venerdì 4 febbraio 2011

Prigionia

 I rumori si ovattavano, le immagini si offuscavano, la luce diventava a tratti intensa e abbagliante per poi ridiscendere nell'oscurità. Suoni, voci, passi. Tutto era confuso e distorto. La ferita alla gamba si era infettata e, di conseguenza, Eric aveva la febbre alta. Sentiva il battito del suo cuore accelerato rimbombargli nelle orecchie. Era confuso e la nausea lo opprimeva. Gocce di sudore gelide scendevano lungo il collo fin giù per la schiena.
 Era sdraiato. Questo riusciva a capirlo. Doveva essere steso su qualcosa di estremamente rigido e scomodo, probabilmente una tavola di legno a giudicare dai dolori e gli spasmi che gli facevano contorcere la spina dorsale. Non sapeva esattamente dove fosse, ne come ci fosse arrivato. Aveva la mente affollata da immagini sbiadite e da ricordi sconclusionati. La gamba. Questo era un ricordo preciso. La gamba gli faceva male, molto male, o per lo meno così era fino a qualche ora prima. Progressivamente l'aveva sentita addormentarsi. Un leggero formicolio aveva sostituito il dolore lancinante. Cercò di alzare la testa. Giusto un poco, per osservarsi la gamba, ma l'impresa fu eccessiva. Sentì il collo stirarsi e la testa come perforata da centinaia di aghi roventi. Riuscì giusto a vedere una lunga cinghia di cuoio saldamente legata intorno alla sua gamba.

 Eric passava rapidamente dallo stato di veglia a quello di totale incoscienza. La febbre doveva essere molto alta perché la luce sembrava trapanargli gli occhi. Da quel che riusciva a capire, doveva trovarsi in una stanza squadrata e molto piccola, con mura di pietre e nessun tipo di arredamento. La luce arrivava da una serie di aperture strette in alto sul muro di fronte a lui e c'era una sola porta in legno sulla sua destra con una feritoia a metà altezza. La sua branda, letto, tavola, o come diavolo la si voglia chiamare, era appesa al muro con due pesanti catene in ferro battuto. 
 Dopo lungo meditare decise che quella sorta di prigione era solo frutto di un'allucinazione causata dalla febbre. Chiuse gli occhi per richiamare a sé il ricordo delle calde coperte e del morbido materasso sul suo letto. Si concentrò per riuscire a sentire gli odori della sua casa, quel misto tra carta di giornale, naftalina e incenso -non troppo, quel tanto che bastava per rilassare la mente. Cercò di ascoltare i rumori della lavatrice in bagno e delle macchine che veloci sfrecciavano davanti al vialetto della sua casa. Sul retro delle sue palpebre si formò l'immagine di un soffitto bianco con al centro un lampadario con le pale al quale non aveva ancora montato i diffusorio, lasciando quindi le tre lampadine nude.
 Si lasciò cullare per un attimo nel piacere infantile della sua camera, ma quando aprì gli occhi tutto sparì e fu di nuovo sostituito dall'inquietante visione di una cella umida e maleodorante.

 Non era un sogno ne un illusione. Era la pura realtà, era rinchiuso in una cella. Ma -c'è sempre un ma- come c'era finito? Ogni volta che cercava di catturare un ricordo, una sensazione o un indizio che lo aiutasse a capire, quello gli sfuggiva di mente, si perdeva tra la nebbia che offuscava i suoi pensieri. Più si sforzava, meno ricordava. Non era quello il modo di procedere, di ricostruire, di ricordare. Eric era uno scienziato, un Dottore con tanto di lode, doveva seguire un metodo, un sistema preciso per trovare il bandolo della matassa. Per arrivare a delle conclusioni valide bisogna concentrarsi sui fatti evidenti e il dolore alla gamba era senza ombra di dubbio la cosa più evidente. La gamba. Ricordava ancora la sensazione tremenda della punta metallica della freccia che veniva estratta dalla carne del suo polpaccio. La freccia. Un nuovo tassello del puzzle. Non l'aveva neanche sentita arrivare. Un dolore lancinante gli aveva fatto perdere l'equilibrio. Persino negli occhi di quel soldato si era dipinta la sorpresa. Il soldato col quale si stava battendo, quello che aveva messo a terra...
 "Peter!"
 Eric si alzò di scatto a sedere ignorando i dolori che attanagliavano tutto il suo corpo. Come un fulmine tutti i ricordi e le sensazioni avevano ripreso forma e si erano concretizzati nell'immagine di Peter. Il suo allievo. Quello che lui aveva inseguito nel bosco. Quello che si era lanciato contro i soldati per permettere al gruppo di scappare. Elliot, Mallory, Lara. Li ricordava tutti. Li ricordava in pericolo. Panico e ansia si avvinghiarono alle sue viscere con rabbia. Doveva alzarsi, doveva raggiungerli.
 Provò ad accennare un movimento con la gamba, ma il dolore tornò più vivo di prima. Fu sul punto di perdere di nuovo conoscenza, ma si aggrappò al ricordo di Peter per mantenere il controllo. Una goccia di sudore cadde dalla sua fronte. Abbassò lo sguardo in preda allo sconforto. Fisso le mani lerce e graffiate con le quali aveva combattuto per salvare il ragazzo. Era riuscito a metterlo in fuga, ma in un bosco, di notte, un ragazzino da solo quante possibilità aveva di cavarsela?

 La luce diffusa nella stanza perse via via di intensità. I colori sfumarono verso l'arancio per poi spegnersi nelle ombre della notte. Il sole stava calando rapidamente ed Eric non riusciva a riprendersi dal colpo. Rimase immobile a fissarsi le mani come nella speranza che l'immagine del ragazzo si materializzasse e riuscisse a tranquillizzarlo, ma il miracolo non avvenne. Si sentiva disperato e perduto. Come un ossessione ripeteva la stessa parola a bassa voce: "Peter"
 "Non ti preoccupare per lui, sta bene. Beh, comunque sta meglio di te."
 La voce veniva dall'angolo sotto la finestra, il punto più in ombra della stanza. Eric impiegò un po' a realizzare, credeva che la voce facesse parte delle tante allucinazioni che lo tormentavano. Si sforzò di vedere cosa si nascondeva in quell'angolo della cella, ma c'era solo il buio più assoluto.
 "Chi sei?" provò a chiedere con un filo di incertezza nella voce.
 "Un amico" rispose la voce.
 "Non mi basta, voglio sapere chi sei!" riprese Eric quasi infastidito da tutto quel mistero.
 "Uhm, questa scena l'ho già vissuta! Cos'è, avete un copione prestampato?" fece la voce ironica.
 "Che diavolo stai dicendo" Eric iniziò a convincersi di stare parlando con un'allucinazione.
 "Niente, lascia stare. Ho bisogno di parlarti, ma adesso non sei in condizione di ascoltarmi."
 Dal buio una sagoma iniziò a delinearsi illuminata dalla luce della luna che lentamente aveva guadagnato il suo posto nel cielo. Un enorme mantello scuro avvolgeva una figura umana con un grosso cappuccio che gli copriva quasi per intero il volto. Eric non riusciva a distinguere i lineamenti del suo viso, ma a giudicare dall'altezza e dalle proporzioni del corpo doveva essere un ragazzino.
 Si avvicinò alla branda dove Eric era ancora seduto "Sdraiati" disse e accompagnò con la mano il movimento dell'uomo che, ubbidiente, si stese sulla rigida tavola di legno. Il ragazzo si avvicinò alla gamba ferita e vi appoggiò una mano sopra. Eric vedeva la scena come attraverso un caleidoscopio rotto. Colori e immagini distorte si alternavano a causa della febbre, ma era abbastanza sicuro di aver visto della luce provenire dal palmo della mano del ragazzo. Una flebile filastrocca, nenia o chissà che strana canzoncina, si stava spandendo nella stanza. Lentamente un leggero torpore invase il corpo di Eric e una sensazione di sollievo fece sprofondare l'uomo in un sonno profondo.

 Quando riprese conoscenza, il ragazzo era accucciato in un angolo. Sembrava appisolato, ma appena Eric fece per alzarsi lui gli sorrise e si alzò in piedi.
 "Come va?"
 Per la prima volta Eric notò che il ragazzo non muoveva le labbra per parlare, come se la voce gli arrivasse dritta nella testa. Testa che tra l'altro non faceva più male. Gli occhi, le orecchie, la schiena, tutto in perfetto ordine. Le immagini che vedeva erano nitide e non distorte, i suoni che ascoltava erano puliti e non rimbombavano più nella sua mente. Stava bene. Persino la gamba non faceva più male, si soffermò ad accarezzare il foro sui suoi pantaloni di velluto ormai impregnati del suo sangue. L'odore acre della carne era ancora forte, ma probabilmente era dovuto ai suoi indumenti sporchi, perché sotto al foro non c'era più nessuna ferita. Niente, neanche una puntura di spillo. Si slegò la cinghia legata intorno alla gamba e un forte formicolio invase tutto il suo corpo. Una sensazione estremamente fastidiosa, ma di certo non dolorosa.
 "Direi che sto bene, ma credo tu lo sapessi già" disse, e il ragazzo si limitò a sorridere.
 "Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me" riprese il ragazzo facendosi improvvisamente serio.
 "Mi stavo giusto chiedendo quando saresti arrivato al punto" rispose Eric mettendosi seduto sulla tavola con le spalle al muro e con i piedi scalzi appoggiati sul freddo pavimento lastricato di pietre.
 "Elliot sta arrivando..." iniziò il ragazzo, ma fu subito interrotto "Cosa? Perché sta venendo qui?" il volto di Eric si era deformato in un'espressione di estrema preoccupazione.
 "Elliot sta arrivando" riprese il ragazzo senza dare peso alla reazione di Eric "verrà qui per salvare te, e verrà qui anche per salvare Peter".
 "Avevi detto che Peter è al sicuro" commentò Eric.
 "E te lo confermo, attualmente gli ho affidato una piccola missione. Il punto è che Elliot non deve interferire in nessuna maniera con il compito di Peter."
 "In che modo potrebbe interferire?" chiese dubbioso Eric.
 "Beh, ad esempio andandolo a cercare" ironizzò il ragazzo, ma allo sguardo perplesso di Eric, si appoggiò una mano alla fronte e andò avanti con la sua spiegazione. "Elliot è un ragazzo con un grande cuore ma soprattutto con un grande coraggio. Niente e nessuno potrebbe impedire a lui e ai suoi amici di andare a salvare Peter. Continuerebbero a cercarlo per il mondo intero e poi ancora oltre".
 "Come fai a conoscerlo così bene? E come fai a sapere tante cose di noi?" chiese Eric.
 "E' una lunga, lunghissima storia e adesso non ho il tempo di raccontartela, devi solo sapere che tra me ed Elliot esiste un legame che va oltre la normale comprensione umana" rispose l'altro.
 "Cosa dovrei fare?" chiese quasi rassegnato Eric.
 "Qui viene la parte difficile: dovrai dirgli che Peter è morto! E' l'unico modo per impedirgli di seguirlo"
 "Cosa? Hai voglia di scherzare? Il dolore lo ucciderebbe!" protestò Eric.
 "Ce la farà! Comunque il tuo compito non si ferma qui. Dovrai assicurarti che rimanga al fianco di Kaila, la ragazza che vi ha trovato nel buco."
 "Hai suggerimenti particolari in merito?" rispose sarcastico Eric squadrando il ragazzo da capo a piedi.
 "Lascio tutto alla tua fervida fantasia" concluse il ragazzo.
 "Quindi parli sul serio, dovrei andare da Elliot e dirgli: 'Ehi, il tuo amico è morto, fatti una passeggiata con questa ragazza sconosciuta così ti tiri su di morale'" Eric era completamente incredulo.
 "E in tutto questo dovresti anche evitare di menzionare la mia esistenza" concluse il ragazzo.
 "Non dicevi di avere un legame speciale con Elliot?" la discussione stava decisamente assumendo dei toni surreali.
 "Il fatto che il legame esista non significa che lui ne sia a conoscenza. Presto vi sarà tutto più chiaro, ma per ora la cosa importante è che Elliot e Peter proseguano su due strade separate."


 Il silenzio calò tra i due rotto solo dal tintinnio metallico di una chiave in lontananza. Eric continuò a fissare torvo il ragazzo anche se i suoi occhi rimanevano costantemente coperti dal grande cappuccio.
 "Stanno arrivando" disse all'improvviso il ragazzo.
 "Chi?" chiese Eric.
 "I tuoi carcerieri, saranno qui tra breve."
 "Cosa vogliono da me?"
 "Sapere chi sei, come sei arrivato qui, che legame hai con Kaila... inventati una balla e restaci fedele, loro non hanno la più pallida idea dell'esistenza del luogo dal quale venite".
 "E da dov'è che veniamo... esattamente?" Eric ormai aveva completamente perso il filo logico del discorso.
 "Dal mondo della scienza e della tecnologia e, per rispondere alla tua prossima domanda, questo è il mondo della magia -si, ho detto magia- dovresti aver notato tutte le cose strane che ti stanno accadendo intorno, non dovrebbe essere così difficile per te credere ad una cosa così assurda come la magia" spiegò il ragazzo.
 "Cosa mi faranno?" chiese Eric scoraggiato. Nei suoi occhi lo sconforto era evidente come lo era la sua infinita stanchezza.
 "Non lo so, ma devi resistere, Elliot e gli altri stanno arrivando".
 "Che fortuna! Un gruppo di ragazzini sta per intrufolarsi in una prigione in stile medievale, con chissà quanti guardiani pericolosi. In che modo questo dovrebbe aiutarmi?" la stanchezza si stava rapidamente trasformando in collera. Eric era scattato in piedi e aveva afferrato il ragazzo per il bavero del mantello. Il cappuccio scivolò delicatamente all'indietro scoprendo gli occhi del ragazzo, gonfi di lacrime e di tristezza. Eric lasciò la presa e si rimise a sedere, si prese la testa fra le mani e sospirò. La stanchezza era tornata con la stessa rapidità con la quale era stata scacciata dalla rabbia.
 "Dove mi trovo?" chiese come per cercare di scacciare un pensiero.
 "Sei nella città fortificata di Elengar" rispose la voce nella sua testa. Eric continuò a fissarsi i piedi scalzi. Un topolino squittì in un angolo della stanza e scattò verso la porta.
 "Come facciamo a scappare?" chiese con la stessa naturalezza di una persona che chiede informazioni sul clima.
 "Devi avere fiducia nei tuoi ragazzi, sapranno tirarti fuori da qui" rispose la voce. 
 Eric alzò lo sguardo e un briciolo di collera lampeggiò di nuovo nei suoi occhi "Quindi mi stai dicendo che sai già che sopravviveremo!" chiese rabbioso.
 Il ragazzo rimase immobile. Fu ora il suo turno di abbassare lo sguardo. Non rispose, ma non ce ne fu bisogno. Eric si limitò a sbuffare con aria ironica e a scuotere la testa in segno di disapprovazione.


 Il tintinnio delle chiavi si fece sempre più vicino. Adesso insieme al rumore metallico si potevano udire anche i passi di un uomo che avanzava verso di loro. Nella cella il silenzio era totale ed Eric era in grado di sentire ogni palpitazione del suo cuore. L'ansia lo stava progressivamente divorando. Per la prima volta iniziò a provare paura. Paura per l'ignoto, paura per i suoi allievi, paura della morte.
 "Ora devo andare, da qui in avanti dovrai cavartela da solo" disse la voce nella sua testa. Eric non si sprecò nemmeno ad alzare lo sguardo. Non un cenno di saluto ne una parola. Continuò a fissare il pavimento con ostinazione e rabbia. Paura e collera.
 Il ragazzo era sparito esattamente come era comparso. Eric continuò a tenere lo sguardo basso ma sapeva di essere di nuovo solo nella stanza. Il pesante rimbombo dei passi si arrestò in corrispondenza della sua porta e il rumore della chiave che cercava la sua strada all'interno della toppa gli fece gelare il sangue.
 La porta si spalancò ed un uomo enorme con una casacca nera con una croce bianca al centro fece il suo ingresso nella stanza. Eric ricordò di aver già visto quel simbolo. Era impresso sulle divise dei due soldati che lo avevano catturato. Ricordò finalmente il percorso che lo aveva portato in quella prigione. La cattura. Il viaggio a cavallo con le mani legate. Le continue cadute e le conseguenti perdite di conoscenza. L'interminabile salita costantemente in curva che li aveva condotti fino alla cima di una montagna come mai ne aveva viste. Le mura. Il castello. La cella.
 L'uomo enorme si fece da parte e lasciò il passo ad un suo commilitone. Decisamente più piccolo. Non troppo, aveva una corporatura molto simile a quella di Eric, forse solo un po' più magro, però accanto a quella montagna umana dava l'idea di essere infinitamente piccolo.
 Aveva dei lunghi capelli neri e si fece avanti sorpassando il gigante che lo aveva accompagnato. Si avvicinò ad Eric che continuava a starsene seduto sulla tavola di legno con lo sguardo perso nel vuoto, accecato dalla poca luce che filtrava dalla porta alle loro spalle.
 "Il mio nome è Nikolas" disse e rimase in silenzio come per attendere una risposta, ma vistosi ignorato riprese "Di solito quando qualcuno si presenta, è buona educazione rispondere presentandosi a propria volta".


 Eric sorrise. Fissò Nikolas negli occhi e ne sostenne lo sguardo, infine disse "Abbiamo un concetto di educazione differente. Dalle mie parti è considerato alquanto scortese prendere uno sconosciuto, tirargli una freccia nel polpaccio, arrestarlo e sbatterlo in prigione senza motivo".
 Nikolas sembrò divertito da quello scambio di parole "Hai ragione, ma da quel che mi risulta tu hai aggredito uno dei miei uomini. Anche questa è una cosa che non andrebbe fatta. Diciamo che siamo pari" disse il soldato sorridendo e tendendo la mano in segno di pace. 
  Eric ignorò la mano e continuò a fissare Nikolas negli occhi. Si alzò in piedi e si accorse di essere di poco più alto del suo interlocutore. Questo doveva infastidire non poco il soldato che in risposta distolse finalmente lo sguardo. "Quindi posso andarmene tranquillamente per la mia strada" esclamò ironico Eric.
 "Oh, ma certo che puoi. E' sufficiente che tu risponda ad alcune domande e poi te ne potrai andare" concluse Nikolas facendo segno con la mano all'energumeno di spostarsi e indicando la via libera.
 "Non so nulla di quella ragazza che stavate inseguendo, l'abbiamo incontrata per caso e non ho neanche avuto modo di scambiarci due parole."
 "Mi hai frainteso. Non mi importa nulla di quella ragazza. L'ho fatta seguire dai miei uomini con una scusa solo perché non mi era permesso di dire loro la verità. La verità è che io sapevo che sareste arrivati -si, proprio così! Sto parlando di te e di quei ragazzini- e sapevo che quella ragazza ci avrebbe condotti da voi".
 Eric rimase spiazzato, il ragazzo che gli aveva fatto visita pochi istanti prima gli aveva detto un sacco di cose inutili, ma doveva aver tralasciato di avvertirlo che lo scopo della retata nel bosco era proprio catturare loro, o perlomeno uno di loro. Lui.
 Si chiese quante possibilità ci fossero che il ragazzo non ne fosse a conoscenza, ma non seppe darsi risposta.
 Nikolas si aggiustò la divisa e ricominciò a parlare "Vedi, qui comando io ma, come tutti, anche io rispondo agli ordini di qualcuno. Questo qualcuno mi ha avvertito che dei forestieri sarebbero giunti in queste terre e che io avrei dovuto catturarli. Questa è la mia missione, il mio scomodo incarico. Non è nostra intenzione farvi del male, vogliamo solo scoprire come avete fatto ad arrivare 'qui'. Perciò ora ci sediamo e tu mi racconti tutto."
 "Lo farei molto volentieri" rispose Eric sedendosi di nuovo sulla branda di legno "ma non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando".
 Nikolas si sedette al suo fianco e attese qualche istante, si voltò verso di lui e sorrise. "Ne sono certo. Amnesia immagino. Ma non ti preoccupare, abbiamo i nostri metodi per far recuperare la memoria ai prigionieri" detto questo si alzò nuovamente ed uscì dalla cella. Il gigante lo seguì silenziosamente.
 Rumore di chiavi. Rumore di passi. Silenzio. Eric era di nuovo solo.


1 commento:

  1. Nikolas nn ti sopporto!!!!! E oltre tutto hai i capelli di un colore diverso da come li immaginavo ahahhaha

    Cmq tesoro... grazie per le mille perle diffuse qua e là per questo capitolo <3 XD

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