rovistare tra i volumi. Ce n'erano di tutti i tipi e su ogni argomento. Alcuni erano ricettari di cucina, altri erano registri contabili. In fondo c'era un piccolo quaderno con una copertina argentea che risplendeva fioco alla luce delle lanterne. C'era sopra il disegno stilizzato di una città costruita su una nuvola. Di fianco pendeva un lucchetto molto piccolo. La serratura era appena accennata. Perfetta per la sua chiave. Kaila lo prese al volo insieme ad altri due volumi a caso. Era fatta. Ora doveva andarsene.

Saltare dalle finestre della reggia poteva essere rischioso. Un balzo del genere poteva non passare inosservato. Kaila uscì dalla finestra più a nord. Salì sul cornicione e richiuse la vetrata dietro di se. Accanto a lei si ergeva una colonna in granito che andava da terra fino alla base del frontone triangolare che sovrastava l'intera struttura e che riportava un bassorilievo con gli stemmi della Stirpe di Hoen e del Gran Consiglio dei Maghi. La colonna aveva delle scanalature a spirale che permisero a Kaila di scendere a terra senza eccessivo sforzo e senza essere notata. Da lì la via fu semplice. I lampioni ormai spenti e il cielo completamente scuro nascosero la fuga della ragazza tra le vie dell'alveare. Kaila sentiva la felicità montarle dentro quando, voltando un angolo, si trovò di fronte due armigeri. Cavolo, non se n'era accorta. Erano gli stessi della mattina precedente, quelli che sonnecchiavano davanti alla porta. Non sembrava l'avessero riconosciuta e il cappuccio continuava a proteggere la sua identità. Il fagotto che la ladra portava con se però non passò di certo inosservato.
Kaila iniziò a correre a più non posso, non avrebbe fatto in tempo a recuperare il suo sacco. Se ne sarebbe occupata l'indomani. Forse però poteva fregare i suoi inseguitori.
Si infilò nella torre di nord-est che i due armati le erano ancora alle spalle. La scalinata rotta li rallentò ma non li fermò. Arrivata all'altezza delle mura Kaila iniziò a correre verso sud ma fece in modo di non seminare i suoi inseguitori. Quando questi le furono addosso lei con un balzo oltrepassò il parapetto e fu libera nel vuoto. Increduli, i due armigeri fissarono la sua caduta finché la lanterna che portavano con loro glielo permise. Kaila non seppe cosa ne conseguì, però il giorno dopo ci fu un gran vociare per le strade della città. Tutti parlarono di un ladro possente. Un uomo mascherato che aveva derubato gli archivi della città ma che, quasi acciuffato da due valorosi guerrieri, aveva scelto la strada del suicidio. No, il corpo non era stato ritrovato e no, non si sapeva come avesse fatto ad entrare. Nessuno seppe che fine avesse fatto la refurtiva e in cosa consistesse di preciso. Tutti però erano concordi sul fatto che se non fosse terminato in tragedia, quello sarebbe stato il furto del secolo.