Il vento aveva smesso di soffiare. Un tiepido sole autunnale irradiava i suoi tenui raggi di metà pomeriggio. La tensione era palpabile. Anche le poche persone accorse a vedere la gara avevano smesso di parlottare tra di loro. Un silenzio innaturale spezzato solo dal rumore lento e pacato del battito cardiaco. Quello che si sente pulsare sul timpano quando l'emozione raggiunge l'apice. Tump. Peter era abituato a quel tipo di emozione. Sapeva come controllare l'ansia e la paura che puntualmente si presentano all'inizio di una competizione. Tump. Lunghi respiri profondi che inebriavano la mente. Sempre più lunghi. Tratteneva l'aria nei polmoni finché l'esigenza di espellerla non diventava una necessità. Tump. La mente si sgombrava e il cuore si calmava. Rallentava. Come un guerriero alla vigilia di una battaglia. La quiete prima della tempesta. Tump. Una goccia di sudore scese dalla sua fronte. Il rumore del mondo si annichilì. I contorni si sfocarono. C'era solo una lunga striscia rossa davanti a lui, con il suo odore di terra battuta, erba e sudore. Due linee bianche delimitavano tutto il suo mondo. Quello che accadeva al di fuori di quei confini sfumava nel nulla. Tump. Con gli occhi chiusi cercò di sentire tutto il suo corpo. Ogni sua fibra. Ogni suo nervo. Tump. Sapeva che il giudice di gara stava alzando la mano per dare lo start, ma rimase con gli occhi sbarrati. Tump. Nella sua mente si formò l'immagine del percorso. Tump. Visualizzò la vittoria. Tump. Il suo battito accelerò. Bang.
I piedi scattarono uno davanti all'altro come in una danza armonica. Passo, battito, passo, altro battito. Peter aprì gli occhi e la luce che lo investì gli riempì l'anima. Sulla sua iride dorata si riflesse il disegno del traguardo. Passo, battito, passo, altro battito. La corsa era l'unica cosa che gli dava gioia. Sentire l'adrenalina che si infondeva in ogni suo muscolo. I pori della pelle che si dilatavano. Il respiro regolare ma intenso. Passo, battito, passo, altro battito. Il vento premeva sul suo volto color ebano, scivolava sulla sua cute rasata e lo abbandonava come un sussurro. Passo, battito, passo, altro battito. La velocità era tutto, ogni singolo movimento era perfettamente sincronizzato. Quello che accadeva al di fuori della sua corsia continuava a sfumare, ma Peter sapeva di aver già distanziato i suoi avversari di almeno tre passi. Lo sentiva nelle vibrazioni del terreno. Sapeva dove ognuno di loro si trovava: tutti saldamente dietro di lui. Passo, battito, passo, altro battito. Aveva imparato a correre da bambino. Non l'aveva mai fatto per scappare, ne per giocare. Sapeva sempre dove voleva arrivare e faceva di tutto per arrivarci nel minor tempo possibile. La forza che gli si sprigionava dentro era la sua droga. Sentire i suoi limiti che si infrangevano come ostacoli di carta lo inebriava di energia. Passo, battito, salto. Il rumore del nastro di carta che si strappava al suo passaggio segnava la fine dei suoi sforzi. Il mondo riacquistò le sue sembianze. Suoni, forme e colori ripresero ad esistere al di fuori della sua corsia. Peter aveva trovato nella gara dei 100 metri la sua ragion d'essere. Non aveva mai perso, neanche questa volta.
Come ogni volta, al termine della gara, l'allenatore della sua squadra gli corse incontro per festeggiarlo. Altrettanto fecero i suoi compagni. Tutti legati da una comune anima sportiva che li rendeva uniti come una famiglia. Nelle gare non esiste un 'Io', esisto solo il 'Noi'. Anche questo rendeva l'agonismo più piacevole. Il senso di appartenenza a qualcosa di più grande dava a Peter la carica per affrontare il mondo. Sempre a testa alta, sempre con l'orgoglio nel cuore. Solo una cosa rendeva quella festa particolarmente atipica. Non realizzò subito cosa c'era di strano in quel che vedeva. Dovette strizzare gli occhi per mettere a fuoco l'immagine che correva verso di lui. Elliot sembrava avere un diavolo per capello e il fuoco sotto le scarpe. Non l'aveva mai visto correre così in fretta. A dire il vero non lo aveva mai visto correre. Neanche quando si trovava davanti al bulletto della scuola. Lui era quello che il pericolo lo affrontava di petto, mai di spalle. Una politica che Peter non aveva mai condiviso. Non c'è vergogna nella fuga.
Vedere l'amico correre in quella maniera gli mise l'ansia. Come se sapesse che stava per accadere qualcosa di importante. Qualcosa che probabilmente avrebbe preferito evitare. Il fiato corto lo costrinse a piegarsi e appoggiare le mani sulle ginocchia. La prima regola era di respirare sempre con il naso, mai con la bocca. Lunghe inspirazioni, veloci espirazioni. Con un solo colpo si buttava fuori tutta l'aria. Elliot gli arrivò davanti e quasi lo investì. Evidentemente ignorava la prima regola, perché cercava di ingoiare con la bocca spalancata quanta più aria possibile. Tra un affanno e l'altro cercava di sputare fuori qualche parola incomprensibile. Aveva la faccia completamente rossa, gli occhi iniettati di sangue e la fronte madida di sudore. In quelle condizioni sarebbe svenuto da un momento all'altro se non si fosse calmato.
Peter appoggiò una mano sulla spalla di Elliot e con l'altra gli fece segno di calmarsi. Gli offrì la sua borraccia "Bevi, altrimenti ti verrà un infarto. Respira con calma". Gli ci vollero alcuni secondi per calmarsi. Lo fece accomodare su una delle gradinate ai lati della corsia per farlo riprendere. "Che ti è successo, non ti ho mai visto correre in quella maniera" osservo con un sorriso e aggiunse "Avresti potuto battere persino me!"
Peter ed Elliot si erano conosciuti ai tempi delle medie, frequentavano la stessa classe. Peter era l'unico ragazzo di colore della scuola, Elliot era l'unico a cui la cosa non importasse. Tra i due si era instaurato col tempo un rapporto di fratellanza. Dove c'era l'uno c'era l'altro. Sempre insieme. Avevano condiviso giochi e punizioni. Avevano creato il loro mondo di amicizia e di lealtà. Elliot era il suo migliore amico e sembrava aver bisogno di lui come mai prima d'ora. Un brivido corse sulla schiena di Peter. Percepì di nuovo il pericolo di cui l'amico era portatore.
"Stasera... Mallory... Casale Spavento... Dobbiamo andarci" Ogni parola era affogata in un affanno, grandi respiri frammentavano il suo discorso. "Dov'è che dovremmo andare? Ma soprattutto, cosa c'entra quell'idiota di Mallory?".
Elliot cercò di calmare il respiro. Bevve un sorso d'acqua ed inspirò lentamente. Lo fece con la bocca anziché col naso, ma Peter apprezzò lo sforzo dell'amico. "E' successo durante l'ora di punizione. C'era anche quella scema di Lara. Il prof le ha proposto di organizzare la festa di Halloween a Casale Spavento e Mallory si è fatto una risata" prese di nuovo fiato, sempre con la bocca "Lara ha preso in giro Mallory che si è offeso e adesso vuole andare a fare l'eroe per far vedere quanto è forte e coraggioso" Le ultime parole Elliot le pronunciò imitando la vocetta di una ragazza. Mallory non avrebbe apprezzato.
"Un momento, ma allora è vero che l'hai steso" Elliot non rispose, ma il suo sorriso e lo sguardo illuminato urlavano il suo trionfo ai quattro venti. "Prima si fa stendere da te, poi si fa mettere in punizione ed infine viene preso in giro da una ragazza. Brutta giornata per il nostro Mallory" canzonò Peter. Era comprensibile l'urgenza di ristabilire il suo potere, ma Casale Spavento era troppo persino per il bulletto della scuola. Lì c'erano i fantasmi.
"E tu che c'entri con la storia di Casale Spavento? Non sarà una scusa per darti una lezione insieme a Coso e Cosetto?" Elliot rimase interdetto. Non aveva pensato alla possibilità "Mi è scappato detto che mia madre ha le chiavi della villa e ora mi tocca andare, altrimenti mi rifà i connotati". La stima che Peter nutriva per l'arguzia di Elliot vacillò per un istante. In realtà per qualche minuto. Ma poi si riprese e si rese conto che l'amico aveva le chiavi di Casale Spavento e non gliel'aveva ancora detto "Hai le chiavi e non me l'hai detto? Ti ricordi quel discorso che facemmo qualche anno fa sul rispetto e sui segreti? Il primo doveva essere incrollabile, i secondi non dovevano esistere." Peter era seccato, ma il rimorso nello sguardo di Elliot lo fece pentire di aver parlato "E' che non so, ci sono questi sogni... e c'era qualcosa che mi faceva sentire strano a proposito di quelle chiavi" cercò di scusarsi Elliot. Sogni? Di cosa stava parlando? Altri segreti evidentemente. "A Mallory invece potevi dirlo? Ok, ok... non fare quella faccia. Non fa niente, poi io e te facciamo un bel discorsetto, però ora abbiamo un problema da risolvere. Verrò anch'io stasera a rompere l'idillio tra te e Mallory". Il volto di Elliot si illuminò ed un bel sorriso si dipinse sul suo volto. "Viene anche Lara" aggiunse Elliot alzandosi. Perfetto, la banda di Idioti era al completo. Peter avrebbe dovuto rivedere il suo concetto di lealtà nei confronti dell'amico, ma per il momento aveva dato la sua parola. Sarebbe andato.
I due si diedero appuntamento all'ingresso di Cherrydale intorno alle nove di sera. L'appuntamento con Mallory era alle dieci, ma la strada da fare per arrivare a Plumdale era lunga. Peter si presentò puntuale. Elliot no. Come al solito. A quanto pareva ogni membro della sua famiglia aveva avuto qualcosa da dirgli di estremamente importante e questo gli aveva fatto perdere tempo. Famiglia strana quella di Elliot.
Si incamminarono lungo la statale 17. Montarono le bici solo quando furono lontani dal traffico cittadino. Nonostante l'autunno fosse piuttosto avanzato, il clima si era mantenuto mite. Un leggero venticello agitava le fronde degli alberi. La strada era completamente buia, l'unica cosa che illuminava il cammino dei due ragazzi era la Luna. Una splendida notte di Luna piena. Perfetta per raccontarsi storie di fantasmi e licantropi. Non troppo adatta per viverle in prima persona.
Arrivarono ai piedi della collina sulla quale si ergeva Casa Madison con qualche minuto di ritardo. Mallory e Lara erano lì che aspettavano in silenzio. Sembrava facessero di tutto per evitare di incrociare i loro sguardi. Quando Elliot e Peter gli furono davanti, non ci foruno saluti, tanto meno baci e abbracci. L'unica cosa che teneva unito quel bizzarro gruppetto improvvisato era l'astio. "Hai portato la chiave?" Mallory ruppe il silenzio. Elliot non rispose, si limitò a tirare fuori dalla tasca del giubbotto un mazzo di chiavi con un portachiavi a forma di spirale.
I quattro si incamminarono silenziosamente lungo la salita che li separava dal Casale. Una strada stretta costeggiata da enormi querce secolari che con le grandi chiome coprivano completamente il cielo stellato. Neanche un lampione ad addolcire il percorso. Il buio rimase sovrano per tutta la scarpinata.
Una civetta saltò da un ramo e spiccando il volo intonò il suo canto lugubre. Il cuore di Lara perse un colpo. D'istinto si aggrappo ad un lembo della manica di Mallory il quale si girò verso di lei comunicandole con lo sguardo tutta la sua disapprovazione. Lara lasciò immediatamente la presa e si schiarì la gola "Allora? Che facciamo una volta arrivati?" Non le interessava veramente saperlo, voleva solo interrompere quel pesantissimo silenzio "Cerchiamo di non farci ammazzare" rispose Elliot che finora sembrava quello più rilassato. Il suo migliore amico era con lui. Questo gli dava sicurezza.
Peter non era altrettanto tranquillo. La sensazione di qualcosa di strano non lo aveva abbandonato per tutta la sera. Il suo cane pianse quando lo vide uscire. Il suo cuore era indomabile. Non c'era verso di calmare i battiti, neanche con l'iperventilazione.
Quando arrivarono in vista dell'enorme cancello d'ingresso gli alberi iniziarono a diradarsi formando un piazzale coperto di ghiaia. Neanche la gramigna sembrava volersi avvicinare alla casa. Peter si chiese se fosse l'unico a sentire nell'aria qualcosa di sbagliato, ma decise di tenersi l'osservazione per sé. Lo stress era palpabile. Il vento si placò, civette e gufi smisero di muoversi e di cantare. Una nuvola coprì la Luna.
Elliot prese il mazzo di chiavi ed iniziò a provarle una ad una per trovare quella giusta. Mallory era visibilmente impaziente ma non disse nulla. Quando finalmente la serratura iniziò a girare l'euforia strappò a tutti un mezzo sorriso. Il cigolio del cancello che si apriva smorzò subito l'entusiasmo del gruppo. Erano dentro.
Casa Madison era una grande villa in stile coloniale. La costruzione fu commissionata circa un secolo addietro da un magnate del petrolio americano. I lavori furono spesso rallentati da misteriosi incidenti che avevano fatto guadagnare alla villa il nomignolo di Casale Spavento. La casa fu ultimata il giorno stesso in cui il proprietario, Richard Madison, fu trovato morto nel suo albergo in città. Il mistero avvolse il caso e nessuno venne mai a conoscenza delle cause della morte del magnate. Da allora la casa rimase sigillata e disabitata. Negli ultimi anni un paio di famiglie avevano tentato l'acquisto fiutando l'affare, ma inspiegabilmente nessuno riuscì ad entrare in possesso delle chiavi. Tutti morirono prima di riuscire a poggiare un mobile o uno scatolone di libri sul pavimento interno della villa. La maledizione di Casale Spavento non faceva prigionieri.
Il giardino interno sembrava pulito e ordinato come se qualcuno continuasse a prendersene cura. Elliot aveva detto che la madre era stata incaricata di vendere la casa, quindi probabilmente aveva anche fatto sistemare gli esterni per renderla più appetibile agli eventuali compratori.
La casa era molto bella. Era costruita su due livelli. La facciata era completamente ricoperta di marmo, interrotto a intervalli regolari da due file di enormi finestre che davano sui saloni interni. Ad ogni finestra corrispondeva un balconcino sui quali erano state disposte delle grandi fioriere in terracotta dal quale facevano capolino migliaia di fiori dai colori più disparati. La madre di Elliot aveva pensato proprio a tutto.
Davanti ai ragazzi si presentò una bassa scalinata che portava all'ingresso principale. Dal parapetto si alzavano enormi colonne che andavano a sorreggere il frontone della villa. Si avviarono verso l'ingresso accompagnati solo dal silenzio e dal buio. Questa volta fu ancora più difficile trovare la chiave giusta. La totale assenza di luce rendeva l'impresa ardua anche agli occhi più allenati. Mallory estrasse una torcia dallo zaino, la accese e la puntò verso il mazzo di chiavi. Anche Lara prese la sua torcia e l'accese. Peter si maledisse per non averci pensato.
L'interno della casa era innaturalmente freddo. Tutto quel marmo faceva molta scena, ma impediva al tiepido sole autunnale di scaldare l'interno della villa. Peter sentì chiaramente Lara battere i denti. Senza pensarci si tolse la giacca e gliela porse. Lei rifiutò l'offerta quasi schifata. Che tipino adorabile.
Il salone centrale si estendeva per circa un centinaio di metri quadri e si innalzava per una trentina di metri per poi concludersi con una volta a botte. La parte centrale era incorniciata da due enormi scaloni semicircolari che conducevano al piano superiore. Ognuna delle loro case sarebbe entrata comodamente in tutto quello spazio. Sarebbe avanzato anche qualche metro quadro da adibire a giardino. Ottimizzando bene gli spazi ci si poteva costruire anche una piscina. Non una di quelle olimpioniche, ma comunque una bella piscina con cui sollazzarsi e rinfrescarsi in estate. Un tale spreco di spazio era quasi imbarazzante.
Mallory e Lara, gli unici provvisti di torce, si incamminarono verso la sala laterale. Elliot e Peter li seguirono. "Senti, io la mia parte l'ho fatta. La casa te l'ho aperta. Domani tutti sapranno quanto sei coraggioso. Non è che ti offendi se me ne vado?" disse Elliot "Si, mi offendo moltissimo. Tu rimani con noi!" La frase era perentoria, ma non il tono con cui era stata detta. C'era quasi una sfumatura di supplica nella voce del bulletto. Evidentemente non era poi così coraggioso.
Un brivido percorse la schiena di Peter che si girò di scatto. Il suo sguardo vagò nel buio del salone senza trovare nulla. All'improvviso un'ombra si spostò. Era stato come un battito d'ali. Una figura si era mossa al secondo piano, vicino lo scalone di destra. Era schizzata nel corridoio dell'ala ovest. Senza voltarsi cercò di attirare l'attenzione del gruppo "Ehi, ho visto qualcosa". Il sussurro gli morì in gola. Nessuno lo sentì. Si rese conto di trovarsi di fronte allo scalone di sinistra. Gli altri erano già andati nell'altra stanza e a malapena riusciva ad intravvedere la luce delle torce. Iniziò a salire i grandi gradini di marmo senza quasi accorgersene. Il suo corpo si muoveva da solo. La mente era svuotata da ogni pensiero razionale. Era la paura a farla da padrona. In condizioni normali avrebbe inforcato la porta di ingresso e sarebbe scappato urlando come una femminuccia, invece era rimasto lì e non riusciva a fermarsi. Saliva lentamente, soppesando ogni passo. Forse quando la paura supera una certa soglia il corpo inizia a muoversi da solo. Peter era arrivato al secondo piano.
Dal corridoio dell'ala ovest proveniva un tenue bagliore. Come un piccolo segnale che indicava la strada da seguire. I passi degli altri erano ormai impercettibili. Troppo lontani. Peter si incamminò verso la luce. Ad ogni passo il suo cuore accelerava. Sentiva il battito pulsargli nei timpani. Un rumore di tamburi che lo accompagnava verso l'ignoto.
La luce proveniva da una delle stanze laterali. La porta era accostata e lasciava filtrare un po' della luce con cui la Luna inondava la stanza. La finestra della camera era spalancata e una leggera brezza di vento aveva spazzato ogni nuvola dal cielo. SBAM. Una corrente d'aria aveva fatto sbattere la porta richiudendola. Il cuore di Peter si fermò per un istante che sembrò eterno. Gli vennero le vertigini e dovette piegarsi sulle ginocchia per con cadere in terra. Il cuore ricominciò a battere, ma con più calma. Si sentì stupido per quella reazione così infantile e si avviò verso la finestra per chiuderla. Guardò oltre il parapetto e tra la moltitudine di fiori che la madre di Elliot aveva fatto disporre con cura, notò un leggero chiarore. Veniva dal bosco di querce. Era debolissimo e quasi si annullava nella luce imponente della Luna, ma c'era. Si appoggiò al parapetto per sporgersi di più e la sua mano incontrò una superficie ruvida e tonda. Un piccolo disco di pietra appoggiato sul davanzale. Peter lo prese e cercò di guardarlo meglio approfittando della luce della Luna. C'erano delle strane incisioni sopra, una sorta di caratteri scolpiti nella pietra senza un senso particolare.
Un urlo strozzato arrivò dal piano inferiore. Era una voce femminile. Doveva essere Lara. Più probabilmente Elliot. Peter infilò il disco in tasca e schizzò fuori dalla porta. Corse fino alla balaustra dello scalone. Arrivò in tempo per vedere i suoi amici correre a perdifiato verso la porta d'ingresso seguiti a breve distanza da una sorta di enorme banco di nebbia. Una nebbiolina fitta e luminosa. Completamente d'oro. I fantasmi c'erano davvero.
Peter corse con quanta forza aveva nelle gambe. Scese le scale a grandi balzi e si fiondò all'inseguimento degli altri. Il fantasma gli si fece dietro. Era veloce il bastardo.
Elliot e gli altri erano già in giardino. Peter li aveva quasi raggiunti. Un altro fantasma si parò davanti al cancello e iniziò a muoversi verso di loro. Mallory cambiò velocemente direzione e si diresse verso il bosco di querce ad ovest della villa. Tutti gli altri lo imitarono e iniziarono a correre compatti lungo il pendio della collina in mezzo alle forti radici degli alberi.
Correre. In quella corsa non c'era nulla dell'eleganza dei passi che si susseguono con un ritmo preciso e serrato tipico dell'atletica. Correre. Il fiato si mozzava in gola. La coordinazione dei movimenti veniva a mancare. Correre. Qualcuno provò a chiedere cosa diavolo fossero quelle luci, ma nessuno rispose. Correre. Si erano aggiunti altri fantasmi all'inseguimento. Correre. Altre luci cominciavano ad affiancarli lungo il tragitto. Correre. All'inizio la paura li aveva messi tutti sullo stesso piano, ma a lungo andare la stanchezza degli altri e l'allenamento di Peter avevano fatto in modo di portare quest'ultimo in testa al gruppo. Correre. Il terreno era morbido sotto i piedi. I passi erano completamente attutiti ed ovattati. Correre. Lo sguardo allenato di Peter lo avvertiva di ogni radice che si parava sul suo cammino. Correre. Imprecazioni venivano dalle sue spalle. Gli altri continuavano ad inciampare e a rialzarsi. Correre. La distanza tra Peter e i suoi compagi andava via via accentuandosi, ma nessuno demordeva. Correre. Correre. Correre.
Il bosco era un enorme concentrato di luci che confluivano verso di loro. Senza che potessero accorgersene ormai la nebbia era ovunque. Compatta. Era sui loro vestiti, sul loro corpo, tra i loro capelli, era nell'aria che inspiravano con foga. Tutto era luce. Nessuno rallentò il passo, ma ormai non c'era più nulla da cui scappare.
Peter sentì la terra ammorbidirsi sotto i suoi piedi. Il terreno stava cedendo sotto il loro peso e lui non poteva impedirlo. Spiccò un salto per allontanarsi il più possibile dal luogo in cui la terra si stava inabissando. Atterrò sulle radici di un albero e si voltò di scatto per avvisare gli altri. Troppo tardi. Fece in tempo a vedere il braccio di Elliot alzato che spariva ingoiato dal suolo. La nebbia confluì tutta verso la voragine che si era aperta, come l'acqua che scola in una vasca da bagno quando si toglie il tappo. Peter si ritrovò investito da un turbinio di luce intenso, terribile, bellissimo. Il buio tornò sovrano.
Il buco era largo quanto una macchina. Un riverbero di luce proveniva dal suo interno. Peter alzò lo sguardo e vide la villa. L'ala ovest, dove c'era il parapetto dal quale si era sporto. Era una trappola. Le luci, i fantasmi o quel che erano, venivano da quel bagliore che lui aveva intravisto. Li avevano tranquillamente condotti nel luogo dal quale provenivano.
Si morse il labbro per tornare alla realtà. I suoi amici erano caduti nel buco. Si sporse dal bordo per vedere come stavano. Sotto di lui si apriva una camera enorme. Una sorta di cupola di pietra. Le pareti sembravano emanare luce. Elliot era in ginocchio e tra tutti sembrava essere quello più in salute. Mallory e il suo giaccone in piume d'oca gli avevano attutito la caduta. Il bulletto si stava rialzando. Aveva una brutta ferita sulla fronte e si teneva dolorante la spalla destra. Ammaccato ma vivo. L'unica che non dava segni di reazione era Lara, la prima ed essere finita nel buco. Aveva una evidente frattura alla gamba sinistra ed era priva di conoscenza. "Come state?" gli urlò Peter "In un brodo di giuggiole!" rispose sarcastico Mallory. "Vai a cercare aiuto!" lo supplicò Elliot. "Lara..." iniziò a dire ma Mallory lo interruppe "Di lei ci occupiamo noi! Tu va a cercare qualcuno, chiamate un'ambulanza e tornate con una corda robusta. Corri!"
Peter fece per alzarsi quando sentì di nuovo la voce di Mallory "Ah, già che ci sei portami un cheeseburger". Non perse tempo a rispondergli. Si voltò ed iniziò a correre verso valle. Era quasi arrivato sulla strada quando intravide una figura. Un ombra. La stessa ombra che aveva visto nella villa. O almeno una che le assomigliava molto. Era una persona con un mantello nero. Il cappuccio gli copriva interamente il volto ma Peter riuscì ad intravvedere un sorriso a mezza bocca. Continuò a correre verso l'ombra. Più si avvicinava, più sentiva il suo sguardo su di sé. Un sussurro. Una voce. Qualcosa di non detto. Qualcosa nella sua testa. "Quello che tu chiami Stevens abita al termine di questa strada". L'ombra si spostò dietro un albero poco prima che Peter la raggiungesse. Girò intorno al tronco ma non c'era nessuno. Come volatilizzato.
Era sicuro di non aver sentito niente, eppure quell'ombra gli aveva parlato. Gli aveva indicato il modo di aiutare i suoi amici. Almeno così la interpretò Peter. Il professor Stevens avrebbe saputo cosa fare. Li avrebbe messi in punizione fino al giorno del diploma, ma almeno li avrebbe aiutati.
Arrivato sulla strada Peter si voltò indietro a guardare il bosco. Lì da qualche parte Lara era in pericolo e il suo migliore amico era intrappolato. Mallory poteva anche rimanere lì, ma gli altri avevano bisogno di lui. Li avrebbe salvati!
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Wow O__O
RispondiEliminaMeno male che hai già scritto il prossimo, non mi potevi lasciare così >__<
Stramitico!!!!!!!!! *o*
RispondiEliminaNadia =)